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venerdì 15 luglio 2016

Esco dal coro, il silenzio è d’oro



Ho avuto una posizione, mi pare, sempre piuttosto equilibrata, fin dall’inizio della faccenda dell’omicidio di Fermo. Non mi sono mai unito ai cori, né di una tifoseria né dell’altra. Ho cercato di ragionare sui fatti e su quello che vedevo, senza farmi condizionare da ideologie e retroculture che, grazie a Dio, non posseggo. Ciononostante vengo schierato mio malgrado, passivamente. Questo avviene perché oggi il ragionamento non è previsto: o stai di qua o stai di là, o sei del Milan o sei dell’Inter, o guelfo o ghibellino. Intendiamoci, se c’è da schierarsi, quando sono perfettamente convinto, lo faccio, come nel caso delle responsabilità di don Vinicio nella mattanza culturale del nostro territorio che deriva dalla cronaca e dalla sua interpretazione. Ma sono abituato a ragionare con la mia testa, azzeccandoci o sbagliando.
Gli schieramenti, perché di questo si tratta, sono ai due lati del campo di battaglia. Trovarsi in mezzo non si può, le prendi da tutti e due. Da una parte quelli “io sto con Amedeo”, come se Amedeo non avesse ammazzato nessuno. Dall’altra quelli col cilicio, quelli del “siamo tutti razzisti” ed è vero, loro sono razzisti, perché ritengono di essere gli unti del Signore che detengono la verità assoluta e gli altri solo dei somari. Ho provato a ragionare, con gli uni e con gli altri.
Quello che ho visto ieri mi ha portato alla resa. Una donna, di origine marchigiana ma residente lontano dalle Marche, in uno dei tanti deliri di buonismo e pacifismo in cui si vorrebbe ammazzare tra atroci sofferenze chi non è buonista e pacifista allo stesso grado e livello o, più semplicemente, segua un’altra linea di ragionamento, descrive il territorio fermano così: “...il posto, popolato per metà da scarpari arricchiti e per quell’altra metà da gente che vorrebbe essere al posto degli scarpari arricchiti. Gente che si sente potente -e sottolineo potente, nemmeno fortunata- perché ha un amico o un parente in uno scacatisissmo consiglio comunale di quattro gatti: questo è il modus pensandi."
E mi sono chiesto: quanto livore? Quanto odio? Perché questo odio verso la nostra terra? Come ce lo siamo meritato? La risposta non c’è, perché non ce lo siamo meritato. La signora, evidentemente, ha avuto brutte esperienze in vita sua, ne è rimasta turbata, e me ne dispiaccio. Ma se da ciò derivano frustrazioni tali da scrivere pubblicamente tutto questo acido corrosivo, credo che dobbiamo fermarci e riflettere. Perché non può essere, non stiamo più governando le nostre menti.
E il fatto che questo delirio sia stato ampiamente condiviso su Facebook, incredibilmente, anche da persone nate e cresciute in questo posto così orribile, secondo la descrizione della filosofa di pace, persone che vivono e lavorano qui, che mangiano anche grazie agli scarpari, che magari sono proprio figli e nipoti di scarpari, simboleggia la morte della ragione. Anche perché questo è il lato di quelli buoni, quelli che difendono i più deboli, quelli che sventolano la bandiera della pace. Meno male, pensa se fossero guerrafondai.
Da qui ho capito: non si può combattere contro qualcosa che non c’è. Non posso usare la ragione e il ragionamento con chi non ha ragione e non vuole ragionare. Mi danno del razzista perché non sono allineato con questa gente. Potrei dire “che me ne frega, fate pure”, e invece no: io non sono razzista, ma sono razionale e voglio capire prima di emettere un giudizio.
Allora mi arrendo: abbandono la discussione. Non scriverò più una riga sull’argomento dell’omicidio di Fermo. Spero facciano lo stesso in tanti, perché alimentare questa discussione, che poi discussione non è, è solo odio che cola giù dai muri, è un meccanismo previsto da qualcuno che lo sta utilizzando ai propri fini. E guardate che anche don Vinicio è vittima di questo meccanismo e se ne deve essere accorto. Tardi.
Se l’amico Ciuccarelli porterà avanti la sua iniziativa di class action contro i responsabili di questo incommensurabile danno sociale contro Fermo e il fermano sarò con lui, ma non scriverò più. Il blog è aperto e sono disposto a pubblicare scritti altrui ma di miei non ne leggerete. Con buona pace dei pacifisti.

Luca Craia

giovedì 14 luglio 2016

Don Vinicio cambia idea. Ma i danni al Fermano sono fatti.



A me fa piacere quando una persona cambia idea. Sono fermamente convinto che solo gli stupidi non cambino mai idea e don Vinicio non sembra affatto stupido. Quindi il nostro prete-imprenditore, dopo oltre una settimana in cui ha messo alla gogna Fermo e il Fermano facendone la capitale italiana del razzismo, arrecando enormi danni  di immagine al territorio, alle imprese che vi operano e ai cittadini stessi, ora, serenamente, cambia tono, si placa, diventa conciliante persino con Mancini che, finalmente, da peccatore da arrostire tra le fiamme dell’inferno insieme a tutta la sua perfida razzaccia razzista e fascista, diventa pecorella smarrita da riportare all’ovile. Molto bene, me ne compiaccio.
Cosa abbia fatto cambiare idea e atteggiamento al Don non si sa. Possiamo supporre che le parole di Monsignor Conti lo abbiano finalmente toccato e riportato alla ragione e al buon senso, ma può anche darsi, vista la sensibilità mediatica del prete, che si sia leggermente impressionato dal coro di apprezzamenti, non certo positivi, per il suo operato che sta giungendo da ogni parte d’Italia, coro forse più forte ancora del vantaggio dovuto all’esposizione televisiva e giornalistica che si è abilmente procurato. Avrà forse fatto i conti e capito che, seminare odio e tensione sociale, specialmente per un ministro di Dio, non fa una buona immagine.
Fatto sta, però, che il danno è fatto. Fermo è andata su tutti i giornali del mondo e passata su tutti i telegiornali d’Italia. Fermo e i Fermani hanno avuto una popolarità non voluta perché negativa, e di questo va ringraziato il Don. Io direi che, se qualcuno si mettesse in testa di chiedergli i danni, ci sarebbero i presupposti per una bella class action alla quale, francamente, aderirei con entusiasmo. Del resto, coi fatturati delle imprese gestite dal Don, ci sarebbe anche sostanza per pagarli, i danni.

Luca Craia

mercoledì 13 luglio 2016

Il Sindaco di Fermo prova a ricucire la città: le parole di Paolo Calcinaro



Come ho fatto con la dichiarazione di Saturnino Di Ruscio sui fatti di Fermo, riporto testualmente quanto scritto stamattina dal Sindaco, Paolo Calcinaro che, in maniera molto lucida, analizza la situazione e prova, nella sua veste istituzionale ma anche come uomo e Fermano, a ricucire quello strappo violento che la città di Fermo a subito a causa del gravissimo fatto di cronaca che l’ha portata alla ribalta nazionale. Parole che apprezzo molto e che ci tengo a condividere coi lettori del blog.

Luca Craia

Sono stati giorni durissimi, per una Città che finalmente aveva trovato una convinzione, per me personalmente e per coloro che in questo episodio hanno avuto cambiata, o spezzata, la loro vita. Ho dovuto, e voluto, difendere Fermo sin dal primo giorno avanti ad un assalto che di difese non ne voleva, cercava solo ulteriori motivi di scontro per sacrificare la nostra realtà sull'altare della coscienza sporca dell'Italia intera di fronte al problema migranti: limitare un problema che le Istituzioni non riescono a risolvere alla mentalità del paesello provinciale e razzista magari guidato da un Sindaco complice. Per massacrare Fermo ancora di più e nascondere il problema nazionale sotto il tappeto.
Questo gioco, portato avanti da alcuni media, era troppo evidente per non essere evitato, non entrando dentro alle dispute, non usando le parole "come pietre", sentendosi veramente Istituzione, rispettando da subito il corso della Magistratura. Ma non ignorando un problema di insofferenza e razzismo strisciante e subdolo, che c'è, che è nazionale, che è alimentato dalla mancanza di risposte legislative nazionali ed europee e dai toni di certa politica, che ha ucciso Emmanuel, e stritolato oggi Amedeo Mancini.
Perchè è questo quello che ci rimane ora: il corpo in una bara di un uomo che era finito qui dopo tragedie ed orrori, una Città spaccata a cui chiedo di ricostruirsi dando meno giudizi e più gesti di comprensione verso "l'altra parte", Amedeo Mancini, bollato nazionalmente come il mostro assassino che non è, in un carcere a causa del suo essere e di quel subdolo clima della nostra nazione che hanno cercato di limitare alla nostra Città.
Rimangono le parole di un Vescovo che devono trovare un seguito, che con coraggio ci parlano di due vittime in quell'episodio, che ci invitano - a tutti quanti - a non inseguire i processi e le parole di divisione, ma a ritrovare un senso di riunione della nostra comunità, di perdono vero e di ricostruzione: "perchè sono le divisioni che uccidono". E ad impegnarci per un lavoro di conoscenza, reciproca, che forse è mancato, anche con colpa delle Istituzioni.
Non riusciremo a reagire come Città, dopo questa botta, con i rancori, con le divisioni...La Città è ferita e merita una difesa, Emmanuel è morto e va ricordato anche con un lavoro di maggiore conoscenza reciproca soprattutto tra giovani e studenti, Amedeo Mancini, scontata la sua pena che solo la giustizia potrà individuare, dovrà essere aiutato: queste tre cose non si possono dare battaglia tra loro. Apriamo gli occhi, tiriamo il fiato, chiudiamo la bocca per parole inutili e iniziamo a ricostruire. Io per primo...

Paolo Calcinaro, Sindaco di Fermo