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mercoledì 18 gennaio 2017

Neve e pericolo valanghe. Emergenza su emergenza: il disperato appello del Sindaco di Ussita.



Marco Rinaldi, Sindaco di Ussita
C’è oltre un metro di neve nell’area del Monte Bove. Ci sono centinaia di capi di bestiame che non hanno più una stalla e muoiono di freddo. Ci sono i loro allevatori, che necessitano di approvvigionamenti e che sono tagliati fuori dalle zone “vive” (per usare un eufemismo) dalla copiosa nevicata. Già arrivare fino a Visso e poi Ussita è complicato: la strada è percorribile ma sporchissima e pericolosa. Le vie interne, che collegano i centri alle frazioni, sono bloccate.
Il Sindaco di Ussita, Marco Rinaldi, è disperato: non ha i mezzi per raggiungere le frazioni di Vallestretta e Casali, in particolare Casali. Ha chiesto l’intervento dell’Esercito ma, al momento, entrambe le zone sono sostanzialmente isolate ed è impossibile raggiungerle. A questo va aggiunto il pericolo valanghe. Un dispaccio della Protezione Civile allerta su un forte rischio valanghe sul Monte Rotondo e sui rilievi circostanti, cosa estremamente preoccupante in quanto l’eventuale valanga rischia di precipitare sugli allevatori e le stalle di Vallestretta. Una situazione surreale.
Le scosse di stamane si sono sentite forte ma non è possibile se vi siano stati ulteriori danni alle strutture del centro di Ussita e di Visso in quanto tutto è nascosto dal manto nevoso. Suona amaramente ironica la battura di Rinaldi quando dice che danni alle persone non ci sono stati perché le persone non ci sono.
Una zona abbandonata dallo Stato e dalla Regione. Ci sono decine di persone che lavorano e cercano di mantenere vivo quel territorio dimenticato dalle Istituzioni, e non si riesce nemmeno a tenere percorribili le strade. Sono gravissime le responsabilità che il mondo politico italiano e regionale si sta caricando sulle spalle. Sono responsabilità che parlano di morti di animali e di potenziali gravissimi pericoli per l’incolumità delle persone.
                                      
Luca Craia

martedì 17 gennaio 2017

Come fate a difendere chi abbandona le città terremotate a se stesse?



Ve lo confesso: scrivo con rabbia in questo momento. La controllo, ma ve lo dico per onestà. Sono arrabbiato perché ho appena visto le foto che ha pubblicato la mia amica Silvia di Ussita. Sono foto che parlano da sole (le potete vedere anche qui), e che fanno vedere in che condizioni si deve operare in quelle zone senza poi nemmeno poter tornare al caldo, a rifocillarsi, rinfrancarsi. Strade piene di neve, ghiaccio ovunque.
Silvia è un’allevatrice. Ha scelto di rimanere a Ussita dove sta la sua azienda, un’azienda di pregio perché alleva la pecora locale che rischia di scomparire. La sua è stata una scelta autonoma, perché lì c’è il suo futuro, la sua vita, ma anche perché lì c’è la sua casa, la sua terra e nessuno è felice di abbandonare la propria casa. Silvia ha scelto di non andare sulla costa con gli altri come voleva lo Stato, la Regione Marche. Silvia ha creduto a chi le diceva “non vi lasceremo soli”. Silvia a sbagliato a credere loro, ma sono convinto che avrebbe comunque fatto la stessa scelta, quella di rimanere.
Oggi la propaganda di regime, perché di quello si tratta, vorrebbe far passare questa gente che è rimasta nelle città ferite, abbattute dal terremoto come dei pazzi, come gente che non sa quello che vuole. Si vorrebbe che passasse il messaggio che i terremotati sono al caldo e al sicuro in strutture confortevoli. Si vorrebbe che l’opinione pubblica dimenticasse quei “pazzi” che sono rimasti sulle montagne. Vorrebbe dimenticarsene anche la politica. Quei pazzi costituiscono un problema e la politica non ama i problemi.
Ma quei pazzi sono rimasti per mantenere viva quella terra che, altrimenti, morirebbe nell’indifferenza generale, tra una politica incapace quando non criminale e un’informazione pilotata a dovere. Non ci fossero quei pazzi, tra qualche mese Ussita, Visso, Castelsantangelo, Pieve Torina e tutte le altre piccole realtà colpite dal terremoto sparirebbero dalle nostre menti per tornarci solo nei ricordi di chi ha amato quei posti. Ma ci sono quei pazzi a lottare perché questo non accada.
E io domando a voi, a voi che seguite ciecamente quello che vi dice il telegiornale, che obbedite ciecamente alle direttive del vostro partito, a voi che quotidianamente offendete la dignità di queste persone, ne sminuite lo sforzo e l’impegno, insultate il loro tentativo di mantenere accesa una luce sul problema, io vi domando come fate a non vergognarvi, come fate a non provare ribrezzo per voi stessi. C’è un’Italia che vuole sopravvivere nonostante voi. Io, per il poco che posso, la aiuterò.

Luca Craia






lunedì 16 gennaio 2017

Statale della Valnerina, tante chiacchiere e la strada resta chiusa



Non è pensabile la rinascita di Visso, Ussita, Castelsantangelo dei piccoli borghi della zona prescindendo dal ripristino del collegamento con Terni. La Statale della Valnerina chiusa preclude ogni speranza di rinascita, primo perché taglia i collegamenti diretti tra alcune frazioni e il comune capoluogo, Visso; secondo perché di fatto isola la zona sul lato ovest, danneggiando fortemente l’economia turistica e produttiva.
La strada, lo sappiamo, è stata inghiottita dal Nera a seguito di un grosso fronte di frana che è precipitato nell’alveo del fiume, causandone l’esondazione sulla strada. È vero che l’intervento per ripristinare la strada è complesso e non di facile realizzazione ed è anche vero quello che sento dire da tempo da diversi esponenti politici, ossia che serve un progetto di lungo periodo, perché la strada non può essere ricostruita col rischio che una nuova scossa o una nuova frana ci riporti punto a capo. Quindi è giusto che vengano effettuati tutti gli studi necessari. Ma quando si comincia? Non mi risultano atti pubblici in questa direzione, non mi pare di aver letto di incarichi assegnati per studi geologici o di fattibilità. Insomma, la sensazione è che, a parte le solite chiacchiere, per la Valnerina ancora non si è fatto nulla.
Del resto quel tratto di strada non ha alternative. Non è pensabile spostarla perché non c’è lo spazio. Siamo nella parte più stretta della valle e il percorso non può essere che quello. Occorre quindi approntare quanto prima il progetto e attuarlo con la massima urgenza. In sostanza, smettere di parlare e finalmente agire.

Luca Craia