mercoledì 8 gennaio 2014

Montegranaro condannata a un altro ecomostro. Dal Tar? Tod’s? O dalla politicuccia dei furbetti?



La notizia è davvero cattiva, anche se per niente inaspettata. L’accoglimento da parte del TAR del ricorso presentato da Diego Della Valle contro il Comune di Montegranaro relativamente alla costruzione del nuovo villaggio cittadino, quello della moda (si sa, a noi piacciono i villaggi), blocca o, meglio, mantiene bloccati i lavori per la costruzione della struttura prevista e progettata lungo la sponda montegranarese del Chienti. E anche facendo ricorso al Consiglio di Stato le probabilità di averla vinta, vista la giurisprudenza recente in materia dettata proprio da sentenze relative a ricorsi di Della Valle e ubicate geograficamente a qualche centinaio di metri (leggi Castagno), sono meno che scarse. Niente Villaggio della Moda, quindi, così come niente Villaggio dello Sport e niente Villaggio della Salute. L’unico “Villaggio” dei tanti progettati da Basso e portati avanti da Gismondi è quello della Memoria, il camposanto, settore che, purtroppo, in crisi non ci va.
Vista la fine degli altri “villaggi” e vista la naturale propensione alle incompiute mostruose e anche ai mostri compiuti che abbiamo a Montegranaro, ora c’è da chiedersi che fine farà il bel cantiere cinto da uno splendido muro di legnaccio pressato che fa mostra di sé adiacentemente al cartello che annuncia al visitatore che è appena entrato nel territorio di Montegranaro. Siamo già famosi per il Palazzaccio (non me ne voglia chi ci vive, ma è presente in numerosi testi di architettura, anche internazionali), lo stiamo diventando per la Torre Zed che ci mette in comunicazione, oltre che con il cosmo, con le risate dei vicini e dei passanti, lo scheletro di quello che doveva essere il palazzetto dello sport ammonisce che arriva al campo sportivo sulle nostre buone intenzioni circa gli investimenti, appunto, sportivi, un bel mostro in riva al Chienti ci voleva proprio.
Dobbiamo ringraziare il Signor Tod’s per questo? Non direi, Della Valle ha fatto solo i suoi interessi, tanto più che c’erano già tutti i segnali che non avrebbe tollerato e, d’altra parte, la legge, come si vede, sta dalla sua: ha ragione. Allora è colpa del TAR? Manco a parlarne, il Tribunale fa il suo lavoro e applica le leggi. Allora di chi sarà il merito di questa bella opera d’arte che va ad aggiungersi alla nostra già cospicua collezione? Diciamo che dobbiamo rendere grazie ai furbetti o presunti tali, alla politica con la p minuscolissima, alle manie di grandezza, all’arrivismo e al senso civico che non c’è. Senza necessariamente fare nomi.

Luca Craia

La sinistra nostrana snobba i social. Attenzione ai suicidi politici.



Interessante e, per certi aspetti, divertente, non fosse per le solite implicazioni che poi vanno a coinvolgere tutti ripercuotendosi nella cosa pubblica, il siparietto apparso sulla bacheca Facebook di un noto esponente Pd nostrano, ex dirigente del partito, dove il proprietario della suddetta bacheca  mostrava tutta la sua preoccupazione per lo stato di salute dell’ex segretario nazionale Pierluigi Bersani. Nel solito dibattito che ne seguiva a mezzo commenti, con giuste considerazioni sul livello ormai paleontologico delle discussioni sul social, avvelenate da violenza e turpiloquio, si inseriva il segretario della sezione locale spiegando che, sulla pagina Facebook ufficiale del Pd, non aveva ritenuto opportuno scrivere nulla al riguardo proprio per evitare la ridda di commenti idioti che ovunque possiamo leggere, e definendo il social network un “luogo per dementi”.
Tralascio un certo moto di stizza nel leggere questa definizione essendo io un frequentatore di questo luogo e quindi anch’io definibile, a sua detta, demente, condivido la risposta datagli dal proprietario della suddetta pagina, nella quale il tutto avveniva, che accusava di arretratezza i vertici del suo partito che, in effetti, dimostrano scarso interesse se non poca dimestichezza con i mezzi di comunicazioni più moderni della lettera col francobollo. Se spulciamo, infatti, la spoglia pagina Facebook del Pd locale ci rendiamo conto di quanto poco la si utilizzi: non vi sono articoli, interventi, spiegazioni. O la sinistra di casa nostra snobba (come pare di leggere) il mezzo virtuale o ha qualche difficoltà nel suo utilizzo. Peccato, perché altri lo stanno facendo egregiamente e ottenendo anche risultati notevoli (misti anche a qualche figuraccia, che ci sta).
I social network sono certamente una giungla nella quale si possono incontrare brutte bestie che urlano, imprecano, menano (virtualmente) e rifiutano la dialettica dell’intelligenza. Ma ci sono anche molte persone raziocinanti che lo utilizzano per confrontarsi con facilità con gli altri, comunicare e condividere idee, pensieri e concetti, per concordare azioni, per divulgare il proprio progetto. Ci sono politici, anche nostrani, che fanno largo uso di Facebook anche per farsi propaganda e, visto che siamo in piena campagna elettorale, mi pare legittimo e furbo usare ogni mezzo, anche il social, per dialogare coi cittadini. Piuttosto che definirli dementi.
Una considerazione sullo scontro, se così lo possiamo definire, tra i due esponenti della sinistra di casa nostra: è la prima volta, almeno in pubblico, che si nota la contrapposizione che c’è, ed è forte, tra la vecchia guardia e la nuova all’interno del partito. La sinistra è nota per la propensione al suicidio politico, votandosi contro, facendo propaganda contro i propri candidati eccetera eccetera. Lo ricordiamo bene, almeno alcuni di noi, cosa accadde alle ultime amministrative, quando, avendo la possibilità di vincere facile pozzipozzipopopò causa la spaccatura a destra, si preferì remare contro il candidato sindaco espresso dalle primarie. Stavolta, con il totale rovesciamento del vertice del partito a livello locale e con la spaccatura che si evidenzia tra la vecchia dirigenza e la nuova, cosa dobbiamo aspettarci?

Luca Craia

martedì 7 gennaio 2014

La violenza verbale che dilaga sui social



Considero i social uno strumento formidabile per divulgare informazioni e idee e per facilitare la condivisione e il dibattito, imprescindibile per chiunque debba occuparsi di cose pubbliche. Ma il limite dello strumento sta proprio nella sua virtualità che, troppo spesso, viene intesa come protezione, schermo, maschera che rende intoccabili, impunibili. Questo evidentemente elimina ogni inibizione e libera il lato peggiore delle persone che, interpretando il mondo virtuale del social network come una zona franca dove tutto è permesso, danno sfogo alle loro frustrazioni. È un po’ il concetto del videogame, dove l’altro, anche se conosciuto come reale, sullo schermo del computer diventa avatar di se stesso, essere elettronico privo di corpo, anima e sentimenti. È una sorta di sindrome del tasto di reset, del concetto da videogame secondo il quale, sbagliando, si può sempre iniziare la partita da capo. Ecco quindi che possiamo anche calpestare e far male all’altro nella certezza che, comunque, tutto si può recuperare con un tasto.
Le frustrazioni, gli istinti repressi si moltiplicano in questi tempi confusi di crisi non solo economica ma anche e soprattutto di valori, di punti di riferimento. Nel contatto reale tra le persone, però, prevale ancora il buon senso, il rispetto reciproco anche se convenzionale. Nel mondo binario dello schermo di un computer, invece, la violenza, anche se non può mai diventare fisica, diventa strumento di comunicazione usuale. Ecco allora l’uso abituale del turpiloquio, l’insulto gratuito, l’eterna propensione ad attaccare anche quando non necessario. Quello che nella vita reale mai ci sentiremmo autorizzati a fare, con una tastiera in mano diventa normalissimo. Cade quindi una delle prerogative più positive della socializzazione elettronica, ossia la possibilità di dibattere liberamente sulle idee, per lasciar spazio alla violenza delle parole che blocca ogni forma di scambio intellettuale.
Purtroppo il fenomeno è dilagante e credo ogni utilizzatore dei social network possa verificarlo personalmente: ci sono individui, sempre più numerosi, che utilizzano la violenza verbale scissa da ogni razionalità per accedere a discussioni anche accese ma sempre incanalate sul tema specifico e improntate sul rispetto reciproco. I violenti della tastiera non partecipano alla discussione, non perdono tempo a leggere quanto già è stato scritto, si accontentano di cogliere il senso generale da un titolo o da qualche parola letta frettolosamente, e entrano nel dibattito a gamba tesa usando l’offesa, la parolaccia, l’insulto gratuito, tutto ciò quasi sempre formulando pensieri ovvi e qualunquistici.
Le conseguenze sono serie: se da un lato in questo modo la discussione muore, dall’altro il sistema si fa sempre più tollerato e condiviso tanto da divenire modus operandi anche per chi ricopre ruoli istituzionalmente avulsi  a questi toni. Così il politico cala il livello del proprio eloquio, il giornalista abbassa la qualità del parlare e la gente comune, che pure vorrebbe rimanere in canoni di discussioni rispettosi, o si adegua o batte in ritirata. È un fenomeno in crescita che va arginato, magari col semplice strumento della moderazione del dibattito: chi non rispetta la dignità dei partecipanti e l’intelligenza del discorso vada bloccato ed espulso.

Luca Craia

lunedì 6 gennaio 2014

Montegranaro merita di più.



Montegranaro merita di più.
Merita gente che si impegni per la città e non per procurarsi quattro voti in più.
Merita gente che si impegni per la città e non per procurarsi l’appoggio (futuro, forse) del politicuccio di turno.
Merita gente che si impegni per la città e non per procurarsi un po’ di spazio sul giornale.
Merita gente che si impegni per la città e non per poter dire “io l’ho fatto e tu no”.
Merita gente che si impegni per la città e non per procurarsi due (2) incarichi professionali da quattro (4) soldi.
Merita gente che si impegni per la città e non farsi dare una pacca sulla spalla dal potente che passa di lì (magari con telecamera a seguito).
Merita gente che si impegni per la città e non per danneggiare quelli che ti stanno sulle palle.

Io, Montegranarese, merito di più.
Merito di potermi impegnare per la mia città senza dover tirare la volata al politicuccio di turno.
Merito di potermi impegnare per la mia città senza procurare un po’ di spazio sul giornale al politicuccio di turno o a quello che gli tira la volata per procurarsene l’appoggio.
Merito di potermi impegnare per la mia città senza dover sentirmi nemico di chi trova altre strade per fare la stessa cosa.
Merito di potermi impegnare per la mia città senza dover concorrere a far prendere incarichi professionali a chicchessia.
Merito di potermi impegnare per la mia città senza chiedere niente e procurare niente.
Merito di potermi impegnare per la mia città senza dovermi schierare con questo o quello.

Spreco di energie positive, lingue imbizzarrite, giornalisti melliflui che pascolano nel vomito, politicicucci all'olio di oliva. Montegranaro merita di più. Ha bisogno di  molto di più.

domenica 5 gennaio 2014

I Racconti della Marca Bassa - Paura!



Luca fumava. A scuola era vitatissimo, era vietato anche farsi vedere fumare, era peccato mortualissimo. Ma Luca fumava lo stesso. Fumava prima di entrare, all’uscita, a ricreazione. E se gli prendeva male fumava anche durante le lezioni, in bagno, chiuso in quei loculi col cesso in mezzo che erano stretti e puzzolenti ma garantivano un certo anonimato, sempre che si facesse attenzione ad uscire quando nella zona aperta del gabinetto non ci fosse nessuno.
A ricreazione fumava nel cortile della scuola, grande e alberato, abbastanza ampio da riuscire ad imboscarsi, bruciare una sigaretta e rientrare senza essere beccato da qualche professore. I pini secolari, le aiuole, i muretti offrivano un ottimo riparo sia per il freddo d’inverno che per gli sguardi inquisitori. Così i pochi fumatori del liceo si ritrovavano in cortile, puntuali alle undici ogni mattina, quasi fosse l’appuntamento prefissato per una riunione di chissà quale società segreta. E forse, tutto sommato, di società segreta si trattava, con un suo codice di comportamento e i suoi gesti omologati e omologanti. La fratellanza tra gli adepti si manifestava quando uno di loro rimaneva senza paglie e qualcuno si predisponeva di buon grado a fornirgliene una, ben sapendo che presto ne sarebbe rientrato in possesso, non appena anch’egli sarebbe rimasto col pacchetto vuoto a ricreazione, impossibilitato ad andare a comprarle.
Quella mattina, però, tirava un vento boia, teso e furioso. Scuoteva le cime dei pini che sembravano rabbrividire e, infilandosi tra gli aghi e rami aguzzi, fischiava e ululava come nei film dell’orrore. Quella mattina la società dei fumatori decise tacitamente di saltare la sigaretta della ricreazione, tanto non sarebbe nemmeno stato possibile accenderla con quel vento. Luca però non volle rinunciare ed era certo che col suo zippo sarebbe riuscito a dar fuoco al tabacco. Chiese così a Mauro di fargli compagnia. Mauro non aveva mai fumato in vita sua forse perché figlio di tabaccaio e, in quanto tale, troppo intossicato già soltanto dalla vista delle sigarette per desiderare di fumarne una. Riluttante ma legato a Luca da antica e profonda amicizia nonché da quel rapporto di fedeltà che di solito si allaccia condividendo il banco,  Mauro accettò di accompagnare il nicotomane suo amico a  fumarsi la sua dose di veleno e uscì con lui nella tempesta.
Il vento era davvero impetuoso e, come se non bastasse, era pure gelido. La cosa più inquietante era però il rumore, tanto forte che i due appena si sentivano. Si ripararono dietro il tronco del pino più grosso e, forse, più vecchio, Luca si acquattò facendo un cucchiaio con la mano sinistra attorno all’accendino per ripararlo dall’aria mentre col pollice della destra faceva ruotare il disco abrasivo sulla pietrina che scintillò e incendiò la benzina sullo stoppino. Impossibile impedire ad uno Zippo di accendersi. Luca accese così la sua Chesterfield e cominciò ad aspirare il fumo prima che il vento stesso si fumasse l’intera sigaretta col suo soffio vorace. Intanto Mauro guardava e incassava il collo nel giubbotto cercando invano di riparare la testa, augurandosi che l’amico facesse presto a soddisfare il suo vizio. I capelli di Mauro non reagirono al vento ma quelli di Luca erano tutti per aria, lunghi com’erano.
La sigaretta era quasi a metà quando udirono un rumore fortissimo, più forte del fischio del vento, che proveniva da sopra le loro teste. Uno scricchiolio enorme, il suono del legno che si spacca, un suono prolungato e minaccioso. Alzarono lo sguardo e videro la punta del pino che guardava verso terra anziché verso il cielo e si muoveva in loro direzione lentamente, un po’ perché trattenuta dai rami superstiti, un po’ perché certe situazioni si percepiscono come al rallentatore.
E fu al rallentatore che scapparono da sotto l’albero, almeno questa fu la sensazione perché in realtà correvano veloci come il lampo. Correvano verso le scale che portavano al sicuro, al piano di sopra, dentro la scuola. Correvano a braccia alzate, agitandole al vento come maledicendo qualcuno. Correvano e urlavano ma non si capiva cosa perché le loro voci erano coperte dal rumore del vento mentre la punta del pino, enorme, si andava a schiantare esattamente dove stavano loro qualche secondo prima. Corsero urlando silenziosamente lungo le scale, entrarono nel corridoio centrale della scuola senza rallentare, lo percorsero tutto di corsa svoltando a sinistra verso quello più stretto delle aule. Si infilarono sempre correndo nella loro e si sedettero in velocità ognuno al proprio posto, tremanti e ansimanti e ancora con le braccia alzate. E’ rimasta leggendaria la scena nella scuola, ancora la si narra a distanza di anni. E si ride ricordando la parola che i due gridavano correndo. Urlavano: “Paura! Paura!”.

sabato 4 gennaio 2014

NO. L’ITALIA NON LA LASCIO

DI ANNA LISA MINUTILLO
Finiti i bagordi quando nell’aria c’è ancora l’odore del fumo acre dovuto all’esplosione di luce che per un po’ ha colorato il cielo mi ritrovo qui…
Giorni di melassa di belle parole ,di troppo zucchero quello zucchero che non fa altro che diventare stucchevole poi alla lunga e di cui si perderanno già da domani le tracce quando si verrà catapultati nuovamente nella quotidianità.
Ho visto le solite corse dell’ultimo minuto per l’ultimo regalo,ho visto i sorrisi falsi di persone che fino al giorno prima nemmeno si preoccupavano di chiedere come stai ?,ho visto le mani stringersi senza vitalità ,ho visto silenzi riempiti con frasi di circostanza che rimbalzano fra le pareti delle anime vuote di sentimenti,ho visto espressioni attonite fra gli scaffali dei ricordi dove tutti cercano qualcosa senza sapere cosa stiano cercando infondo,ho visto e come sempre non è scivolato via nulla e mi si è attaccata addosso la gentile indifferenza travestita da cordiale presenza non richiesta,invadente ed invasiva e non lo so ma questo non è ne Natale ne tantomeno coerente secondo me.
Non ho potuto fare a meno di notare la noia nelle espressioni di chi in metropolitana assiste ai “soliti”concerti improvvisati da chi senza una dimora ne occupazione cerca solo di sopravvivere per qualche ora con il ricavato del suo “lavoro”.
Ho visto le solite persone chiuse fuori al freddo,tenute lontane dalle palizzate di distacco e indifferenza che si sono create con il passare degli anni negli animi diffidenti di chi ha smesso di vivere ricordandosi il valore di un sorriso e di un abbraccio.
Ho visto la superficialità che ancora una volta ha fatto da padrona guidare tutti questi nuovi poveri alla ricerca di qualcosa che potesse stupire la compagnia degli amici frequentati,li ho visti recarsi alle agenzie di viaggio per prenotare la vacanza da trascorrere in compagnia per non far capire agli amici che la loro situazione economica non è più florida come una volta,li ho visti chiedere il pagamento a rate pur di non rinunciare alla recita che provano da troppi giorni ormai e che conoscono a memoria ,che suonano come un disco rotto tanto che non richiede di essere ripassata come si fa con la lezione da portare a scuola il giorno dopo.
Non ci sono parole da dire per chi pensa solo a correre da un lavoro precario all’altro per assicurare una serata diversa alla sua famiglia,non ci sono parole da spendere per chi ormai è in presidio da anni per difendere ciò che gli è stato maldestramente rubato,non ci sono parole per le persone che amano la verità,che ricercano la giustizia,che si battono per la difesa di un territorio che ogni giorno sceglie una rivolta differente per comunicarci che lo abbiamo martoriato e che non c’è la fa più ad andare avanti così,l’unico modo che ha è quello di fare la voce grossa,di farci tremare ,di portare fango e distruzione ovunque e di privarci di quel poco che abbiamo.
Non si spendono parole per chi ha subito violenza,per chi ha trovato la morte per mano di chi pensava la amasse così tanto quanto lei lo amava,non ci sono parole per quegli uomini smidollati che escono dal letto di casa loro per entrare in quello di una persona che non saranno mai in grado di amare come andrebbe amata e rispettata poiché prima di tutto non riescono ad amare loro stessi e le loro pseudo famiglie patinate che usano come facciata per non far capire alle loro famiglie in primis che razza di esseri infimi siano.
Non vi sono parole per chi non ama nel modo canonico,razionale,stereotipato che questa società ha prestabilito fosse il modo corretto di amare .
Non vi sono parole per chi ancora vorrebbe credere nei sogni,vorrebbe progettarla qualcosa di diverso dallo sfacelo a cui assistiamo inermi,disorientati,impacciati,per le nuove idee solo tasse e difficoltà enormi da superare.
Non vi sono parole per chi vuole disporre della sua persona e decidere di curarsi con un sistema non riconosciuto ma che potrebbe dare speranza ,non vi è più nemmeno il diritto di decidere come continuare a vivere o come scegliere di morire e questo non perché a qualcuno interessi così tanto delle vite altrui ma solo perché in questo modo non si speculerebbe sui farmaci di nuova generazione che spesso hanno fallito .
Non ci sono parole per chi si è tolto la vita a causa di una situazione insostenibile,perché oltre al lavoro ha perso la casa,la pace ,le relazioni sociali,l’amore,la voglia di sognare e di lottare e …beh tutto questo lo trovo molto strano.lo trovo penoso,lo trovo anche ripugnante per alcuni versi si mi ripugna da maledetti continuare a vivere circondata da questa indifferenza e da questi sorrisi carittatevoli che di caritatevole non hanno nulla.
Parole come fendenti quando non richieste,parole inesistenti quando si vorrebbero sentire,azioni da top manager quando non richieste,idee che si tengono nascoste e non si condividono quando potrebbero essere condivisibili e risolutive.
Affetto non richiesto che spesso è solo morbosa curiosità ,distacco fisico e mentale quando ci sarebbe da rimboccarsi le maniche.
Piazze gremite per i mercatini di Natale,piazze deserte quando c’è da protestare e da darsi da fare.
Non avrei potuto non guardare ,non voglia di spegnere i miei occhi ,non ho voglia di far tacere il mio cuore,non ho voglia di salmi e di predicozzi da quattro soldi ho voglia di verità nascoste,non ho voglia di indifferenza e di individualismo e lo voglio veder cambiare davvero questo mondo perché so che lo si può fare.
Sarebbe semplice per me abbandonare tutto e non è detto che non lo faccia prima o poi ma non riesco ad essere così indifferente da pensare solo a me,non capisco perché dovrei lasciare la nazione in cui sono nata e di cui dovrei essere fiera ,non capisco perché non ci possiamo reinventare qui ed ora,non capisco perché tacciamo e guardiamo dall’altra parte quando ci viene chiesto cosa possiamo fare.
Non capisco perché abbiamo perso la voglia di collaborare,di condividere,di aiutare e poi ci lamentiamo del fatto che nessuno si prenda cura di noi e finiamo con il diventare come le tante persone che contestiamo a parole ma che emuliamo con le azioni perché fa figo diventare i furbetti del nulla vero?
Non riesco a dare messaggi di distacco e silenzio,non riesco a vedere gli occhi dei bimbi dei figli di disoccupati tristi e sorridere perché non avendo figli non ho questo problema da fronteggiare,non riesco a tacere non riesco a non sentire questo mare di parole che mi si agita dentro e che mi allaga gli occhi,non riesco a far finta di nulla ..fatelo voi io sono fatta così:non stacco mai,non dimentico mai il cuore sul comodino la mattina prima di uscire di casa,non riesco a vedere le luminarie e non chi sta in un cartone che gli fa da casa,non riesco a non apprezzare la grande fortuna di avere ancora qualcosa da mettere nel piatto mentre c’è chi nemmeno questa cosa possiede più.
E dai che non ci piace questo mondo,e dai che lo cambiamo se vogliamo,e dai che siamo ancora in tempo ,e dai che se lo dice un comune mortale come me che non ha più molto da perdere ormai potete dirlo anche voi e poi….solo poi per me sarà Natale e l’anno che vorrei,l’anno del riscatto,delle passioni che volano libere,del rispetto che manca,dell’affetto prezioso,della vita che cresce,del silenzio che prende il posto dello sgomento,della libertà che alberga nel cuore di tutti noi.
L’abbraccio di luce più caldo che conosco a chi è disperato e non conosco.

Montegranaro superba, strana, disumana? Forse bisognerebbe conoscerla meglio.



Non ho intenzione di entrare nel merito della questione “presepio vivente”: i fatti sono chiari e non c’è alcun bisogno di aggiungere altro. L’articolo di Vitali su La Provincia di Fermo, però, mi ha infastidito non poco, direi offeso, come uomo di associazione e come cittadino montegranarese. Vitali si dimostra ottimo cronista, competente e preciso, quando parla di basket. Pare però convinto che Montegranaro sia una sorta di agglomerato cementizio dove i giocatori di basket vanno a dormire e dove il suo buon amico Gismondi (al quale ha sempre dimostrato grande lealtà) governa su una strana popolazione di ominidi dei quali il nostro cronista non si interessa se non quando deve parlarne male.
Così, nel caso specifico, Vitali esordisce descrivendo Montegranaro: “Si staglia in collina. Guarda da un lato Sant’Elpidio, dall’altro Monte Urano. Pensa di essere meglio dell’una e dell’altra ma, alla fine, si perde tra i suoi infiniti problemi.”. Non so quali Montegranaresi frequenti il nostro giornalista ma affermare che i cittadini di Montegranaro si sentano migliori di quelli dei paesi limitrofi mi pare un’analisi piuttosto frettolosa e fuorviante.
Continua Vitali: “I veregrensi amano le commistioni, le fusioni, i tentativi”, come a dire che da noi ci piacciono gli inciuci, che a questa strana gente che vive sul colle tra Sant’Elpidio e Monte Urano non riesce di essere normale come da altre parti. Poco rispettoso di noi “veregrensi”, mi pare.
Prosegue poi facendo una frettolosa analisi del panorama elettorale in cui tratta con spregio l’alleanza dell’ex opposizione, quella che io chiamo la “lista stranamore”, dà dei funerei ai bassiani mentre non perde occasione per fare uno spot per i suoi amici dell’ex maggioranza.
Non esistono barriere politiche a Montegranaro. Ma tanta di quella rabbia reciproca che fa dire e fare cose che ‘voi umani’…”. Disumanizzante Vitali, pare che siamo in un girone dantesco, come se la competizione elettorale che si sta delineando da noi sia molto ma molto diversa da quelle di altre città dove, invece, vanno tutti a mangiare la pizza insieme. E magari pure i fichi. Ma noi “veregrensi” non siamo umani…
E infine l’analisi sull’associazionismo: “guai a usare le associazioni come vetrina elettorale. Anche perché, solitamente, chi ci lavora fa tutto fuorché votare chi cerca di usarli”. Giusta la prima parte, guai ad usare le associazioni, ma chiariamo e non facciamo di tutte le erbe un fascio. Se esistono, come dappertutto, associazioni disposte a farsi strumentalizzare dalla politica o viceversa, esistono realtà associative libere, indipendenti, pulite.
Un consiglio per Vitali, che non è nuovo a trattare in questo modo Montegranaro: venga a conoscere meglio la città, a capirne i meccanismi, le persone. Venga a frequentare i montegranaresi veri, quelli seri e onesti, lavoratori, brave persone come ce ne sono altrove, esseri umani. Non siamo così strani come pensa Vitali. Provi a conoscerci meglio. Si faccia un’idea più precisa. O si occupi di cose che conosce bene, come il basket ad esempio, e lasci stare quello che ignora.

Luca Craia