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sabato 26 novembre 2016

Grazie ai FiorOscuro, bella serata di musica e solidarietà

Un concerto spettacolare, per la musica e per gli effetti scenici, quello di ieri sera al La Perla di Montegranaro dei FiorOscuro, forse la miglior tribute band dei Pink Floyd in circolazione. Un esecuzione pressochè perfetta di un repertorio classico del gruppo più importante della scena progressive, sostenuta da una serie di giochi di luce e proiezioni di grande effetto, ha incantato un pubblico di circa duecento persone molto partecipi ed entusiaste. La nota meticolosità nell'esecuzione fedele e nella riproduzione dei suoni quanto più simili possibile a quelli originali, anche grazie a una strumentazione studiata appositamente, grazie alla maestria di Maurizio Marzetti e alla voce di Stefano Torresi, hanno davvero soddisfatto la platea del teatro montegranarese piena per due terzi di autentici cultori del rock.
Tanta bella gente che ha gradito e si è dimostrata generosissima nel lasciare offerte a favore della ricostruzione post-terremoto, raccolte dalle associazioni cittadine coinvolte nel progetto “Uniti per Voi” che, tramite diverse iniziative, sta raccogliendo denaro e materiali per aiutare le popolazioni colpite dal sisma. Ricordiamo che quanto ricavato dalle varie manifestazioni e iniziative verrà impiegato nella realizzazione di un progetto che vada, direttamente e senza intermediazioni, in aiuto della gente. Ieri sera abbiamo raccolto la bella cifra di 770 Euro che andranno ad aggiungersi, detratti i costi (che in gran parte sono a carico degli stessi musicisti, quindi minimi per noi), ai 4000 già accumulati fin'ora.
Bravissimi i FiorOscuro, a partire dalla voce potente e raffinata di Alessia Albani che ha interpretato splendidamente The Great Gig in the Sky senza far rimpiangere Clare Torry, fantastico come sempre Pino Principi e il suo sax tenore, magnifici Claudio Bonifazi al basso, Massimo Mancinelli alle tastiere, Andrea Luciani con le sue chitarre acustiche e Paolo Palmieri superbo batterista. Una bella serata di solidarietà e buona musica, un occasione riuscita per coniugare cultura e beneficenza, il tutto divertendosi. Grazie a tutti.

Luca Craia

venerdì 18 novembre 2016

La politica svuota i piccoli centri. Qual è il disegno?

Al contrario di quanto è accaduto per eventi analoghi avvenuti in passato, per il duplice sisma del 2016 pare che la politica nei confronti dei terremotati sia molto differente. In passato si cercava di mantenere le popolazioni in loco, allestendo villaggi prefabbricati, casette di legno e poi ricostruendo i centri abitati. Una procedura lunga anni, che però manteneva vivi e vitali i territori. Col terremoto de L’Aquila sono anche apparse le cosiddette “new town”, orrori architettonici e urbanistici che hanno massacrato i centri storici e impedito la loro rinascita, tanto che ancora oggi il capoluogo abruzzese ha un centro storico pressochè deserto. Ciononostante i territori hanno continuato a vivere perché, comunque, le popolazioni sono state lasciate sul posto e il tessuto sociale non ha avuto danni permanenti.
Nel caso odierno, invece, si assiste a una politica opposta e incomprensibile: le popolazioni sono state immediatamente spostate in luoghi lontani, lungo la costa, con una sorta di deportazione pseudo-volontaria che ha immediatamente desertificato le aree geografiche colpite dal sisma. Così facendo si rischia seriamente di sfaldare il tessuto sociale e creare i presupposti perché i centri danneggiati dal terremoto rimangano città vuote, prive di strutture sociali, economia, vita.
Portare via la gente può essere un provvedimento sensato nel breve periodo, ma è indispensabile che gli abitanti tornino quanto prima nei loro paesi e ricomincino a ricostruire, prima delle case, il tessuto economico e sociale, senza il quale le città non possono vivere. Quello che si rischia che possa accadere è che le persone “trapiantate” lungo la costa qui attecchiscano e mettano radici, inizino nuove attività economiche e restino in maniera definitiva in luoghi lontani dalle loro città, causandone la morte.
Non si può permettere che città magnifiche come Norcia, Visso, addirittura Camerino e tutti gli splendidi borghi dei nostri Sibillini diventino città fantasma. Sono centri ricchi di bellezze, storia, cultura ma anche di economie che non possono finire o essere traslate altrove. La politica del governo sta andando in questa direzione e credo sia una politica dissennata, che creerà danni enormi all’economia non solo delle aree direttamente colpite dal sisma ma alle stesse regioni e scompenserà gli equilibri sociali. Mi auguro che le misure prese fino a oggi siano solo temporanee ma, essendo già passati mesi dal primo terremoto, il tempo sta rendendole in qualche modo definitive.

Luca Craia

giovedì 10 novembre 2016

Le Marche dimenticate



È forse il terremoto più brutto della storia moderna. Lo è per le purtroppo tante vittime, per gli ingentissimi danni, per le enormi sofferenze a cui gli scampati sono ora soggetti. Lo è perché capita nel momento storico più buio della nostra storia, un momento in cui non c’è un governo che faccia davvero gli interessi nazionali, in cui c’è una crisi economica senza precedenti, in cui la società stessa si sta sfilacciando, in cui la percezione della realtà e manipolata come non mai.
A farne le spese sono tutti i terremotati che, dal primo movimento tellurico, avvenuto ormai due mesi e mezzo fa, ancora non hanno visto un provvedimento, solo uno, che li faccia sperare in qualcosa. Ci sono ancora le tende che volano via col vento, i pantani di fango, le mense comuni. I nostri tesori d’arte sono lasciati alle intemperie, non fosse per i volontari, con un MIBACT assolutamente assente e un Franceschini latitante. Siamo ancora in piena emergenza dopo un tempo enorme dalla prima emergenza, un tempo in cui si sarebbe dovuto iniziare a ristabilire una certa normalità.
Le Marche stanno messe peggio rispetto al Lazio martoriato. Le stanno già dimenticando, non se ne parla quasi più e questo è un bruttissimo segnale. Spariti dai telegiornali Castel Sant’Angelo, Ussita, Visso. Figuriamoci i centri che hanno subito relativamente meno danni. Non ci sono state vittime nelle Marche nel sisma più recente, grazie a Dio. Ma abbiamo perso paesi interi, tesori inestimabili. La nostra fascia montana e pedemontana, e per pedemontana, per la nostra geografia, significa a venti chilometri dal mare, non ha più parte della propria economia, quella legata al turismo culturale. E non si vede nulla all’orizzonte, a parte i proclami incredibili e puerili del Presidente del Consiglio.
Andando di questo passo non ci sarà alcuna ricostruzione. Del resto L’Aquila docet, la città è ancora un fantasma e quella è L’Aquila, mica Ussita. La gente, trapiantata sulla costa, se non ritorna in fretta sulle proprie terre le perderà, attecchirà sul litorale, troverà qui sostentamento e non tornerà più verso le proprie radici che moriranno. È necessario agire in fretta ma non pare aria. Le Marche, oggi, vedono davanti a loro un destino segnato: la desertificazione di un territorio bellissimo, tra i più belli d’Italia, ricchissimo, potenzialmente una miniera d’oro che viene lasciata morire, implodere sotto il peso non delle macerie ma dell’incapacità e della disonestà di chi prende le decisioni e non le prende. È una tragedia immane, infinita, un genocidio culturale portato avanti con televendite politiche che ci fanno credere il contrario. E il bello è che ci crediamo.

Luca Craia

mercoledì 2 novembre 2016

Perché ricostruire le chiese insieme alle case



Non avevo mai letto nulla dello scrittore Massimiliano Parente fino a un paio di giorni fa quando, spulciando il mio diario di Facebook, mi è comparsa la notizia che questo letterato italiano avrebbe asserito che il crollo di una chiesa sarebbe, chissà per quale motivo, divertente. Così mi sono incuriosito perché, nella mia ormai consolidata assuefazione all’idiozia di tanta gente che parla senza cognizione di causa alcuna, sproloquiando su Facebook, leggere che anche una persona che dovrebbe avere un quoziente intellettivo un tantino superiore alla media dei deficienti che parlano di chiese da abbattere , invece si assesta allo stesso loro livello, ha stuzzicato il mio interesse antropologico. Così mi sono fatto un giro sul profilo Facebook di questo signore e mi sono reso conto che ero di fronte alla pagina di uno che, anziché elevare la media intellettuale di Facebook, la abbassa e non di poco.
Vorrei provare, quindi, a dire quello che penso sulla questione non tanto perché ritengo di possedere qualche verità che a gente come il signor Parente sfugge, quanto perché amo la mia terra, conosco molto bene le città distrutte dal sisma e lotto da una vita perché in Italia si capisca finalmente che la cultura e il nostro patrimonio culturale sono un enorme pozzo di petrolio che non sfruttiamo.
Ora prendiamo l’esempio di Norcia, ma questo può valere per una qualsiasi delle città danneggiate dai movimenti tellurici recenti. Norcia ha qualche manifattura legata alla norcineria ma, prevalentemente, vive di turismo. A Norcia si va a visitare la chiesa e la città antica, fatta di pietra. Se ora ricostruiamo Norcia senza la chiesa di San Benedetto, se ricostruiamo la città con criteri totalmente antisismici abbandonando le case antiche, fatte di pietra, avremmo un luogo completamente diverso. Cosa andrebbe a vedere, nella nuova Norcia, costruita magari in acciaio, legno e vetro da qualche architetto geniale come Renzo Piano, il turista? Cosa avrebbe, Norcia, in più di una qualsiasi città moderna? Nulla. Il turista non andrebbe.
Se il turista non va a Norcia, Norcia muore. Chiudono i negozietti di souvenir, chiudono le botteghe di norcineria. Chiudono anche le poche manifatture, perché sono strettamente legate all’economia turistica. Una volta privata Norcia della sua economia, chi vivrebbe a Norcia? Nessuno. Quindi ricostruire Norcia sarebbe un esercizio sterile, uno spreco di denaro, un insulto all’intelligenza.
Ricostruire dopo il terremoto senza recuperare, contemporaneamente alle case, gli edifici di culto e le strutture culturali è inutile. Poco c’entra il Vaticano, poco c’entra la religione cattolica, poco c’entrano preti e monache. È una questione di intelligenza: l’Italia ha un enorme patrimonio colturale che, per una grande parte, è costituito da chiese. Vengono da tutto il mondo ad ammirare le nostre chiese. Chi si diverte a vederle crollare, perdonatemi, è un povero deficiente.

Luca Craia

venerdì 28 ottobre 2016

Il mio pianto per Visso


Visso è un po' casa mia. È il luogo dell'anima, della quiete, della riflessione. Il posto dove andare d'estate in cerca di pace e refrigerio, la base delle mie incursioni in Val Nerina. Ci sono andato da sempre, piccolissimo con babbo e mamma, poi gli amici e infine da adulto con la famiglia, in cerca di mangiare buono, o di qualche pietra da ragionarci sopra. Babbo e mamma adoravano Visso, i suoi giardini, la sua piazza col mercato. Io ne ho fatto parte di casa mia, per gli stessi motivi, per le tagliatelle al cinghiale e perché da lì possiedi i Sibillini e tutto il romanico della Val Nerina. Visso è la chiave di volta della nostra montagna, la capitale dell'appennino.
Non riesco a non piangere vedendo Visso distrutta. Tutta la sequenza sismica degli ultimi mesi mi sta struggendo, nel coinvolgimento di sentimenti legati alle persone amiche. Ma Visso è una stanza di casa mia, quella in cui mi rifugio quando ho bisogno di me. Amo i Vissani, Umbri in terra di Marca, gente ruvida e adorabile. Ce la farete, ce la faremo. Visso è la capitale della Val Nerina. Le capitali non muoiono. Mai.

Luca Craia