mercoledì 21 agosto 2019

Quanto costa il Parlamento? Vale la pena ridurre i Parlamentari?


Visto quello che accade nel nostro Parlamento, il comportamento irrispettoso e spesso vergognoso di molti nostri rappresentanti, verrebbe da pensare che, ridurne il numero, sarebbe opportuno quanto meno per lasciare qualche troglodita nella sua caverna. Ma, visto che si parla da tempo di riduzione dei Parlamentari come fosse la panacea di tutti i mali che affliggono il nostro Paese, vale la pena, credo, fare un piccolo ragionamento.
Partiamo dai costi: la Camera dei Deputati costa, ogni anno, 1.298.391.988 euro. Il Senato della Repubblica, invece, costa annualmente 539.500.000 euro. Il totale è di 1.837.891.988 euro. Cifra considerevole, direte, ma se la esaminiamo nel complesso della spesa pubblica, percentualmente ammonta allo 0,21% della stessa. Si capisce bene che, anche dimezzando il numero dei Parlamentari, l’effetto sarebbe risibile.
Perché, quindi, questa smania di decurtare il numero dei Parlamentari? Se da un lato il discorso sarebbe comprensibile da un punto di vista simbolico e morale, dall’altro comporta conseguenze sulla rappresentatività democratica che non vanno sottovalutate. Il discorso è semplice e parte da un presupposto fondamentale: il Parlamentare è il nostro rappresentante all’interno delle Istituzioni, è lì per rappresentare chi lo ha votato e, in generale, il Popolo Italiano. Riducendo il numero dei Parlamentari si riduce il numero dei rappresentanti del Popolo; in parole povere, il popolo è meno rappresentato.
Per capirsi in soldoni: se oggi i collegi elettorali sono piuttosto piccoli, dato l’alto numero di Parlamentari, riducendo il Parlamento i collegi diventerebbero più grandi. Quindi un eletto rappresenterebbe più persone, con un rapporto diretto con l’elettorato più distante, più complesso. Per semplificare ulteriormente: se oggi posso votare una persona perché, magari, la conosco personalmente o, quantomeno, ne ho seguito l’operato, visto il collegio di piccole dimensioni, con collegi più ampi questo diventa più difficile da realizzarsi. E comunque, in linea di massima, vale il principio che, riducendo i rappresentanti, si riduce la rappresentatività. Tutto questo per risparmiare qualche spicciolo. Vedete voi se è così importante o se abbiamo problemi ben più seri.

Luca Craia


Fine dell'era del Capitano. Salvini resuscita il PD e il M5S. Si apra la questione della leadership o si regala il Paese alla pseudosinistra.


Salvini ha sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare. Conte, d'altra parte, specialmente con la sua replica al Senato, lo ha letteralmente sbriciolato. Non era difficile. Una crisi che avrebbe dovuto esserci mesi fa, condotta nel peggior modo possibile, facendo figure che definire ridicole è un eufemismo, aprendo la seria possibilità di rimandare al governo il PD, mi sembrano motivi più che sufficienti per ragionare sull'opportunità che "il Capitano" resti al timone di quello che, comunque, rimane al momento l'unico partito votabile dello scenario italiano. Salvini ha sperperato il consenso guadagnato magistralmente negli ultimi mesi muovendosi come un elefante in un negozio di porcellane. Questo governicchio doveva necessariamente finire ma non in questo modo, non regalando consenso al Movimento 5 Stelle e, soprattutto, al PD.
Credo che sia la fine dell'epoca del "Capitano" e della politica degli slogan, della sguaiatezza, della provocazione troppe volte fine a se stessa. Nella Lega ci sono enormi capacità, ci sono uomini capaci di assumere la leadership e di riguadagnare il consenso che Salvini ha buttato via negli ultimi giorni. Soprattutto nella Lega ci sono uomini in grado di attuare la politica per la quale ha acquisito tanto consenso senza bisogno di abbassare giorno dopo giorno il livello della qualità del dibattito e della proposta.
 Mi auguro davvero che all'interno del partito si apra la questione della leadership in maniera decisa e forte. La proposta politica della Lega, pur rimanendo l'unica offerta votabile, come dicevamo, da un elettorato moderato e privo di preconcetti ideologici, ora ha bisogno di una svolta e di archiviare una fase politica che si è chiusa nel peggiore dei modi.
Mi auguro che si vada comunque a votare presto, l'ipotesi di un governo M5S-PD è davvero un incubo. Il problema è che ora, dopo gli ultimi accadimenti e, soprattutto, dopo il dibattito di oggi, lo scenario politico non è certamente più lo stesso di quello di 20 giorni fa. Il momento è delicatissimo e soltanto un passo indietro di Salvini potrebbe recuperare quanto le ultime scelte scellerate hanno buttato alle ortiche.

Luca Craia

martedì 20 agosto 2019

Ricostruzione: segnali negativi travestiti da positivi.

Il centro storico di Visso
Ho fatto in giro per L’Aquila, l’altro giorno, accompagnato dall’amico Gianni Grimaldi che si è prestato a farmi da guida tra le bellezze della città e i segnali relativi alla ricostruzione che, a dieci anni dall’evento, è partita, sì, ma procede con grande lentezza. Se fuori dalle mura storiche la città sembra stia riprendendo una sua normalità. Nel centro storico ancora si strascica, le ferite sono ancora aperte e alcune ancora sanguinano. Sono passati dieci anni, dicevamo, e L’Aquila è una grande città, un capoluogo di regione, una città che non può morire. E non morirà: sta soffrendo molto, ma riuscirà a tornare viva, con molte cicatrici ma viva.
Qualche giorno prima avevo fatto un giro nell’Alto Nera marchigiano, tra Visso e Ussita. E l’impressione avuta da quei luoghi, dopo un anno che non andavo, è stata molto diversa da quella che mi ha dato L’Aquila. Non mi voglio dilungare e annoiare il lettore con le consuete considerazioni sulle macerie, la pessima qualità delle SAE, le lungaggini burocratiche la situazione stagnante che si percepisce ovunque. Vorrei parlarvi di segnali meno evidenti ma, secondo me, chiarissimi nel loro significato. E per farlo, vi racconto Visso.
Visso ha alcune aree SAE intorno all’abitato storico. Ho avuto modo di vedere bene quella di Villa Sant’Antonio, a metà strada tra la frazione e il centro. Una schiera di casette tutte uguali, anonime, incastrate tra loro tra viottoli dritti, anch’essi tutti uguali, anonimi. Non so se qualcuno ha pensato di intitolare questi viottoli a qualche personaggio storico, come si fa con le vie, ma credo sia irriguardoso. Penso siano semplicemente numerati, ma non possi giurarci. Mi informerò, lì per lì non ci ho pensato. Di fronte a questo claustrofobico villaggio c’è un bel complesso commerciale, nuovo nuovo. Bello davvero, tutto in legno, molto accogliente e ben inserito nel paesaggio. Dentro vi hanno trovato casa alcune delle attività commerciali che hanno resistito, prima cercando di sopravvivere nelle casette di legno emergenziali del primo momento, allestite intorno ai giardini, e ora qui. Poco distante c’è un altro centro, bello anche quello.
Santa Maria di Paganica, L'Aquila
Verrebbe da dire che, tutto sommato, si sta ripartendo. Secondo me, invece, il segnale non è positivo. Non lo è perché, intorno al centro storico ora non c’è davvero più niente. Poca gente ai giardini, una volta cuore dell’estate vissana, nessuno nelle vie intorno alle mura. Del resto, che vai a fare? La zona rossa è ancora la stessa di tre anni fa, c’è qualche maceria in meno ma i ponteggi stanno tutti lì, come le case ferite, le finestre cieche, la polvere dei calcinacci e dell’oblio che si sta depositando piano piano. E, se l'idea di far risorgere Visso è questa, è un'idea sbagliata.
Segnali negativi, perché una città non può ripartire senza la propria storia, la propria memoria, il proprio patrimonio culturale. Una città non può riprendersi la sua vita normale quando il suo cuore è sbarrato dalle reti rosse e da un cartello che minaccia sanzioni se le superi. Il nuovo sembra finto, di plastica e cartone, se non c’è la volontà di riprendersi l’antico, la storia, l’anima. Dietro quelle reti rosse c’è Visso. Visso non è e non può essere un villaggio di costruzioni tutte uguali, uno o due centri commerciali dove ammucchiarsi. Visso è la Collegiata, la piazza, il ristorante nel vicolo, il negozietto all’angolo con la vetrina segnata dal tempo, il profumo di pasticceria che invade l’aria mescolandosi a quello delle cantine, dei fiori. Quella Visso lì è stata incartata tre anni fa, e lasciata lì. Ci crescono le erbacce alte un metro, ci crescono gli echi del passato, e il silenzio, sempre più forte.
A L’Aquila stanno facendo rinascere il centro storico. Piano piano, con troppa lentezza. Ma intanto ci puoi camminare in mezzo, ci puoi mangiare e bere. A Visso no. A Ussita no. A Pieve Torina no. In mezzo a quei viottoli sintetici non ci andrai mai a camminare. La desertificazione, quella di cui parlo da tre anni e che ora sembrano scoprire anche quelli che capiscono più di me, è anche questo.

Luca Craia