giovedì 20 marzo 2014

Viva Casapound che imbratta le fontane e promuove Montegranaro.



Il mio plauso e le mie lodi ai due giovani virgulti casapoundiani montegranaresi che tanto lustro stanno dando alla nostra amata terra portando le loro leggendarie gesta epiche oltre i confini provinciali per far conoscere il messaggio che tanto li cruccia: l’Europa vuole il sangue dei cittadini. Ora, grazie al loro gesto in quel di Senigallia, finalmente prendo coscienza dei veri problemi che attanagliano il nostro tempo. È proprio imbrattando fontane, sporcando muri, appiccicando manifesti abusivi, incitando all’odio razziale e alla violenza che i giovani fascisti del nuovo millennio aprono le menti della gente e divulgano il loro credo. E quando le menti non si aprono da sole si può sempre usare un mezzo meccanico. E allora grazie, giovani tartarugati, per insegnarci a vivere e per far sì che il nome di Montegranaro venga conosciuto anche nella lontana provincia di Ancona.

Luca Craia

Disservizi a Tipicità



Ricevo e pubblico volentieri la mail dell’amico Dino Gazzani in quanto testimonianza di come a volte belle inziative, come Tipicità, vengano rovinate da negligenze, disservizi, approssimazione. Non aggiungo altro perché Dino è estremamente esaustivo nel suo scritto. A voi la lettura.

Sono Dino Gazzani, cittadino di Montegranaro (FM).
Scrivo a tutti voi in quanto organizzatori o collaboratori dell'evento-festival Tipicità presso il Fermo Forum per manifestarvi tutta la mia indignazione riguardo al trattamento ricevuto ieri mattina da parte dei responsabili dell'info-point e quindi, di riflesso, da parte vostra.

Dovendo uscire dal Forum per motivi personali (che non sto qui a specificare ma che possono essere i più disparati, non è certo questo il punto), ho comunicato ad uno dei due ragazzi posti presso i tornelli di ingresso la mia intenzione di uscire per poi rientrare a breve. Mi è stato detto che non potevo farlo e che se avessi voluto rientrare, una volta uscito, avrei dovuto pagare l'ingresso per intero. Nuovamente, dato che non sono entrato con pass o sconto o quant'altro. Tale provvedimento veniva usato con tutte le persone che stavano manifestando il mio stesso proposito.
A questo punto, mentre gli altri sventurati, storcendo il naso, sono o usciti o rientrati al Forum, ho chiesto al ragazzo dove avrei potuto sporgere reclamo e sono stato indirizzato all'info-point. Recatomi colà, ho chiesto chi dovesse accogliere il mio reclamo ed ho esposto il problema alla ragazza che si è resa disponibile. Anche lei mi ha detto che l'uscita temporanea dal Forum non era possibile e alla mia richiesta sui motivi che ha spinto l'organizzazione a prendere un simile provvedimento mi è stato risposto, più o  meno alla lettera, che "sarebbe troppo complicato per noi controllare tutti quelli che escono e rientrano, così non permettiamo a nessuno di uscire per poi rientrare senza ripagare il biglietto di ingresso". La risposta mi ha lasciato alquanto sbigottito visto che mi si stava dicendo che un biglietto di ingresso ad una fiera limitava di fatto la mia libertà personale e la mia agitazione ha richiamato l'attenzione di un ragazzo "più maturo" che mi ha ripetuto lo stesso concetto aggiungendo a supporto delle sue/vostre ragioni il fatto che ogni altro locale aperto al pubblico (ad es. un cinema) si comporta allo stesso modo. Al di là del fatto che al cinema (almeno quelli che frequento io) ti fanno uscire e rientrare tranquillamente durante la proiezione (e ci mancherebbe altro!), ho fatto presente che avrei mostrato lo stesso biglietto che avevo comperato prima magari con segno di riconoscimento sopra apposto e che, in ogni caso, non spetta a me o agli utenti come me provvedere al disservizio. Sempre più allibito, ho chiesto, inoltre, se per caso, senza accorgermene, fossi entrato in un penitenziario o fossi stato fatto prigioniero. A questo punto il ragazzo, SENZA DIRMI ASSOLUTAMENTE NULLA!!!, se n'è andato nel retro mentre la ragazza con cui avevo parlato in precedenza si era nel frattempo dedicata ad un'altra signora che aveva chiesto informazioni al banco. Gli altri ragazzi dell'info-point lì presenti (almeno 5!) parlottavano allegramente tra di loro girandosi i pollici..... 
Me ne sono andato visibilmente alterato, promettendo che mi sarei rivolto altrove. Ed eccomi, infatti, a voi.

E' evidente che le direttive sulle limitazioni al rientro al Forum sono state impartite direttamente dai responsabili dell'organizzazione dell'evento. Se una cosa è risultata chiara è che il comportamento dei ragazzi con cui ho dovuto relazionarmi è stato omogeneo, avendomi tutti dato le stesse indicazioni. Quindi, benchè sia stato con loro che me la sono presa è con voi che sono adirato.
Innanzitutto sarei curioso di sapere da voi quale evento/fiera/festival o come lo vogliate chiamare non permette a nessuno di poter uscire e rientrare senza dover pagare una "tassa di rientro". A me non è mai capitato altrove: vi prego di dirmelo in modo da evitarli accuratamente come farò ed inviterò a fare in futuro per Tipicità. Vi chiedo inoltre come vi sentireste voi se qualcuno vi impedisse di entrare e uscire da una fiera per cui avete già pagato l'accesso senza pagare la "tassa di rientro". Qualcuno di voi è mai stato in vita sua un normale utente di un normale servizio?
Mi è stato fatto presente che non sarebbe troppo complicato controllare chi entra e chi esce. Se non ne siete capaci, sappiate che esistono delle società che lo fanno per PROFESSIONE, i servizi di security che lavorano DI SOLITO presso eventi di questo genere ma anche presso qualsiasi esercizio pubblico o locale di pubblico intrattenimento o di pubblici spettacoli. Se rivolgersi a dei professionisti comporta un aggravio dei costi, agite di conseguenza aumentando il prezzo degli stands e quello dei biglietti. Evitate per favore di lasciare gestire l'ingresso a un manipolo di ragazzini ma IMPEGNATEVI A FORNIRE UN SERVIZIO DI QUALITA'.
Capisco che all'entrata e soprattutto all'info-point servano ragazzi giovani e di bella presenza ma sarebbe troppo chiedere che siano anche in grado di risolvere problematiche diverse dalla semplice informazione sulla localizzazione del bagno, senza troncare di punto in bianco la conversazione e lasciando l'interlocutore a se stesso? Per carità: viva la gioventù e spazio ai giovani...... Credo però che quelli incontrati ieri siano solo stati usati per svolgere delle mansioni per cui non sono assolutamente formati e, vista la giovane età, pagarli meno, sempre ammesso che vengano pagati.
Nel caso in cui non debbano essere loro ad accogliere il mio reclamo, è mai possibile che non ci sia nessun'altro delegato a farlo o che i ragazzi non ne siano a conoscenza? E' mai possibile che debba farlo ora, per iscritto via mail? Intanto sono uscito, direte voi ed è questo quello che conta, no?
Il festival si propone di mostrare le eccellenze della Regione Marche, soprattutto nel campo della manifattura e dell'enogastronomia ed infatti le aziende e i produttori della nostra Regione figurano sempre ottimamente. Evidentemente dalle eccellenze restano escluse la CULTURA DELL'ACCOGLIENZA e la QUALITA' DEI SERVIZI visto in che modo chi a questo DOVREBBE ESSERE deputato accoglie e serve i propri stessi CITTADINI. 

Marche: l'Italia in una Regione. Spero che gli espositori giuliani e veronesi ospiti al Festival di quest'anno non si lamentino troppo di essere rappresentati in tal modo.


sabato 15 marzo 2014

La rappresentanza politica delle teste pensanti



Raramente il governo che si ha è il miglior governo possibile. Raramente la coalizione che vince le elezioni è la coalizione migliore possibile. Raramente chi vince le elezioni rappresenta la maggioranza assoluta degli elettori. Questo perché le teste pensanti, le persone intelligenti, quelle che conoscono o cercano di conoscere i problemi, quelle che ragionano sui problemi, quelle che pensano che la soluzione dei problemi passi attraverso il raziocinio e non la favola elettorale di turno, pur essendo sostanzialmente maggioranza, non riescono a farsi rappresentare. Le teste pensanti pensano con la loro testa e si distribuiscono tra le varie proposte politiche. Alcune rifiutano addirittura di essere rappresentate e rinunciano al diretto elettorale. Questo porta al frazionamento del raziocinio, e le teste pensanti si dividono in tanti rivoli che, proprio perché pensanti con la propria testa, non riescono a confluire. Le teste non pensanti, invece, amano la favoletta, e il più bravo a raccontarla ottiene il loro consenso e le rappresenta. Ecco perché, di solito, il vincitore non rappresenta la maggioranza dell’elettorato ma solo la parte che pensa di meno. E chi pensa si deve rassegnare.

Luca Craia

venerdì 14 marzo 2014

Arkeo: si elegge il nuovo direttivo.



Scaduto il triennio di carica per l’attuale Direttivo di Arkeo, è ora di procedere all’elezione del nuovo organi di governo dell’Associazione che la reggerà per il prossimo triennio. Per questo pubblico l’atto di convocazione dell’Assemblea Generale Ordinaria dei Soci che procederà all’elezione del Direttivo che, a sua volta, eleggerà al suo interno le cariche sociali ivi compresa quella del nuovo Presidente.



Il Consiglio Direttivo dell’Associazione Culturale Arkeo – Montegranaro

CONVOCA

per giovedì 27 marzo 2014 alle ore 18.30 in prima convocazione e alle ore 21.30 in seconda convocazione, presso la sede dell'Associazione in via Castelfidardo a Montegranaro

L’ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEI SOCI

per la discussione del seguente

ORDINE DEL GIORNO

1)      relazione attività svolte
2)      presentazione del bilancio consuntivo 2013
3)      elezione nuovo consiglio direttivo.

Il nuovo Consiglio Direttivo, una volta eletto, procederà all'elezione delle cariche interne e del Presidente.
In fede




Il Presidente                                                                                                             Il Segretario
Luca Craia                                                                                                               Sabina Salusti

L’invasione dei volantini pubblicitari



Il centro storico conta un cospicuo numero di edifici disabitati. Magari non tutti sono fatiscenti, magari hanno anche un aspetto decoroso, e magari hanno una cassetta della posta. Così, quando i ragazzi che consegnano materiale pubblicitario fanno il loro lavoro infilando le brossure nelle cassette come in ogni zona della città, nella parte antica questo diventa un problema. La foto che vedete ritrae il cumulo di cartacce raccolte stamattina dagli uomini del Comune in un area piuttosto circoscritta. Vi posso garantire che tutto il centro storico è disseminato di volantini pubblicitari. Ciò comporta una situazione indecorosa di sporcizia e ulteriore degrado e i pochi mezzi del Comune possono poco, col personale ridotto che si ha, per contrastarlo. Come risolverlo? Magari richiedere maggiore attenzione da parte di chi consegna il materiale, magari i proprietari delle case vuote potrebbe scrivere “no pubblicità” sulla loro cassetta della posta. Magari il Comune potrebbe intensificare l’opera ordinaria di pulizia. Un po’ di buonsenso da parte di tutti, ecco come si risolve.

Luca Craia

La dama bianca e il Popolo della Libertà di fare come ci pare.



Pensare a una donna, inserita in un contesto di potere tanto da essere spudoratamente sfoggiata dal Presidente del Consiglio (fortunatamente ex) in un incontro internazionale, che si porti a spasso in valigia 24 chili di cocaina così, come fosse la farina per la pizza ti fa credere che stiamo parlando di una deficiente, delinquente ma deficiente. Invece, a pensarci bene e conoscendo certi ambienti, appunto, di potere, la spiegazione potrebbe essere un’altra, ossia che siamo di fronte all’ennesimo episodio di deriva da delirio di onnipotenza, la conseguenza estrema della Milano da bere, il risvolto ultimo della filosofia dell’estrema libertà intesa, per citare Guzzanti, come “facciamo un po’ come cazzo ci pare”, tanto non ci può fare niente nessuno. È lo stesso concetto che Berlusconi ha sempre adottato e promulgato, assimilato anche a livelli estremamente periferici da politicucci locali e satrapetti da quattro soldi, che ora beccano sorpresi avvisi di garanzia e condanne con lo stupore di chi è convinto di non aver fatto niente di male, di aver solo esercitato la propria libertà di fregarsene delle regole.

Luca Craia

giovedì 13 marzo 2014

La nuova coscienza del valore del centro storico.



Quello che appare evidente in questa prima fase della campagna elettorale, dal mio punto di vista e per quello che concerne le cose di cui mi occupo, è il nuovo e importante interesse verso le problematiche legate al centro storico e ai beni culturali cittadini. Se ben ricordiamo, cinque anni fa sia la politica che gran parte dei montegranaresi erano convinti che, sotto la piazza, ci fosse un grosso buco vuoto. Ora, invece, esiste la coscienza di un problema, e si sta formando il concetto di centro storico come bene comune, patrimonio della città, tesoro da recuperare e proteggere. Da qui la corale volontà di dare priorità assoluta a scelte che riqualifichino la parte antica della città, volontà finora espressa palesemente da tutte le forze in campo.
Ciò mi ripaga da anni di lavoro assiduo, faticoso, a volte ingrato, i cui risultati sembrava tardassero a venire. Mi occupo del centro storico da una vita, ma negli ultimi anni ho intensificato l’azione, fondando prima Città Vecchia e poi la mia attuale associazione, da cui un costola staccatasi recentemente ha creato un ulteriore sodalizio che lavora nella stessa direzione. Sono ben tre, quindi, le realtà che si occupano della questione, con modi e sistemi diversi e non senza profonde divergenze. Meglio sarebbe stato lavorare insieme ma, evidentemente, non è stato possibile. Tutto ciò rimane, comunque, una ricchezza della quale mi picco, senza falsa modestia, di aver dato il via.
Ora è presto per cantare vittoria: risolvere i problemi del centro storico è cosa estremamente complessa e necessità di lavoro e dedizione, volontà e passione. Ma registrare questa forte inversione di tendenza fa ben sperare. Perché se è vero che le promesse elettorali vanno poi scremate almeno del 95% una volta passate le elezioni, è altrettanto vero che, se il concetto è stato assimilato e metabolizzato dalla città, ora possiamo chiedere con maggiore forza quegli interventi imprescindibili di cui il nostro centro storico necessita. A chiunque vinca le elezioni.

Luca Craia

mercoledì 12 marzo 2014

Giustì, la bicicletta e la macchina - I racconti della Marca bassa



Giustiniano, per gli amici Giustì, era un padre di famiglia di una famiglia numerosa. Non numerosissima per quegli anni – nell’immediato dopoguerra avere cinque figli era la norma – ma comunque pochi non erano e facevano un gran baccano. Oltretutto si viveva in poco più di tre stanze di una vecchia casa e i ragazzi erano abituati a vivere, mangiare, dormire ammucchiati di qua e di là. È facile immaginare quanto fosse frequente, per non dire continuo, litigare, strattonarsi, spintonarsi, farsi ogni sorta di dispetti tra cinque fratelli la cui età variava dagli otto ai quattordici anni.
Giustì andava a lavorare fuori paese. Ogni mattina prendeva la sua vecchia bicicletta, che teneva meglio della moglie, e pedalava per circa due chilometri prima di arrivare in fabbrica. C’era abituato, ma d’estate era caldo pedalare e d’inverno, sotto la pioggia, tra la neve, non era poi così piacevole. E gli anni cominciavano a sentirsi. Guadagnava bene, Giustì, da operaio specializzato con un’esperienza che gli veniva dal fatto di essersi messo a faticare in tenerissima età. Era tenuto in grande considerazione dal padrone che gli riconosceva uno stipendio di tutto rispetto. Così gli venne in mente un’idea e, senza dire nulla alla moglie, un giorno arrivò a casa all’ora di pranzo, si sedette al suo posto in silenzio, e ne informò la famiglia riunita intorno alla spianatura con la polenta fumante sopra.
“Ce compremo la machina” disse senza troppe sfumature mentre col cucchiaio raccoglieva un po’ di materiale giallo fumante condito coi grasselli del maiale. La moglie sgranò gli occhi e le cadde il cucchiaio. Ma non disse nulla. Il figlio più grande pensò di non aver capito e domandò, facendosi portavoce dello stupore del resto della famiglia:
- che si ditto, babbo? (che hai detto, batto?).
- So ditto che me vojo comprà la machina ( ho detto che mi voglio comprare la macchina).
- Allora so’ capito vè! (allora ho capito bene) disse la moglie.
- Perché, non te sta vene? (Perché, non ti sta bene?)
La moglie chinò la testa sulla polenta e non parlò più.
Ma scoppiò il parapiglia tra i figli. Carlo gridava “io me metto davanti!”, Maurizio replicava: “no! Davanti me ce metto io che so’ più grosso!”. “Davanti ce se mette le signore” sentenziò Mariarosa. Antonietta e Fabrizio, i più piccoli, cominciarono a disputarsi il posto dietro l’autista sul divanetto posteriore. La mamma piangeva sulla polenta. I due maschi più grandi cominciarono a spintonarsi, prima piano, poi sempre più forte e, in un attimo si ritrovarono aggrovigliati sul pavimento di mattoni tra insulti  e parolacce. I due più piccoli si presero per i capelli e cominciarono una gara a chi tirava di più. Mariarosa, la figlia di mezzo, corse in braccio alla madre a piangere in coro con lei.
Giustì finì la sua polenta con la sua solita flemma, senza muovere un muscolo, senza alzare lo sguardo dalla spianatura. Come se intorno a lui ci fosse la calma più serafica invece di una rissa furibonda si versò un bicchiere di vino e se lo bevette con la lentezza che meritava. Posò il bicchiere, prese il tovagliolo, si pulì bene la bocca, si alzò e battè forte i pugli sul tavolo, tanto forte che pareva un botto di capodanno. La rissa si bloccò, anzi, si congelò. I figli si voltarono verso il padre, la moglie e la figlia piangenti alzarono gli occhi verso di lui. E Giustì, con voce alta ma senza strillare, lo sguardo fermo, le mani incrociate sul petto sentenziò la sua decisione finale: “calete jò tutti!” (scendete tutti). Prese la sua bicicletta e tornò al lavoro.

Il progetto “Teatro Novelli” oggi



Due anni fa Arkeo presentò al Comune di Montegranaro un progetto della Dottoressa Maria Letizia Vallesi per il restauro e il  recupero del teatro Novelli, la splendida struttura ottocentesca sita al primo piano del Municipio. Tale progetto allora poteva essere realizzato a costo zero in quanto erano già stati reperiti degli sponsor che ne avrebbero sostenuto gli oneri.
Il teatro, negli anni ’60, fu parzialmente distrutto per far posto all’ufficio anagrafe. Vennero irrimediabilmente persi gli ordini dei palchetti e tutte le strutture a quota bassa. Fortunatamente la costruzione di un soppalco preservò da ulteriori rovine la parte alta del locale, deliziosamente decorata a tempera, decori tutt’oggi ancora conservati. La nostra proposta, dopo una prima ricognizione, fu accantonata dall’ultima amministrazione comunale poichè, per realizzarla, era propedeutico ristrutturare almeno il tetto, in quanto è impensabile recuperare dei decori sottoposti all’azione dell’acqua piovana. Evidentemente non si reputò prioritario l’intervento e si lasciò cadere la cosa, peraltro senza nemmeno un atto di rigetto ufficiale.
Oggi, insieme alla dottoressa Vallesi, abbiamo presentato il progetto alle forze in campo per le prossime elezioni, ad eccezione delle due componenti della ex maggioranza in quanto già a conoscenza dello stesso avendolo già valutato e accantonato. Alla presenza di rappresentanze delle liste Guardiamo Avanti, Movimento 5 Stelle e Montegranaro Riparti, la dottoressa Vallesi ha illustrato il progetto e dimostrato la necessità di intervenire su questo come su altri siti di interesse culturale al fine di investire per la creazione di una nuova economia legata alla cultura. Il messaggio è stato, a nostro avviso, recepito e condiviso da tutti i convenuti tanto che è stato comune l’intento di ritenere l’intervento specifico e la questione beni culturali/centro storico come prioritarie. L’incontro ha visto svilupparsi un dibattito sereno e costruttivo anche tra competitori elettorali, anche questo fatto di rilievo e che fa ben sperare su un clima più produttivo per il futuro.
In seguito lo stesso progetto è stato presentato al Commissario Prefettizio Ianieri che lo ha valutato positivamente e che si è riservato di approfondirlo anche tramite l’ausilio dei tecnici comunali.

Luca Craia

martedì 11 marzo 2014

Poletti, gli ispettori e lo Stato assassino.



Il neo Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, l’indomani dei tragici fatti di Casalnuovo di Napoli, nei quali un commerciante si è tolto la vita perché, oltre ai tanti gravosi problemi che chi lavora in proprio oggi deve affrontare a causa della pesantissima situazione economica dalla quale la nostra classe politica e dirigenziale non pare per nulla in grado di sollevarci, ha visto traboccare il vaso della sua tolleranza dopo un’ispezione da parte dell’Ufficio del Lavoro che l’ha multato perché la moglie (non un lavorante a nero, non una schiera di cinesini) lo aiutava nelle mansioni della sua attività pur non essendo iscritta a libro paga, scrive ai suoi ispettori.
Il Ministro, nella lettera aperta del 7 marzo scorso, si preoccupa dell’incolumità dei propri sottoposti per il  clima di aggressione e di intimidazione nei confronti degli ispettori del lavoro individuati come responsabili dell’accaduto”. Esprime solidarietà agli ispettori, il Ministro, si preoccupa perché essi possano continuare a svolgere serenamente il loro delicato incarico. Classifica il dramma di Casalnuovo come “un dramma umano che merita, prima di tutto, grande rispetto e pietà”.
Si guarda bene, però, il ministro, di  analizzare ogni aspetto della questione. Si guarda bene, il ministro, di verificare se non si siano travalicati i limiti del rispetto umano e dell’opportunità dell’azione ispettiva. Si guarda bene, il nostro nuovo ministro del lavoro del governo Renzi, quel governo che dovrebbe cambiare l’Italia, di prender in mano la normativa vigente e capire dove si possa intervenire perché questo sentimento avverso allo Stato, questo senso di vessazione che il contribuente sente sempre più forte tanto da non poterne più e giungere alle più estreme conseguenze, e porvi le opportune modifiche. Si guarda bene, il ministro, di adottare misure tali che portino l’azione degli ispettori ad una maggiore umanità, comprensione, elasticità nei confronti di chi sostanzialmente rispetta le norme e, magari, inasprire azioni di controllo e repressione verso quelle attività effettivamente dannose per lo Stato e la collettività come il reale lavoro nero, come i tanti laboratori cinesi che nessuno controlla o le stesse imprese italiane che violano sistematicamente ogni norma e che tanto diffuse sono proprio nella zona di Napoli.
Poletti si preoccupa degli ispettori. Gli ispettori, dal canto loro, si preoccupano per loro stessi denunciando organi di informazione, come in una missiva inviata dagli Ispettori del Lavoro della DTL di Rovigo il giorno 6 marzo a tutti gli organi competenti, ivi compreso lo stesso ministro. Nessuno, però, si preoccupa degli Italiani che non ce la fanno più. Poletti, esponente del “governo del cambiamento”, per ora non cambia nulla.

Luca Craia

lunedì 10 marzo 2014

I candidati si spartono le manifestazioni



Davvero curiosa la distribuzione delle forze politiche in campo per le elezioni amministrative ieri a Montegranaro. Essendovi due manifestazioni più o meno concomitanti, il Carneval Street in centro e il concerto del Duo Raimondi Mazzoccante a chiusura della stagione 2013/14 degli Amici della Musica all’Officina delle Arti (tra l’altro stupendo), i candidati e le loro squadre hanno ovviamente colto l’occasione per incontrare gli elettori oltre che, magari, per divertirsi un po’. Singolare, però, il fatto che tutta la squadra di Gismondi abbia praticamente occupato il Carnevale, tra frizzi, lazzi e cotillon, mentre quella della Mancini era al concerto. Praticamente nessuna contaminazione, tutti qua e tutti là. La destra tra le maschere e la sinistra con la cultura. Che vorrà dire?

Luca Craia

domenica 9 marzo 2014

Abbassiamo i toni e facciamo partire gli insulti



È sconcertante come si dica una cosa e l’esatto contrario nel giro di pochi giorni. Una frase del tipo “un insegnante capeggia un gruppo di riciclati perdenti” non mi pare esattamente un modo per abbassare i toni. Né le battute sessiste su Miss Italia di Lucentini. Eppure in questi giorni lo stesso Gismondi aveva lamentato, dopo averli alzati lui stesso, che i toni erano troppo alti (o grevi, se vogliamo) e che andavano abbassati. La lista dall’originalissimo nome “Gastone Gismondi Sindaco”, per bocca di uno dei personaggi storici del centro-destra montegranaresi, Nazzareno Di Chiara, non trova altro modo per controbattere alle accuse che gli vengono rivolte dall’avversario principale, la Lista Stranamore che, ad oggi, sembra accreditata delle maggiori possibilità di successo in questa tornata elettorale. Se a parlare di riciclati, poi, sono personaggi che occupano la scena politica cittadina da almeno trent’anni, ogni commento diventa superfluo.

Luca Craia

sabato 8 marzo 2014

Buon Vicinato - I Racconti della Marca Bassa (Luca Craia)



Terè e Giuditta avevano abitato una di fronte all’altra per quasi quarant’anni. La prima era già lì quando Giuditta si sposò con Mario e andò a vivere in via Cavour, nella casa che era della zia zitella del marito, nel frattempo passata a miglior vita. Terè all’epoca era vedova di fresco, ancora giovane e considerabile una bella donna. Probabilmente fu per quello che Giuditta la prese subito in antipatia: bella, vedova e per niente timida. Mario era uomo di sangue e Giuditta lo sapeva. Così cominciò a crearsi delle storie in testa, tra suo marito e la dirimpettaia, che nella realtà probabilmente non erano mai accadute ma che venivano alimentate nella sua fantasia da qualche battutina maliziosa di Terè e dagli ammiccamenti malcelati di Mario. Fu così che cominciò una faida di piccoli dispetti che continuò per decenni e non cessò nemmeno quando Mario morì di infarto che era appena quarantenne.
Si parlavano, le due vicine. Si prestavano anche le cose: il sale, una cipolla, un pacco di farina. Sembravano perfettamente in regola con le regole del buon vicinato. Ma poi Giuditta buttava il sale nei vasi di fiori di Terè e Terè tirava la terra alle lenzuola stese di Giuditta. Terè insegnava al gatto a fare la pipì sul portone di Giuditta e Giuditta spazzava la strada e ammonticchiava lo sporco davanti a quello di Terè. E così via discorrendo conducevano una minuscola guerra di dispetti e di nervi che l’osservatore attento poteva percepire nonostante i sorrisi e le gentilezze di facciata tra le due. Non si arrivò mai a fatti più seri, solo piccole ripicche e poco più. Giuditta pensò più volte di avvelenare il gatto di Terè ma mai ebbe il coraggio di farlo, così come Terè sognava di dar fuoco alla casa di Giuditta con Giuditta dentro ma era soltanto un suo gioco mentale. 
E un gioco mentale faceva spesso, ultimamente, Giuditta prima di dormire: immaginava ogni sera un modo nuovo di ammazzare la vicina. Era solo un gioco, un balocco per il cervello, un sistema per prendere sonno. Ma i piani che sera dopo sera organizzava con la testa appoggiata sul cuscino erano dettagliati e precisi. E sempre molto crudeli. La faceva soffrire prima di morire la povera Terè. La legava e torturava. La faceva cadere in buche profonde. La chiudeva in una stanza e appiccava il fuoco. Aveva una gran fantasia nello sceneggiare per suo uso e consumo l’omicidio della dirimpettaia. E questo la rilassava parecchio. Faceva dei bei sonni dopo. Finchè non capitò che, un mattino, scoprì che Terè era morta sul serio.
Terè era morta di morte naturale. Non l’aveva certo ammazzata lei. Giuditta era abilissima nel fantasticare di omicidi ma non sarebbe mai stata capace di organizzarne uno vero. Ciononostante fin da subito, da quando si accorse del viavai in casa di Terè e chiese lumi ad un parente della stessa mentre usciva dalla porta di casa, un nipote che la morta era riuscita ad avvertire per telefono pochi istanti prima di tirare le cuoia, cominciò a montarle dentro un cupo senso di colpa. Immotivato, si intende. Giuditta non aveva torto un capello alla morta. Ma il fatto che per mesi aveva fantasticato sulla sua morte ora la turbava non poco.
Non pianse, Giuditta, per la morte di Terè. Ma andò al funerale e all’accompagno e assistette alla tumulazione finchè la bara non fu ben murata nel fornetto. Ciò però non servì a placare l’angoscia che provava. E quella notte non riuscì a dormire. Come chiudeva gli occhi vedeva il volto della vicina, un volto scuro, arrabbiato. E per casa sentiva rumori ovattati di ogni tipo.
La notte successiva non andò affatto meglio. Era inquieta più che mai e sentiva cigolii, scalpiccii, e un fastidioso grattare contro non sapeva bene che cosa. Il mattino dopo andò dal medico e gli chiese qualcosa per dormire. Il medico non era affatto propenso a darle tranquillanti, ma le prescrisse un blando calmante.
Giuditta lo prese prima di coricarsi e si addormentò dopo pochi minuti, vuoi per via del farmaco, vuoi perché non dormiva da due notti, vuoi perché anche l’effetto psicologico in questi casi conta. Ma si svegliò verso le quattro. E sentii grattare. Sotto il letto. Sentì nettissimo il rumore di unghie che grattavano il materasso. E ne sentì anche la pressione sotto la schiena. Rimase gelata, tanto da non essere capace di muoversi né di fare un fiato. Il rumore e la pressione cessarono dopo pochi minuti ma lei rimase immobile e con gli occhi sbarrati fino alla mattina.
La luce del sole la tranquillizzò e la convinse che quello era stato solo un sogno molto vivido, forse causato dallo stress e dall’effetto del farmaco. Decise che la notte successiva avrebbe fatto a meno delle gocce prescritte dal medico. Passò una giornata normale, fece spesa, pulì la casa, si occupò dei fiori, ma sempre con un senso di terrore latente che non le dava pace. La sera, quando si coricò, si ripropose che, se avesse di nuovo avvertito qualcosa di strano sotto il letto, si sarebbe fatta coraggio, avrebbe acceso la luce, sarebbe scesa dal letto e ci avrebbe guardato sotto.
Non dormì fino alle quattro, ma passò dalla veglia al dormiveglia di continuo. Alle quattro in punto – le segnava la radiosveglia – sentì grattare sotto il letto. Di primo acchito restò impietrita, ma si ricordò dei suoi propositi e accese la luce. Il grattare cessò. Scese dal letto con poca convinzione, si mise sulle ginocchia e guardò sotto il letto. Un’ombra sgusciò via veloce dalla parte opposta ma Giuditta fece bene in tempo a vedere cosa fosse: era il gatto di Terè. Come fosse entrato in casa non riusciva a capirlo né capiva dove fosse fuggito. Quando si fu ripresa dallo spavento cercò dappertutto ma della bestia non c’era traccia. La cosa la inquietò e tranquillizzò allo stesso tempo: anche se la presenza del gatto era strana e piuttosto spaventosa era pur sempre una spiegazione razionale a quello che aveva sentito e, quantomeno, escludeva robe di fantasmi e simili.
La notte successiva andò a dormire un po’ più rilassata ma con l’intento di acchiappare il gatto se si fosse ripresentato a disturbarle il sonno. Fu così che alle quattro in punto fu svegliata dall’ormai consueto grattare sotto il materasso. Non si scompose più di tanto e non accese la luce: voleva beccare il gatto e magari farlo fuori. Scese dal letto piano piano, si mise in ginocchio e si affacciò sotto il letto. Vide un’ombra, ma piuttosto grossa, non sembrava un gatto. Senza perdere di vista la sagoma allungò all’indietro un braccio per accendere la luce e, quando la lampadina illuminò parzialmente lo spazio tra il letto e il pavimento, vide il ghigno divertito di Terè che, contemporaneamente all’accensione della luce le gridò: “Cucù!”.
La trovarono dopo tre giorni, stesa accanto al letto. La trovarono perché la nipote la cercava. La trovarono con gli occhi aperti e un’espressione di terrore in volto. Ictus, dissero. La tumularono in un fornetto di fronte a quello di Terè.