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sabato 27 dicembre 2014

La questione immigrati è ininfluente. Fregatevene.



Ancora una volta il popolo italiano si comporta da gregge ubbidiente al cospetto di esperti pastori. Lo facciamo sempre e ci facciamo dirigere dove vogliono loro. Chi siano questi loro è difficile da stabilire, certamente chi ci governa è solo uno strumento di questi “loro”, una sorta di cane pastore. Ogni qualvolta si renda necessario distogliere l’attenzione delle pecore da questioni che ne riguardano il futuro, loro hanno pronto un argomento che ne capti le ire e le energie. E questo è il caso del problema immigrazione.
Che questo sia un problema e fuori da ogni dubbio. Che sia un problema che vada risolto in maniera molto più concreta di quanto sia stato fatto fin’ora è altrettanto evidente. Ma è altrettanto evidente che questo non  sia Il Problema. La crisi non è causata dalla presenza di immigrati. La situazione economica non è aggravata in maniera sensibile dalla presenza di immigrati. La sicurezza pubblica non è peggiorata a causa della presenza di immigrati. Insomma: dei tanti problemi che abbiamo (e ne abbiamo davvero tanti) in questo momento la questione immigrati è quasi irrilevante.
Eppure il dibattito (se così vogliamo chiamarlo) continua a girare intorno a questo argomento. La lotta all’immigrazione, che spesso diventa lotta all’immigrato, è un argomento che sta a cuore a tutti i politici, parte dei quali si schiera a favore di misure più restrittive (talvolta sfiorando la disumanità), mentre altri si dichiarano più sensibili alla questione umanitaria. Il punto è che si stanno sprecando energie su una questione che non le merita.
Però la questione cattura l’attenzione degli Italiani. Lo sa la destra estrema che cavalca l’argomento per veicolare voti e consensi, lo sa la sinistra che cerca di fare altrettanto ragionando in maniera opposta. Il punto, però, è che, mentre gli Italiani si concentrano su un argomento quasi del tutto ininfluente per il loro futuro, si approvano norme e provvedimenti che, invece, influiscono in maniera determinante. Ad esempio il cosiddetto job act del Governo, un provvedimento che va contro ogni logica, impoverisce ancora di più il popolo, è contrario ad ogni tentativo di uscire dalla crisi perché annichilisce ancora di più i consumi e crea un popolo di precari sta passando quasi in sordina senza che gli Italiani si infiammino più di tanto sull’argomento. Gli stessi Italiani, intanto, si accapigliano sull’immigrazione. Popolo di pecore.

Luca Craia

sabato 6 dicembre 2014

Questa strana voglia di dittatura



È paradossale quanto stupido ma, nel momento di massimo declino della nostra democrazia il popolo italiano senta così forte la voglia di un governo forte, la nostalgia di momenti storici vergognosi, la necessità di sovvertire definitivamente le regole democratiche guadagnando un presunto ordine. C’è voglia di dittatura in Italia e non si capisce perché. Forse, come dice qualcuno, il fascismo è nel dna dell’Italiano che, incapace sostanzialmente di autogovernarsi, preferisce delegare ogni funzione all’uomo forte, all’organizzazione politica unica che lo dispensi dal decidere, dallo scegliere, dal pensare. Che questo vada a discapito della propria libertà poco importa: ciò che conta è che vi sia finalmente ordine, tranquillità e qualcosa che somigli al benessere.
Eppure già siamo in una dittatura, seppur blanda, seppur non (troppo) violenta, seppur mascherata piuttosto bene da democrazia. Non decidiamo più i nostri rappresentanti già da un po’, le nostre decisioni, anche quelle prese con lo strumento principe della democrazia che è referendum, vengono tranquillamente stracciate, c’è un partito unico, anche se mascherato da tanti partiti e movimenti, che governa e che si oppone. È la dittatura della classe dirigente che ha sfasciato l’Italia e l’ha ridotta in questo stato. È la dittatura di quella classe dirigente che non ha alcun interesse nel lasciar vivere il popolo italiano. È la dittatura dei potenti, di quelli veri. E voi pensate che, andando verso un sistema di potere forte conclamato quale possa essere un qualcosa che ricordi il fascismo questa gente possa scomparire nel nulla? In Italia hanno sempre governato loro. Una dittatura li agevolerebbe soltanto.
Vogliamo farci togliere quel poco di libertà che abbiamo? Vogliamo farci togliere anche l’unico momento in cui diventiamo davvero temibili, cioè quando votiamo? Difendiamo la nostra libertà. Esigiamo maggiore democrazia, partecipazione maggiori diritti, maggiore libertà. Facciamo con forza, partecipando, lottando, non rassegnandoci al governo dei forti, dei potenti. Solo partecipando alla politica possiamo salvaguardare la nostra libertà. Mussolini, per fortuna, è morto da tempo e non resusciterà. I nuovi Mussolini sono molto peggiori di lui. Non sognate la dittatura. Sognate la democrazia vera.

Luca Craia

venerdì 28 marzo 2014

Renzi, le province e la prova che ci prende per i fondelli



Eccola la prova. Il sospetto lo avevo da tempo, quell’aria da imbonitore televisivo, da venditore di materassi, di pentole con o senza coperchio non mi ha mai convinto anche se, per abitudine e per mia indole, lascio sempre il beneficio del dubbio. E, d’altra parte, quando sei con l’acqua alla gola, anche un foglio di polistirolo galleggiante può sembrare un salvagente. Ma Renzi ha dimostrato che, come tutti coloro che l’hanno preceduto, accende le foglie secche, l’erba tagliata, soffia un po’, fa un bel po’ di fumo e te lo spara sugli occhi.
Quanto guadagnerà mai un consigliere provinciale? Dipende dai gettoni, dipende da quanto si impegna, dipende dal vostro metro di misura. Certo non guadagna come un parlamentare. Certo la sua utilità è tutta da vedere. Certo che l’utilità stesse dell’Ente Provincia è tutta da vedere. Ma spacciare come la soluzione una riforma che non fa altro che eliminare il consiglio provinciale, facendo risparmiare allo Stato le briciole delle briciole, è ridicolo, grottesco, irritante.
Renzi qualche idea buona sembra averla. A che serve prendere per i fondelli gli Italiani, ancora una volta, e in maniera così plateale? Serviva un atto di coraggio: abolire le province, non i consiglieri che, tra l’altro, sono stati eletti democraticamente. Tagliare il numero dei parlamentari, non trasformare una ramo del Parlamento, il Senato, da elettivo a nominale. L’unico risultato che si ottiene così è di limitare la rappresentatività, la democrazia. Benefici economici non ne vedo. Solo benefici per la cosiddetta casta.

Luca Craia

giovedì 16 gennaio 2014

Il nuovo che avanza tratta volentieri coi delinquenti.



Non si tratta con i delinquenti, soprattutto a livello istituzionale. Berlusconi è stato condannato in via definitiva, è quindi un delinquente conclamato e, in quanto tale, non può essere interlocutore istituzionale per stabilire il futuro dell’Italia. Non è una questione di democrazia: se un certo numero di Italiani ancora indica come proprio leader un criminale vuole soltanto dire che quel certo numero di Italiani considera condivisibili le azioni criminali da lui commesse. Non si tratta con il boss della camorra perché quando viene arrestato ci sono metà degli abitanti dei quartieri spagnoli in rivolta contro la polizia. 
I delinquenti debbono scontare la loro pena e, nel caso specifico, la pena prevede anche l’interdizione dai pubblici uffici.  Lo stesso portavoce di Berlusconi, Denis Verdini, col quale Renzi parla per poter essere ricevuto dal capo supremo della banda Forza Italia, ha già ottenutoun rinvio a giudizio e risulta ancora indagato per truffa aggravata ai danni dello Stato, bancarotta fraudolenta e finanziamento illecito ai partiti. Insomma, Renzi tratta volentieri con i criminali o con i presunti tali. E lo fa per questioni importanti come la legge elettorale. Questo sarebbe il nuovo che avanza. Andiamo bene.trattare con Berlusconi, contravviene alle disposizioni del giudice, perché va a stabilire una questione vitale per il Paese con un delinquente, uno che è stato condannato a non potersi più occupare nemmeno di un comune di 50 persone, figuriamoci di tutta l’Italia.
Luca Craia

venerdì 3 gennaio 2014

Potremmo vivere di cultura. Ma non ne siamo capaci.



Bisogna essere realisti: non è nelle manifatture il futuro dell’Italia. La nostra competitività cede il passo allo strapotere asiatico e non riusciamo a sopperire con la qualità. L’Italia ha urgente necessità di riconversione e la svolta può e deve venire soltanto da chi ci governa, impostando la virata che ci riporti ad essere un Paese ricco e progredito. Siamo seduti su una miniera d’oro e non ce ne rendiamo conto. L’Italia possiede oltre l’80% del patrimonio culturale mondiale e non lo sfrutta, anzi, lo lascia deperire.
Investire e incentivare lo sfruttamento turistico del nostro immenso patrimonio artistico, storico e ambientale è l’unica strada percorribile per superare la crisi del nostro sistema produttivo. Nessuno può essere concorrenziale sul piano dell’offerta congiunta tra cultura e territorio come l’Italia. Nessun Paese al mondo possiede tanto e nessun Paese al mondo può coniugarlo ad un territorio così articolato tra mare, montagna e collina.
In particolare l’Italia peninsulare e, nella fattispecie, quella centrale, possiede peculiarità uniche al mondo, tanto da poter offrire l’escursione dal mare ai monti nell’arco della stessa giornata, coniugandolo con la visita alle miriadi di piccole ma importanti città d’arte di cui le nostre regioni sono punteggiate.
Per fare in modo, però, che tutto questo diventi remunerativo è necessario investire e programmare, cosa di cui, sembra, la politica non è più capace. Occorre mettere in campo investimenti significativi sottraendoli ad altre aree produttive e questo richiede coraggio politico e capacità decisionale. Inoltre è fondamentale programmare gli interventi e il tipo di politica che si vuole innescare. Uno Stato che lascia crollare i suoi monumenti più importanti, che richiude in casse polverose gran parte delle opere d’arte che possiede, che impedisce anziché incentivare l’intervento privato, uno Stato composto da uomini che non riescono nemmeno a programmare l’ordinaria amministrazione del Paese può essere in grado di scelte politiche così decisive e che possano invertire l’intera mentalità del Paese produttivo?

Luca Craia