giovedì 13 marzo 2014

La nuova coscienza del valore del centro storico.



Quello che appare evidente in questa prima fase della campagna elettorale, dal mio punto di vista e per quello che concerne le cose di cui mi occupo, è il nuovo e importante interesse verso le problematiche legate al centro storico e ai beni culturali cittadini. Se ben ricordiamo, cinque anni fa sia la politica che gran parte dei montegranaresi erano convinti che, sotto la piazza, ci fosse un grosso buco vuoto. Ora, invece, esiste la coscienza di un problema, e si sta formando il concetto di centro storico come bene comune, patrimonio della città, tesoro da recuperare e proteggere. Da qui la corale volontà di dare priorità assoluta a scelte che riqualifichino la parte antica della città, volontà finora espressa palesemente da tutte le forze in campo.
Ciò mi ripaga da anni di lavoro assiduo, faticoso, a volte ingrato, i cui risultati sembrava tardassero a venire. Mi occupo del centro storico da una vita, ma negli ultimi anni ho intensificato l’azione, fondando prima Città Vecchia e poi la mia attuale associazione, da cui un costola staccatasi recentemente ha creato un ulteriore sodalizio che lavora nella stessa direzione. Sono ben tre, quindi, le realtà che si occupano della questione, con modi e sistemi diversi e non senza profonde divergenze. Meglio sarebbe stato lavorare insieme ma, evidentemente, non è stato possibile. Tutto ciò rimane, comunque, una ricchezza della quale mi picco, senza falsa modestia, di aver dato il via.
Ora è presto per cantare vittoria: risolvere i problemi del centro storico è cosa estremamente complessa e necessità di lavoro e dedizione, volontà e passione. Ma registrare questa forte inversione di tendenza fa ben sperare. Perché se è vero che le promesse elettorali vanno poi scremate almeno del 95% una volta passate le elezioni, è altrettanto vero che, se il concetto è stato assimilato e metabolizzato dalla città, ora possiamo chiedere con maggiore forza quegli interventi imprescindibili di cui il nostro centro storico necessita. A chiunque vinca le elezioni.

Luca Craia

mercoledì 12 marzo 2014

Giustì, la bicicletta e la macchina - I racconti della Marca bassa



Giustiniano, per gli amici Giustì, era un padre di famiglia di una famiglia numerosa. Non numerosissima per quegli anni – nell’immediato dopoguerra avere cinque figli era la norma – ma comunque pochi non erano e facevano un gran baccano. Oltretutto si viveva in poco più di tre stanze di una vecchia casa e i ragazzi erano abituati a vivere, mangiare, dormire ammucchiati di qua e di là. È facile immaginare quanto fosse frequente, per non dire continuo, litigare, strattonarsi, spintonarsi, farsi ogni sorta di dispetti tra cinque fratelli la cui età variava dagli otto ai quattordici anni.
Giustì andava a lavorare fuori paese. Ogni mattina prendeva la sua vecchia bicicletta, che teneva meglio della moglie, e pedalava per circa due chilometri prima di arrivare in fabbrica. C’era abituato, ma d’estate era caldo pedalare e d’inverno, sotto la pioggia, tra la neve, non era poi così piacevole. E gli anni cominciavano a sentirsi. Guadagnava bene, Giustì, da operaio specializzato con un’esperienza che gli veniva dal fatto di essersi messo a faticare in tenerissima età. Era tenuto in grande considerazione dal padrone che gli riconosceva uno stipendio di tutto rispetto. Così gli venne in mente un’idea e, senza dire nulla alla moglie, un giorno arrivò a casa all’ora di pranzo, si sedette al suo posto in silenzio, e ne informò la famiglia riunita intorno alla spianatura con la polenta fumante sopra.
“Ce compremo la machina” disse senza troppe sfumature mentre col cucchiaio raccoglieva un po’ di materiale giallo fumante condito coi grasselli del maiale. La moglie sgranò gli occhi e le cadde il cucchiaio. Ma non disse nulla. Il figlio più grande pensò di non aver capito e domandò, facendosi portavoce dello stupore del resto della famiglia:
- che si ditto, babbo? (che hai detto, batto?).
- So ditto che me vojo comprà la machina ( ho detto che mi voglio comprare la macchina).
- Allora so’ capito vè! (allora ho capito bene) disse la moglie.
- Perché, non te sta vene? (Perché, non ti sta bene?)
La moglie chinò la testa sulla polenta e non parlò più.
Ma scoppiò il parapiglia tra i figli. Carlo gridava “io me metto davanti!”, Maurizio replicava: “no! Davanti me ce metto io che so’ più grosso!”. “Davanti ce se mette le signore” sentenziò Mariarosa. Antonietta e Fabrizio, i più piccoli, cominciarono a disputarsi il posto dietro l’autista sul divanetto posteriore. La mamma piangeva sulla polenta. I due maschi più grandi cominciarono a spintonarsi, prima piano, poi sempre più forte e, in un attimo si ritrovarono aggrovigliati sul pavimento di mattoni tra insulti  e parolacce. I due più piccoli si presero per i capelli e cominciarono una gara a chi tirava di più. Mariarosa, la figlia di mezzo, corse in braccio alla madre a piangere in coro con lei.
Giustì finì la sua polenta con la sua solita flemma, senza muovere un muscolo, senza alzare lo sguardo dalla spianatura. Come se intorno a lui ci fosse la calma più serafica invece di una rissa furibonda si versò un bicchiere di vino e se lo bevette con la lentezza che meritava. Posò il bicchiere, prese il tovagliolo, si pulì bene la bocca, si alzò e battè forte i pugli sul tavolo, tanto forte che pareva un botto di capodanno. La rissa si bloccò, anzi, si congelò. I figli si voltarono verso il padre, la moglie e la figlia piangenti alzarono gli occhi verso di lui. E Giustì, con voce alta ma senza strillare, lo sguardo fermo, le mani incrociate sul petto sentenziò la sua decisione finale: “calete jò tutti!” (scendete tutti). Prese la sua bicicletta e tornò al lavoro.

Il progetto “Teatro Novelli” oggi



Due anni fa Arkeo presentò al Comune di Montegranaro un progetto della Dottoressa Maria Letizia Vallesi per il restauro e il  recupero del teatro Novelli, la splendida struttura ottocentesca sita al primo piano del Municipio. Tale progetto allora poteva essere realizzato a costo zero in quanto erano già stati reperiti degli sponsor che ne avrebbero sostenuto gli oneri.
Il teatro, negli anni ’60, fu parzialmente distrutto per far posto all’ufficio anagrafe. Vennero irrimediabilmente persi gli ordini dei palchetti e tutte le strutture a quota bassa. Fortunatamente la costruzione di un soppalco preservò da ulteriori rovine la parte alta del locale, deliziosamente decorata a tempera, decori tutt’oggi ancora conservati. La nostra proposta, dopo una prima ricognizione, fu accantonata dall’ultima amministrazione comunale poichè, per realizzarla, era propedeutico ristrutturare almeno il tetto, in quanto è impensabile recuperare dei decori sottoposti all’azione dell’acqua piovana. Evidentemente non si reputò prioritario l’intervento e si lasciò cadere la cosa, peraltro senza nemmeno un atto di rigetto ufficiale.
Oggi, insieme alla dottoressa Vallesi, abbiamo presentato il progetto alle forze in campo per le prossime elezioni, ad eccezione delle due componenti della ex maggioranza in quanto già a conoscenza dello stesso avendolo già valutato e accantonato. Alla presenza di rappresentanze delle liste Guardiamo Avanti, Movimento 5 Stelle e Montegranaro Riparti, la dottoressa Vallesi ha illustrato il progetto e dimostrato la necessità di intervenire su questo come su altri siti di interesse culturale al fine di investire per la creazione di una nuova economia legata alla cultura. Il messaggio è stato, a nostro avviso, recepito e condiviso da tutti i convenuti tanto che è stato comune l’intento di ritenere l’intervento specifico e la questione beni culturali/centro storico come prioritarie. L’incontro ha visto svilupparsi un dibattito sereno e costruttivo anche tra competitori elettorali, anche questo fatto di rilievo e che fa ben sperare su un clima più produttivo per il futuro.
In seguito lo stesso progetto è stato presentato al Commissario Prefettizio Ianieri che lo ha valutato positivamente e che si è riservato di approfondirlo anche tramite l’ausilio dei tecnici comunali.

Luca Craia

martedì 11 marzo 2014

Poletti, gli ispettori e lo Stato assassino.



Il neo Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, l’indomani dei tragici fatti di Casalnuovo di Napoli, nei quali un commerciante si è tolto la vita perché, oltre ai tanti gravosi problemi che chi lavora in proprio oggi deve affrontare a causa della pesantissima situazione economica dalla quale la nostra classe politica e dirigenziale non pare per nulla in grado di sollevarci, ha visto traboccare il vaso della sua tolleranza dopo un’ispezione da parte dell’Ufficio del Lavoro che l’ha multato perché la moglie (non un lavorante a nero, non una schiera di cinesini) lo aiutava nelle mansioni della sua attività pur non essendo iscritta a libro paga, scrive ai suoi ispettori.
Il Ministro, nella lettera aperta del 7 marzo scorso, si preoccupa dell’incolumità dei propri sottoposti per il  clima di aggressione e di intimidazione nei confronti degli ispettori del lavoro individuati come responsabili dell’accaduto”. Esprime solidarietà agli ispettori, il Ministro, si preoccupa perché essi possano continuare a svolgere serenamente il loro delicato incarico. Classifica il dramma di Casalnuovo come “un dramma umano che merita, prima di tutto, grande rispetto e pietà”.
Si guarda bene, però, il ministro, di  analizzare ogni aspetto della questione. Si guarda bene, il ministro, di verificare se non si siano travalicati i limiti del rispetto umano e dell’opportunità dell’azione ispettiva. Si guarda bene, il nostro nuovo ministro del lavoro del governo Renzi, quel governo che dovrebbe cambiare l’Italia, di prender in mano la normativa vigente e capire dove si possa intervenire perché questo sentimento avverso allo Stato, questo senso di vessazione che il contribuente sente sempre più forte tanto da non poterne più e giungere alle più estreme conseguenze, e porvi le opportune modifiche. Si guarda bene, il ministro, di adottare misure tali che portino l’azione degli ispettori ad una maggiore umanità, comprensione, elasticità nei confronti di chi sostanzialmente rispetta le norme e, magari, inasprire azioni di controllo e repressione verso quelle attività effettivamente dannose per lo Stato e la collettività come il reale lavoro nero, come i tanti laboratori cinesi che nessuno controlla o le stesse imprese italiane che violano sistematicamente ogni norma e che tanto diffuse sono proprio nella zona di Napoli.
Poletti si preoccupa degli ispettori. Gli ispettori, dal canto loro, si preoccupano per loro stessi denunciando organi di informazione, come in una missiva inviata dagli Ispettori del Lavoro della DTL di Rovigo il giorno 6 marzo a tutti gli organi competenti, ivi compreso lo stesso ministro. Nessuno, però, si preoccupa degli Italiani che non ce la fanno più. Poletti, esponente del “governo del cambiamento”, per ora non cambia nulla.

Luca Craia

lunedì 10 marzo 2014

I candidati si spartono le manifestazioni



Davvero curiosa la distribuzione delle forze politiche in campo per le elezioni amministrative ieri a Montegranaro. Essendovi due manifestazioni più o meno concomitanti, il Carneval Street in centro e il concerto del Duo Raimondi Mazzoccante a chiusura della stagione 2013/14 degli Amici della Musica all’Officina delle Arti (tra l’altro stupendo), i candidati e le loro squadre hanno ovviamente colto l’occasione per incontrare gli elettori oltre che, magari, per divertirsi un po’. Singolare, però, il fatto che tutta la squadra di Gismondi abbia praticamente occupato il Carnevale, tra frizzi, lazzi e cotillon, mentre quella della Mancini era al concerto. Praticamente nessuna contaminazione, tutti qua e tutti là. La destra tra le maschere e la sinistra con la cultura. Che vorrà dire?

Luca Craia

domenica 9 marzo 2014

Abbassiamo i toni e facciamo partire gli insulti



È sconcertante come si dica una cosa e l’esatto contrario nel giro di pochi giorni. Una frase del tipo “un insegnante capeggia un gruppo di riciclati perdenti” non mi pare esattamente un modo per abbassare i toni. Né le battute sessiste su Miss Italia di Lucentini. Eppure in questi giorni lo stesso Gismondi aveva lamentato, dopo averli alzati lui stesso, che i toni erano troppo alti (o grevi, se vogliamo) e che andavano abbassati. La lista dall’originalissimo nome “Gastone Gismondi Sindaco”, per bocca di uno dei personaggi storici del centro-destra montegranaresi, Nazzareno Di Chiara, non trova altro modo per controbattere alle accuse che gli vengono rivolte dall’avversario principale, la Lista Stranamore che, ad oggi, sembra accreditata delle maggiori possibilità di successo in questa tornata elettorale. Se a parlare di riciclati, poi, sono personaggi che occupano la scena politica cittadina da almeno trent’anni, ogni commento diventa superfluo.

Luca Craia

sabato 8 marzo 2014

Buon Vicinato - I Racconti della Marca Bassa (Luca Craia)



Terè e Giuditta avevano abitato una di fronte all’altra per quasi quarant’anni. La prima era già lì quando Giuditta si sposò con Mario e andò a vivere in via Cavour, nella casa che era della zia zitella del marito, nel frattempo passata a miglior vita. Terè all’epoca era vedova di fresco, ancora giovane e considerabile una bella donna. Probabilmente fu per quello che Giuditta la prese subito in antipatia: bella, vedova e per niente timida. Mario era uomo di sangue e Giuditta lo sapeva. Così cominciò a crearsi delle storie in testa, tra suo marito e la dirimpettaia, che nella realtà probabilmente non erano mai accadute ma che venivano alimentate nella sua fantasia da qualche battutina maliziosa di Terè e dagli ammiccamenti malcelati di Mario. Fu così che cominciò una faida di piccoli dispetti che continuò per decenni e non cessò nemmeno quando Mario morì di infarto che era appena quarantenne.
Si parlavano, le due vicine. Si prestavano anche le cose: il sale, una cipolla, un pacco di farina. Sembravano perfettamente in regola con le regole del buon vicinato. Ma poi Giuditta buttava il sale nei vasi di fiori di Terè e Terè tirava la terra alle lenzuola stese di Giuditta. Terè insegnava al gatto a fare la pipì sul portone di Giuditta e Giuditta spazzava la strada e ammonticchiava lo sporco davanti a quello di Terè. E così via discorrendo conducevano una minuscola guerra di dispetti e di nervi che l’osservatore attento poteva percepire nonostante i sorrisi e le gentilezze di facciata tra le due. Non si arrivò mai a fatti più seri, solo piccole ripicche e poco più. Giuditta pensò più volte di avvelenare il gatto di Terè ma mai ebbe il coraggio di farlo, così come Terè sognava di dar fuoco alla casa di Giuditta con Giuditta dentro ma era soltanto un suo gioco mentale. 
E un gioco mentale faceva spesso, ultimamente, Giuditta prima di dormire: immaginava ogni sera un modo nuovo di ammazzare la vicina. Era solo un gioco, un balocco per il cervello, un sistema per prendere sonno. Ma i piani che sera dopo sera organizzava con la testa appoggiata sul cuscino erano dettagliati e precisi. E sempre molto crudeli. La faceva soffrire prima di morire la povera Terè. La legava e torturava. La faceva cadere in buche profonde. La chiudeva in una stanza e appiccava il fuoco. Aveva una gran fantasia nello sceneggiare per suo uso e consumo l’omicidio della dirimpettaia. E questo la rilassava parecchio. Faceva dei bei sonni dopo. Finchè non capitò che, un mattino, scoprì che Terè era morta sul serio.
Terè era morta di morte naturale. Non l’aveva certo ammazzata lei. Giuditta era abilissima nel fantasticare di omicidi ma non sarebbe mai stata capace di organizzarne uno vero. Ciononostante fin da subito, da quando si accorse del viavai in casa di Terè e chiese lumi ad un parente della stessa mentre usciva dalla porta di casa, un nipote che la morta era riuscita ad avvertire per telefono pochi istanti prima di tirare le cuoia, cominciò a montarle dentro un cupo senso di colpa. Immotivato, si intende. Giuditta non aveva torto un capello alla morta. Ma il fatto che per mesi aveva fantasticato sulla sua morte ora la turbava non poco.
Non pianse, Giuditta, per la morte di Terè. Ma andò al funerale e all’accompagno e assistette alla tumulazione finchè la bara non fu ben murata nel fornetto. Ciò però non servì a placare l’angoscia che provava. E quella notte non riuscì a dormire. Come chiudeva gli occhi vedeva il volto della vicina, un volto scuro, arrabbiato. E per casa sentiva rumori ovattati di ogni tipo.
La notte successiva non andò affatto meglio. Era inquieta più che mai e sentiva cigolii, scalpiccii, e un fastidioso grattare contro non sapeva bene che cosa. Il mattino dopo andò dal medico e gli chiese qualcosa per dormire. Il medico non era affatto propenso a darle tranquillanti, ma le prescrisse un blando calmante.
Giuditta lo prese prima di coricarsi e si addormentò dopo pochi minuti, vuoi per via del farmaco, vuoi perché non dormiva da due notti, vuoi perché anche l’effetto psicologico in questi casi conta. Ma si svegliò verso le quattro. E sentii grattare. Sotto il letto. Sentì nettissimo il rumore di unghie che grattavano il materasso. E ne sentì anche la pressione sotto la schiena. Rimase gelata, tanto da non essere capace di muoversi né di fare un fiato. Il rumore e la pressione cessarono dopo pochi minuti ma lei rimase immobile e con gli occhi sbarrati fino alla mattina.
La luce del sole la tranquillizzò e la convinse che quello era stato solo un sogno molto vivido, forse causato dallo stress e dall’effetto del farmaco. Decise che la notte successiva avrebbe fatto a meno delle gocce prescritte dal medico. Passò una giornata normale, fece spesa, pulì la casa, si occupò dei fiori, ma sempre con un senso di terrore latente che non le dava pace. La sera, quando si coricò, si ripropose che, se avesse di nuovo avvertito qualcosa di strano sotto il letto, si sarebbe fatta coraggio, avrebbe acceso la luce, sarebbe scesa dal letto e ci avrebbe guardato sotto.
Non dormì fino alle quattro, ma passò dalla veglia al dormiveglia di continuo. Alle quattro in punto – le segnava la radiosveglia – sentì grattare sotto il letto. Di primo acchito restò impietrita, ma si ricordò dei suoi propositi e accese la luce. Il grattare cessò. Scese dal letto con poca convinzione, si mise sulle ginocchia e guardò sotto il letto. Un’ombra sgusciò via veloce dalla parte opposta ma Giuditta fece bene in tempo a vedere cosa fosse: era il gatto di Terè. Come fosse entrato in casa non riusciva a capirlo né capiva dove fosse fuggito. Quando si fu ripresa dallo spavento cercò dappertutto ma della bestia non c’era traccia. La cosa la inquietò e tranquillizzò allo stesso tempo: anche se la presenza del gatto era strana e piuttosto spaventosa era pur sempre una spiegazione razionale a quello che aveva sentito e, quantomeno, escludeva robe di fantasmi e simili.
La notte successiva andò a dormire un po’ più rilassata ma con l’intento di acchiappare il gatto se si fosse ripresentato a disturbarle il sonno. Fu così che alle quattro in punto fu svegliata dall’ormai consueto grattare sotto il materasso. Non si scompose più di tanto e non accese la luce: voleva beccare il gatto e magari farlo fuori. Scese dal letto piano piano, si mise in ginocchio e si affacciò sotto il letto. Vide un’ombra, ma piuttosto grossa, non sembrava un gatto. Senza perdere di vista la sagoma allungò all’indietro un braccio per accendere la luce e, quando la lampadina illuminò parzialmente lo spazio tra il letto e il pavimento, vide il ghigno divertito di Terè che, contemporaneamente all’accensione della luce le gridò: “Cucù!”.
La trovarono dopo tre giorni, stesa accanto al letto. La trovarono perché la nipote la cercava. La trovarono con gli occhi aperti e un’espressione di terrore in volto. Ictus, dissero. La tumularono in un fornetto di fronte a quello di Terè.

Partito il restauro del Crocifisso di Sant’Ugo



È stato consegnato stamattina nelle mani di Marco Salusti il Crocifisso di Sant’Ugo. Il restauratore procederà al suo recupero totale ed è molto ottimista sul risultato: riusciremo a riportarlo all’antico splendore. Il restauro è approvato dal MIBAC e dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici delle Marche di Urbino ed è interamente finanziato da Arkeo tramite libere donazioni dei soci e le offerte raccolte durante le visite turistiche. Il Crocifisso ligneo è databile al secolo XVI ed è di preziosissima fattura, policromo, anche se l’incarnato è stato successivamente coperto da una tintura bronzea, e con la croce decorata a foglia d’oro. L’incarnato dovrebbe tornare al suo aspetto originale ed è anche presumibile che la croce, nonostante la perdita di porzioni di doratura, possa essere recuperata in maniera più che soddisfacente. I lavori dovrebbero terminare per fine maggio, quando organizzeremo una manifestazione per la ricollocazione del Crocifisso al suo posto.

Luca Craia

venerdì 7 marzo 2014

A proposito del centro destra montegranarese – di Gianluca Franceschetti



Innanzitutto ringrazio il blog “L’Ape Ronza” per lo spazio che mi concede nel commentare il post che hai pubblicato dal titolo “che bel centrodestra a Montegranaro”. Vorrei ( ti do del tu in quanto darti del lei mi sembrerebbe eccessivamente asettico) farti i complimenti per le tue “riflessioni” che pubblichi nel blog in quanto sono ben scritte e stimolano una valutazione interessante per chi legge determinando discussioni e dibattiti utili sia per le tematiche inerenti la città di montegranaro sia per tematiche di carattere generale. Sottolineo che i miei complimenti non sono né pelosi né tantomeno una captatio benevolentiae in quanto personalmente detesto l’ipocrisia in ogni sua forma quindi ribadisco i sinceri complimenti per il tuo impegno nel dare spazio alle vicende cittadine e non. Ho deciso di intervenire nel blog inserendo un commento o meglio, una mia “riflessione sul microcosmo”, in quanto per circa 4 anni sono stato coordinatore comunale del PDL di Montegranaro ed attualmente ho assunto un incarico politico all’interno della dirigenza provinciale e regionale di “Forza Italia”. Sebbene non sia più segretario comunale del partito avendo assunto un impegno politico per l’intero territorio ritengo di sentirmi in qualche modo coinvolto dall’articolo da te pubblicato in cui metti in risalto le tante contraddizioni del centrodestra veregrense. Le mie sono riflessioni non partigiane in quanto sebbene io mi dichiari apertamente politicizzato in quanto membro della dirigenza di un partito, mi riconosco una onestà intellettuale tale da non consentirmi di avere il c.d. “prosciutto davanti agli occhi”. E’ indubbiamente vero che il quadro politico cittadino è estremamente frammentato con particolare riguardo all’area politica del centrodestra, la quale si presenta frastagliata all’appuntamento elettorale amministrativo e ciò, chiaramente dal mio punto di vista, non è positivo. Le varie componenti politiche che si rifacevano alle esperienze delle precedenti amministrazioni comunali si sono in qualche modo atomizzate scegliendo percorsi diversi e spesso contraddittori. Di certo la parte politica che rappresento, ovvero Forza Italia, guarda con una certa perplessità a ciò che stà succedendo e non di meno ci interroghiamo sul perché di questo quadro politico a dir poco sfilacciato. Consentimi di affermare che il centrodestra cittadino non è solo ciò che tu hai rappresentato nell’articolo pubblicato poiché a tale schieramento fanno parte altri soggetti, quali il sottoscritto ad esempio, che si impegnano per costruire una visione politica moderna e non più ancorata a logiche preistoriche e ciò sia per ragioni anagrafiche sia per una modalità di azione politica più aperta mentalmente. Nello specifico dell’articolo non nascondo di concordare con parte dei contenuti quali ad esempio la scarsamente comprensibile iniziativa dei cosiddetti dissidenti. All’epoca della crisi amministrativa della giunta del sindaco Gismondi mi attivai in qualità di presidente dell’ allora PDL ovvero il maggior partito politico del centrodestra cittadino , come tra l’altro ampiamente riportato dai locali organi di stampa, affinchè si intavolasse un confronto tra i vari protagonisti della crisi amministrativa ed ascoltai le motivazioni degli uni e degli altri ritenendo che si potesse arrivare ad una sintesi delle varie istanze politiche consentendo un termine naturale della sindacatura Gismondi. A tal proposito invitai i cosiddetti dissidenti ad avanzare proposte migliorative rispetto all’andamento della giunta o perlomeno ad avviare un dialogo in cui le legittime rimostranze potessero essere risolte mettendo in campo un rilancio dell’azione programmatica per i successivi ultimi mesi ma non ci fu nulla da fare. A mio modesto avviso vi fu un certo grado di presunzione politica da parte dei sempre cosiddetti dissidenti , i quali non hanno all’epoca considerato le conseguenze vere e proprie di una sfiducia al sindaco a soli 7/8 mesi dalle elezioni da parte di chi aveva condiviso con lui circa 4 anni di convivenza politica con posizioni anche importanti all’interno della giunta comunale. Attualmente ritengo si stia compiendo da parte loro un ulteriore errore politico in quanto trovo poco sensato proporre una convergenza politica iniziando con una conventio ad excludendum. Io non mi considero un Kissinger della politica ma di solito le alleanze si propongono con un confronto, volendo anche aspro, sui temi e sui programmi da eseguire nel corso della amministrazione e non sul “ Ci sto io se lui non c’è”. Tutto ciò lo trovo perlomeno politicamente sbagliato e spero che il dialogo, se proprio si potrà riavviare, si faccia sulla visione che ciascuno dei soggetti in questione ha del futuro di Montegranaro e non sui nomi in quanto la trovo una prassi politica palesemente vecchio stile. Alla fine del tuo intervento sostieni che laddove il centrodestra si ricompattasse ne vedremo delle belle e sarebbe divertente: di certo personalmente mi auguro che un giorno le varie anime del centrodestra cittadino si possano ricompattare ma sui temi generali ed intorno ad una visione condivisa del futuro della città superando finalmente veti personali e protagonismi vari. In ordine a quanto tu affermi circa l’avvio di campagna elettorale, prendendo spunto dal termine “Lista Stranamore” , dato che anche io amo il regista stanley kubrik come penso te dato il titolo che hai dato a quella lista, condivido la preoccupazione che la campagna elettorale si trasformi in una orrenda “Arancia Meccanica” di tutti contro tutti. Sottolineo che nella mia visione la partecipazione democratica alla vita politica è sacrosanta e quindi il fatto che vi siano più liste e quindi più cittadini che si impegnano in politica è sicuramente un bene. Tuttavia l’inizio di questa campagna elettorale appare non consono ad un sano dialogo democratico tra avversari politici portatori di diverse visioni amministrative: la ex opposizione si è scagliata in maniera frontale contro Gismondi definendo in maniera eccessiva il suo operato come una sorta di sciagura biblica per la città e da par suo Gismondi reagisce in maniera talvolta troppo muscolare. Non intendo scendere nel merito delle tematiche da te toccate circa la polemica politica tra schieramenti ma consentimi di non essere d’accordo con una tua certa analisi politica che posso anche rispettare ma non condivido. In particolare , seppur risulti evidente che come tu affermi l’opposizione debba essere opposizione ritengo del pari vero che siamo entrati in una fase di campagna elettorale e, dal mio punto di vista, ritengo politicamente non condivisibile che lo schieramento che fa capo alla candidata Ediana Mancini, persona indubbiamente perbene, si stia attualmente comportando come se ancora fosse all’opposizione. La lista “Montegranaro Riparti” è espressione di forze politiche che si sono legittimamente candidate al governo della città per cui personalmente nutro politicamente un rispetto che va al di là delle differenti visioni e trovo sia interessante sapere ciò che loro intendono fare per la città laddove vincessero le elezioni piuttosto che leggere quotidianamente sui giornali una opposizione all’operato della precedente amministrazione tra l’altro fatta fuori tempo massimo. Senza riferirmi a fatti specifici ciò non toglie evidentemente che la dialettica politica debba essere impostata su toni decisi in quanto oltre l’ipocrisia odio il buonismo in stile “volemose bene”, ma ritengo che tra avversari politici si imponga un pieno riconoscimento reciproco ed un rispetto delle opinioni altrui con conseguente esclusione di attacchi ad personam in quanto deve prevalere l’interesse generale ovvero cosa si vuole fare per Montegranaro o meglio, quale Montegranaro si intende proiettare in un futuro prossimo a maggior ragione quando il presente si prospetta pieno di incognite. Infine mi dispiace che il movimento 5 stelle cittadino denunci la paura di ripercussioni come causa di una difficoltà a coinvolgere cittadini nel loro movimento politico: nel solidarizzare con loro al di là delle differenti visioni politiche e pur non conoscendo i fatti in specifico ritengo che questo non sia un bel segno e purtroppo ritengo che ciò sia conseguenza di un nefasto clima da guerra civile che sembra esserci al momento fatto di attacchi personali e toni verbali esacerbati in stile guelfi contro ghibellini, il tutto tra il comprensibile sconcerto dei cittadini. Purtroppo anche Forza Italia, al di là dell’opinione che ciascuno può avere di quel partito, sebbene raccolga a Montegranaro un largo consenso elettorale, incontra notevoli difficoltà a coinvolgere cittadini nella politica attiva e questo è un dato che deve far riflettere tutti coloro che a vario titolo si interessano alla cosiddetta vita pubblica perché, lo voglio ripetere a costo di risultare stucchevole, l’impegno politico a mio avviso è comunque un bene ed una risorsa per la città. Posso solo concludere questa mia “riflessione” augurandomi che si ristabilisca un dialogo sereno tra le forze politiche cittadine tale da rendere vivace ma corretto il confronto politico e che sempre più cittadini si avvicinino alla politica perché credo che, sebbene la politica nazionale abbia spesso dato un cattivo esempio ed abbia contribuito ad allontanare i cittadini dalla partecipazione attiva, l’impegno politico resta l’espressione di un senso civico per la collettività. Scusandomi per essermi dilungato ti ringrazio e ti saluto cordialmente.

Gianluca Franceschetti

lunedì 3 marzo 2014

Il coordinamento delle associazioni non funziona



Ne parliamo ormai da talmente tanto tempo che pare incredibile come ancora non si riesca ad impostare un coordinamento serio delle attività culturali da parte delle associazioni che operano sul territorio. Eppure, dopo in Presepe Vivente, riuscitissimo, per carità, ma per il quale sono state coinvolte solo alcune associazioni piuttosto che altre su base squisitamente discrezionale, ora ci troviamo a guardare un carnevale organizzato dall’ufficio cultura del Comune coinvolgendo alcune associazioni e altre no. Capita quindi che, nella stessa data, si verifichi un concerto organizzato dagli Amici della Musica, nel quale è inserita anche una esibizione della Banda Omero Ruggieri e, in centro, altre associazioni fanno festa.
Parlo per Arkeo, l’associazione che presiedo, e affermo che nessuno ci ha mai chiesto alcunché circa il carnevale, e so per certo che nemmeno la Banda né gli Amici della Musica sono stati consultati. È quindi evidente che il coordinamento, ancora una volta, non ha funzionato. Ne consegue che a Montegranaro non si riesce ad avere coralità nell’organizzazione delle manifestazioni e, cosa ancor più grave, gli accavallamenti degli eventi sulla stessa data continuano a verificarsi.
Eppure la Proloco c’è e funziona ed è proprio questo il ruolo principale che dovrebbe assumersi. Perché ciò non accada è un mistero. Basterebbe che ogni evento e ogni associazione che ne organizzi uno lo comunichi e lo faccia passare attraverso la Proloco, che poi a sua volta andrebbe ad interfacciarsi con l’ufficio cultura del Comune e i problemi sarebbero risolti senza troppe complicazioni. Perché non lo si fa? Che ci si guadagna con questo caos?

Luca Craia

Clima teso oltremisura a Montegranaro



Non è una campagna elettorale serena quella che si sta articolando a Montegranaro. Che non lo sarebbe stata era chiaro fin da quando cadde la giunta Gismondi, perché era evidente l’astio tra i due rami del centro-destra dopo il divorzio. Ad amplificare l’aria avvelenata forse anche la presenza di tante liste che rende particolarmente dura la competizione e, infine, le notizie nefaste sui colossali debiti fuori bilancio che la prossima amministrazione dovrà affrontare. Tutto questo innervosisce i contendenti, in particolare quelli riconducibili alle ultime amministrazioni che, ricordiamolo, per quindici lunghi anni sono state tutte targate centro-destra e non direttamente Gianni Basso. È da qui, infatti, che i toni arrivano più accesi e le argomentazioni si spostano dalla proposta all’attacco personale, con grave danno per la dialettica democratica.
Fa però rabbrividire quanto si legge tra le righe di un articolo apparso sul blog del Movimento 5 Stelle montegranarese, secondo il quale le difficoltà da loro incontrate nel compilare la lista elettorale sono imputabili anche ad una sorta di clima intimidatorio, dove le persone non si espongono perché avrebbero “paura di ripercussioni”. Già questa atmosfera è sentita da diversi candidati e certamente lo scontro democratico non ne trae giovamento. La speranza è che si tratti più di una sensazione che di una situazione reale, altrimenti vorrebbe dire che la nostra povera città sta attraversando uno dei periodi più bui della sua storia.

Luca Craia

domenica 2 marzo 2014

Che bel centro-destra a Montegranaro



Il nuovo che avanza, i “dissidenti”, il nuovo volto del centro-destra montegranaresi, oltre a quello dei tre artefici del commissariamento del Comune di Montegranaro (il quarto pare fosse malato), è il volto di due giovanissimi del panorama politico di casa nostra: Giuseppe Tappatà, storico segretario dell’allora PSI di Basso, e di Giancarlo Venanzi, il cui curriculum politico è noto a tutti, due ragazzini. La loro proposta? Udite udite: ricompattiamo la coalizione, basta che se ne vada Gismondi. Ma come, dico io, volete ricombattere una colazione che avete giudicato fallimentare al punto da far cadere l’amministrazione da essa sostenuta? Potevate discutere, mettere sul tavolo proposte, rimetterla in carreggiata e finire il mandato. Invece avete preferito il commissario. E ora volete rimetterla insieme? Follia? Opportunismo? Strategie bislacche? O forse incrollabile fiducia nella distrazione (chiamiamola così) dell’elettore?
Intanto Gismondi, dal canto suo, continua a lanciare strali contro la Lista Stranamore. Accusa Ediana Mancini di poca esperienza politica, dimenticando che personaggi ben più esperti, come lui stesso e il suo ex mentore Gianni Basso hanno sortito risultati a dir poco discutibili per il nostro Comune. Accusa Perugini  di non riconoscere i lavori effettuati dalla sua amministrazione e, fra quelli che enumera, include anche quelli fatti dalla provincia. Accusa l’opposizione di aver votato la sfiducia. Dimentica che l’opposizione, di solito, dovrebbe fare, appunto, l’opposizione.
Sarebbe bello che il centro destra nostrano si ricompattasse. Con queste premesse sarebbe davvero divertente.

Luca Craia

Perché la Crimea rischia di far esplodere il mondo. Errori politici e conseguenze.



Le conseguenze di azioni compiute lo scorso secolo oggi fanno tremare il mondo. La situazione dell’Ucraina, che sembrava essere andata incontro a una soluzione dopo i fatti sanguinosi delle ultime settimane, diventano invece scintilla pronta a far scoppiare una polveriera gonfia di esplosivi. Ma il problema principale è, come la storia insegna, la lungimiranza dei governanti. Cito Avvenire e la sua ottima quanto succinta storia dell’Ucraina (http://www.avvenire.it/Mondo/Pagine/russi-ucraini-e-tartari-il-dono-di-khrushchev.aspx) che serve a capire cosa sta accadendo:

L’antico Stato degli slavi orientali, convertito al cristianesimo (greco-ortodosso) dal principe Vladimir nel 988, non si chiamava né «Russia», né «Ucraina», ma «Rus’ di Kiev». Solo successivamente, in seguito alle invasioni mongoliche, polacche eccetera, il regno trasmigrò verso nord, divenendo, con Jurij Dolgorukij, la «Russia di Mosca». Anche la lingua della Rus’ trasmigrò, mentre negli antichi territori della Rus’ si formò, sotto influenza polacca, una nuova lingua oggi conosciuta come ucraino. La prima citazione del nome «Ucraina» risale al 1187, col significato di «terra di frontiera» o «di periferia». Nel 1654 lo hetman (il capo dell’esercito) delle terre ucraine, Bogdan Khmelnitskij, ne chiese ed ottenne l’annessione allo Stato russo.
La Crimea, dopo un passato come “khanato” islamico, ora soggetto e ora vassallo dell’Impero ottomano, fu annessa alla Russia da Caterina II nel 1783. Da allora Pietroburgo favorì la colonizzazione del nuovo territorio mediante l’immigrazione di suoi cittadini che erano “slavi orientali”, indifferentemente russi o ucraini. Per la Russia la Crimea divenne parte dell’epos nazionale con la guerra perduta del 1853-1855. In quegli anni la Crimea non appartenne né alla Russia, né all’Ucraina, che non esistevano come unità territoriali, ma al comune Impero Russo.
Nel 1954, il capo dell’Urss, Nikita Khrushchev, volendo celebrare il 300 anniversario dell’annessione delle terre ucraine alla Russia, decise di “donare” la Crimea all’Ucraina “socialista”. La cosa non ebbe conseguenze perché le frontiere inter-repubblicane nell’Urss non avevano alcun significato: la Crimea rimaneva comunque sovietica. Ma con l’indipendenza dell’Ucraina e della Russia, Kiev pretese e ottenne che la “donazione” di Khrushchev fosse riconosciuta.

Ecco l’errore di Khrushev e le conseguenze di un atto compiuto sessanta anni fa. La Russia, prova di uno sbocco al mare e del porto per la sua flotta, ora che vede l’Ucraina andare verso l’Europa lasciando definitivamente i retaggi dell’impero russo, con la solita tracotanza putiniana non si fa scrupolo a usare la forza anche mettendo a rischio gli equilibri internazionali in maniera seria. La situazione è davvero complicata e pericolosissima anche in considerazione della posizione strategica dell’Ucraina in relazione alla posizione dei gasdotti che approvvigionano l’Europa. Un escalation internazionale in quell’area potrebbe avere conseguenze incontrollabili. Tutto per una scelta politica sbagliata di sessant’anni fa. Questa è la responsabilità della politica: ogni atto è importante, anche il più insignificante. È anche per questo che tremo davanti al pressappochismo dei nuovi politici italiani.

Luca Craia