giovedì 29 dicembre 2016

Roberto Basso e le costose idee a scoppio ritardato



Oddio, l’idea del bidoncino col microchip è una buona idea, bisogna ammetterlo. In questo modo si risolvono due problemi importanti: si favorisce il calcolo della produzione esatta di rifiuti, che può rendere la tassazione relativa più equa, calibrandola sul reale utilizzo del servizio, e si impedisce al furbone di mettere i suoi rifiuti dentro i bidoni degli altri, cosa che sta già accadendo in giro per Montegranaro, mettendo a rischio chi conferisce correttamente i propri rifiuti di prendersi una multa per la stupidità degli altri o per un dispetto.
Ben vengano, quindi, i bidoncini col microchip, ben chiuso e apribile solo dal personale addetto. Ma questa sconvolgente novità tecnologica c’era anche quando è stato redatto il bando per l’appalto, se ne era parlato persino in campagna elettorale. Ora che i soldi sono stati già spesi per comprare e distribuire i bidoncini attuali, come mai Basso si accorge di questo stupefacente ritrovato della tecnica moderna che è il microchip sul bidoncino?
Ce lo dice candidamente sul Corriere Adriatico, il nostro assessore all’ambiente e a un sacco di altre cose che non gli competerebbero nemmeno, tornando finalmente a occuparsi di quello per cui lo stipendiamo. Cambiare i bidoncini in uso non credo sia un’operazione che si possa effettuare gratuitamente. Chi pagherà? Il Comune o la ditta Onofaro-Caruter che gestisce il servizio? In entrambi i casi, ho l’impressione che a pagare sarà il cittadino: se paga il Comune, il cittadino sborsa i soldi direttamente, se paga la Onofaro lo fa in maniera indiretta, ma certamente la ditta non potrà farsi carico di questa novità senza tagliare da qualche altra parte.
In sostanza, Roberto caro, non ci potevi pensare prima?
                                                
Luca Craia

mercoledì 28 dicembre 2016

Telecamere, tutor, t-red e varchi elettronici. Il rischio “Grande Fratello” nei buoni propositi.

Non ho dubbi sulla bontà dell’intento della Giunta Calcinaro nell’installazione dei varchi elettronici alle porte della città di Fermo. Il loro utilizzo sarà sicuramente utile per la lotta alla criminalità, così come sono potenzialmente utili le tante telecamere di videosorveglianza che vengono piazzate un po’ ovunque e che, se realmente funzionanti e non solo come deterrente spento, possono sostenere indagini e limitare le azioni delinquenziali. Anche i vari autovelox, tutor e marchingegni del genere, pur se utilizzati troppo spesso a scopo vessatorio, possono essere di grande aiuto per tutelare l’ordine pubblico e il rispetto delle regole.
Purtroppo, però, sono strumenti il cui utilizzo non è unico e, francamente, temo che, in mano ad amministrazioni meno in buona fede delle attuali, posta per accettata quella delle attuali, possano diventare un mezzo di controllo e repressione formidabile. In realtà si sta creando, più o meno inconsapevolmente (almeno spero) una rete di strumenti di controllo che, se opportunamente organizzata, potrebbe costituire una forma di controllo sulla libertà individuale pericolosissima.
È ovvio che la garanzia della sicurezza è basilare, specie in una società dove questa sicurezza è percepita come in diminuzione drastica. Rimane però importante garantire la libertà dell’individuo e scongiurare qualsiasi pericolo questa possa correre. Questi strumenti, purtroppo, pur essendo valido mezzo di prevenzione e lotta contro la criminalità, costituiscono un serio pericolo, almeno potenzialmente, per la libertà dei cittadini. Per questo ci andrei molto cauto, per non pentirsi in futuro.

Luca Craia

Il freddo di Natale nel paese dimenticato



Il centro storico di Montegranaro è un luogo triste. Lo è da tempo, dopo essere stato un posto dove vivere bellissimo, pieno di vita e vitalità, tanta brava gente, solidarietà, amicizia, spirito di comunità. Da diversi anni non è più così: il castello del paese si è spopolato e, piano piano, è stato dimenticato dai suoi ex abitanti che oggi vivono in zone più comode ma certamente non più calde e accoglienti.
È diventato un posto triste, dove echeggiano lontane le grida dei bambini di un tempo, bambini che calciavano palloni sgonfi tra i vicoli ombrosi o rincorrevano l’Ape Piaggio dello “sformatore” che veniva a consegnare ai vari piccolissimi laboratori calzaturieri artigiani. Non ci sono più i profumi della vita, del sugo buono, della carne alla brace cotta nel caminetto, gli odori pieni di promesse dei tanti piccoli negozi di alimentari, o il profumo di pulito che veniva dalle porte lasciate aperte, nel gesto naturalmente accogliente di attendere il vicino senza che questi dovesse bussare o suonare campanelli, attirato dal profumo del caffè. Mancano le voci delle donne che chiacchierano nel più antico social network della storia, degli uomini che discutono di sport o di lavoro.
Ora ci sono gli odori di marcio provenienti dalle cantine chiuse e abbandonate, ora c’è il suono assordante del silenzio, il buio di lampioni rotti e mai più riparati e il rumore di una macchina che ogni tanto passa. C’è ancora vita nel centro storico, ma è una vita appoggiata, di passaggio, una vita in una casa che non senti più tua. C’è gente che si incontra e non si parla anche perché è difficile capirsi, c’è lo sguardo diffidente del vicino e la sua porta chiusa a chiave, col campanello e la telecamera per vedere chi è.
E poi è arrivato questo ultimo Natale, un Natale buio, fatto di oscurità aggravate dall’insipienza, dalle vibrazioni vicine della terra che trema che hanno tolto anche l’ultimo momento di comunità tra le mura del paese antico, quel presepe vivente che quest’anno si è fatto altrove, piccolo, diverso. Un Natale senza chiese, senza festa, senza gente che viene a messa e a prendersi un punch al mandarino. Un paese scuro, pieno di fantasmi, dove i ricordi, da dolci e malinconici diventano dolorosi, dove la nostalgia lascia posto alla rabbia di chi ha amato quel posto e lo vede trattato così, come un luna park abbandonato, tra i cigolii delle giostre arrugginite e lo squittio di un topo grasso e felice.
Questo era il centro storico di Montegranaro il giorno di Santo Stefano, passando per corso Matteotti con le luci rosse e piazza Mazzini con le luci che non c’erano, con lampadari di finto cristallo, a testimoniare il nostro povero destino, a pendere sinistri come in una danza macabra in un castello abbandonato persino dagli spettri, davanti alle porte delle chiese chiuse, dei palazzi chiusi, in mezzo a un silenzio che rompeva i timpani.

Luca Craia