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sabato 20 agosto 2016

Insegnanti di sostegno picene tutte a Rovigo. E da noi personale non specializzato. Manifestazione delle Combattenti.



È una situazione che ha dell’incredibile quella che si sta concretizzando in questi giorni: con decisione del MIUR la quasi totalità delle insegnanti di sostegno della provincia di Ascoli Piceno e di quella di Fermo, entrambe facenti riferimento al provveditorato di Ascoli Piceno, sarà trasferita a Nord, più precisamente nella provincia di Rovigo. La decisione appare insensata in quanto nel nostro territorio c’è una forte domanda di insegnanti di sostegno, con un numero di alunni che necessitano di aiuti particolari che aumenta di anno in anno. Ciononostante le insegnanti che già operano di ruolo sul territorio dell’ex provincia di Ascoli verranno spostate e, per sopperire alla loro assenza, verranno utilizzate professionalità non specifiche.
Quello che non si capisce è quale sia il vantaggio: economicamente lo Stato, con questa operazione, non guadagna nulla. Nel contempo fornisce un servizio peggiorato rispetto al passato, utilizzando personale non specializzato per svolgere compiti di grande delicatezza. Infine c’è il lato umano da non sottovalutare, con donne costrette a sradicarsi, lasciare a casa le loro famiglie, magari i figli piccoli, per andare a lavorare lontano, pagando un nuovo affitto e moltiplicando le spese familiare. In sostanza si tratta di un pastrocchio senza senso la cui motivazione rimane oscura. Particolare forse casuale è che regioni come la Toscana, per dirne una, cioè il bacino di voti del nostro Presidente del Consiglio e di altri ministri e funzionari vicini alla maggioranza di governo, non sono state toccate dal provvedimento. A pensar male si fa peccato eccetera eccetera…
È nato un comitato che si è dato il nome di “Combattenti per AP”: si tratta di un gruppo di insegnanti che sta cercando di portare il problema alla conoscenza delle cariche istituzionali del territorio. C’è già l’interessamento del Presidente della Provincia di Fermo, Aronne Perugini, che si è proposto come tramite per parlare con la Regione. Anche il provveditore di Ascoli, la dottoressa Sagretti, si sta muovendo per quanto in suo potere, richiedendo al Ministero 214 posti in deroga che consentirebbero, se venissero accettati, di fare almeno slittare di un anno la partenza verso Rovigo delle insegnanti marchigiane. Ma la decisione finale spetta al MIUR.
La preoccupazione da parte delle “Combattenti” è forte ed è umanamente comprensibile, ma anche professionalmente lodevole, visto che, il lavoro fin qui prodotto con i bambini a loro affidati rischierebbe di venire vanificato da questo scellerato proposito del MIUR. Per evidenziare la loro posizione hanno organizzato una manifestazione che si terrà il 22 agosto alle ore 10 davanti all’Ufficio Scolastico Regionale di Ancona. “Una protesta che sarà connotata da pacatezza e decoro” dicono dai vertici del comitato, ma che si spera possa sortire qualche effetto positivo. Sarebbe comunque auspicabile una presa di posizione forte al fianco delle nostre insegnanti da parte dell’intero mondo politico marchigiano, ma anche delle famiglie con bambini in età scolastica, colpite direttamente dal problema. Anche perché il tempo stringe e tra un po’ toccherà fare le valige, con grave danno per la vita delle insegnanti ma anche e soprattutto per la qualità della scuola marchigiana.

Luca Craia

sabato 16 gennaio 2016

L’involuzione della scuola e le gravi responsabilità politiche.



Due parole sul mio blog sull’attuale questione della settimana corta o lunga a scuola le voglio dire anch’io da osservatore esterno, essendo ormai i miei figli cresciuti e fuori da queste beghe. Quello che salta all’occhio e che, forse, è la cosa più triste di questa vicenda è la politicizzazione estrema di questioni in cui la politica non dovrebbe entrare nemmeno di sfuggita. C’è un evidente regia politica in tutto quello che sta accadendo, una regia che si è subito manifestata dopo l’insediamento dell’attuale amministrazione comunale che, fina dai primi giorni, manifestava la contrarietà alla mensa per le scuole elementari dovuta, pare, a questioni di bilancio. Un bilancio che, però, non pare così disastrato come si vorrebbe far credere visto che, per altri settori, i soldi ci sono eccome.
La politica nella scuola c’è sempre stata, non voglio fare l’ingenuo, lo so benissimo. Ma mai è stata così palese la sua pressione, mai si è vista così manifestatamente l’ingerenza del potere politico sull’insegnamento. Forse perché il Sindaco è un’insegnante, forse perché si è capito che la scuola è un nodo politicamente strategico, forse per questioni di mero potere di posizione. Fatto sta che abbiamo assistito, e continuiamo ad assistere, a scene brutte che con l’educazione dei giovani non c’entrano niente.
Abbiamo visto, per fare un esempio, una campagna elettorale a scuola, una campagna elettorale fatta di muro contro muro per eleggere i rappresentanti dei genitori in seno al Consiglio di Istituto. Abbiamo visto lotte interne ed esterne, accordi strategici, manovre che, normalmente appartengono a sfere diverse da quella dell’insegnamento e dell’educazione. Abbiamo letto proclami post elettorali che sembravano quelli dei partiti dopo le elezioni politiche, dove tutti hanno vinto e nessuno ha perso. E, oggi, assistiamo a questo capolavoro strategico del referendum, evidentemente studiato a tavolino per fare in modo di non raggiungere il quorum e poter prendere liberamente la decisione politicamente più opportuna, decisione già presa dal corpo docente.
È una grave involuzione della scuola montegranarese, come sempre quando si tolgono dei servizi. Quando il mondo civile imposta la scuola come centro di formazione globale, sociale oltre che culturale, proponendola come luogo in cui il giovane passa l’intera giornata e dove può trovare dallo studio allo sport passando per la cultura extrascolastica, da noi si torna al passato, con la scuola che si arrende per quanto riguarda l’educazione e si pone solo come formatrice culturale, lasciando gran parte del tempo del giovane ad altre forme di formazione, sempre che ve ne siano.
La scuola, nei paesi civili, deve essere a tempo pieno. Da noi si limita a cinque ora la mattina. Non si occupa di sport, di teatro, di letteratura se non per quello che riguarda lo stretto programma scolastico. Chi vuole fare sport paghi la retta alle società sportive. Chi vuole fare musica si iscriva a una scuola privata. Ci si limita a dare il servizio minimo. È un regresso enorme, produce ignoranza e disservizi. Fa risparmiare, è vero, ma crea un danno notevole. E chi oggi e, forse, domani, dopo l’esito del referendum, si beerà di tutto questo come di una vittorio politica (perché di questo si tratta) si assumerà una gravissima responsabilità per il futuro dei nostri giovani.

Luca Craia