martedì 20 agosto 2019

Ricostruzione: segnali negativi travestiti da positivi.

Il centro storico di Visso
Ho fatto in giro per L’Aquila, l’altro giorno, accompagnato dall’amico Gianni Grimaldi che si è prestato a farmi da guida tra le bellezze della città e i segnali relativi alla ricostruzione che, a dieci anni dall’evento, è partita, sì, ma procede con grande lentezza. Se fuori dalle mura storiche la città sembra stia riprendendo una sua normalità. Nel centro storico ancora si strascica, le ferite sono ancora aperte e alcune ancora sanguinano. Sono passati dieci anni, dicevamo, e L’Aquila è una grande città, un capoluogo di regione, una città che non può morire. E non morirà: sta soffrendo molto, ma riuscirà a tornare viva, con molte cicatrici ma viva.
Qualche giorno prima avevo fatto un giro nell’Alto Nera marchigiano, tra Visso e Ussita. E l’impressione avuta da quei luoghi, dopo un anno che non andavo, è stata molto diversa da quella che mi ha dato L’Aquila. Non mi voglio dilungare e annoiare il lettore con le consuete considerazioni sulle macerie, la pessima qualità delle SAE, le lungaggini burocratiche la situazione stagnante che si percepisce ovunque. Vorrei parlarvi di segnali meno evidenti ma, secondo me, chiarissimi nel loro significato. E per farlo, vi racconto Visso.
Visso ha alcune aree SAE intorno all’abitato storico. Ho avuto modo di vedere bene quella di Villa Sant’Antonio, a metà strada tra la frazione e il centro. Una schiera di casette tutte uguali, anonime, incastrate tra loro tra viottoli dritti, anch’essi tutti uguali, anonimi. Non so se qualcuno ha pensato di intitolare questi viottoli a qualche personaggio storico, come si fa con le vie, ma credo sia irriguardoso. Penso siano semplicemente numerati, ma non possi giurarci. Mi informerò, lì per lì non ci ho pensato. Di fronte a questo claustrofobico villaggio c’è un bel complesso commerciale, nuovo nuovo. Bello davvero, tutto in legno, molto accogliente e ben inserito nel paesaggio. Dentro vi hanno trovato casa alcune delle attività commerciali che hanno resistito, prima cercando di sopravvivere nelle casette di legno emergenziali del primo momento, allestite intorno ai giardini, e ora qui. Poco distante c’è un altro centro, bello anche quello.
Santa Maria di Paganica, L'Aquila
Verrebbe da dire che, tutto sommato, si sta ripartendo. Secondo me, invece, il segnale non è positivo. Non lo è perché, intorno al centro storico ora non c’è davvero più niente. Poca gente ai giardini, una volta cuore dell’estate vissana, nessuno nelle vie intorno alle mura. Del resto, che vai a fare? La zona rossa è ancora la stessa di tre anni fa, c’è qualche maceria in meno ma i ponteggi stanno tutti lì, come le case ferite, le finestre cieche, la polvere dei calcinacci e dell’oblio che si sta depositando piano piano. E, se l'idea di far risorgere Visso è questa, è un'idea sbagliata.
Segnali negativi, perché una città non può ripartire senza la propria storia, la propria memoria, il proprio patrimonio culturale. Una città non può riprendersi la sua vita normale quando il suo cuore è sbarrato dalle reti rosse e da un cartello che minaccia sanzioni se le superi. Il nuovo sembra finto, di plastica e cartone, se non c’è la volontà di riprendersi l’antico, la storia, l’anima. Dietro quelle reti rosse c’è Visso. Visso non è e non può essere un villaggio di costruzioni tutte uguali, uno o due centri commerciali dove ammucchiarsi. Visso è la Collegiata, la piazza, il ristorante nel vicolo, il negozietto all’angolo con la vetrina segnata dal tempo, il profumo di pasticceria che invade l’aria mescolandosi a quello delle cantine, dei fiori. Quella Visso lì è stata incartata tre anni fa, e lasciata lì. Ci crescono le erbacce alte un metro, ci crescono gli echi del passato, e il silenzio, sempre più forte.
A L’Aquila stanno facendo rinascere il centro storico. Piano piano, con troppa lentezza. Ma intanto ci puoi camminare in mezzo, ci puoi mangiare e bere. A Visso no. A Ussita no. A Pieve Torina no. In mezzo a quei viottoli sintetici non ci andrai mai a camminare. La desertificazione, quella di cui parlo da tre anni e che ora sembrano scoprire anche quelli che capiscono più di me, è anche questo.

Luca Craia