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lunedì 30 maggio 2016

Potevamo vincere la guerra?



Siamo un popolo di tifosi. Da noi o sei di una squadra o di un’altra. O sei milanista o sei interista. O sei comunista o fascista. O sei pro o sei contro. Le vie di mezzo non sono contemplate ma, soprattutto, non è contemplato il distinguo, il ragionamento, l’approfondimento per poi dare un giudizio che non debba essere per forza bianco o nero.
Siamo anche un popolo senza coscienza nazionale. Siamo un popolo senza amor patrio, a meno che non si tratti della nazionale di calcio. Siamo un popolo che non ha rispetto per il proprio Paese, per la bandiera e per se stesso.
Tutto questo diventa evidente con il caso dei due Marò. Eccoci qua: quelli che li indicano come eroi e quelli che li additano come assassini. Non c’è mediazione, non c’è ragionamento. Ci sono solo un sacco di cretinate pubblicate sui social ai quali, da bravi pecoroni tifosi, siamo pronti a credere per schierarci da una parte o dall’altra.
Non ci viene in mente che questi due ragazzi sono solo due persone che facevano il loro lavoro, mandati in un posto pericoloso a rischiare la vita perché quello è il loro mestiere e, come si dice, qualcuno deve pur farlo. C’entra poco se ci fosse l’egida o meno della missione internazionale (qui apriremmo un capitolo a parte sull’idiozia dei nostri governi): sono due militari ed eseguono ordini. Non ci viene in mente che, magari, abbiano potuto commettere un tragico errore che, in un frangente come quello, per quanto esecrabile, va contemplato. Noi ci dobbiamo dividere tra chi pensa che i due militari italiani siano degli assassini e chi pensa che siano degli eroi. Vedo davvero poche persone che dicono che non sono né l’uno né l’altro: sono due persone, esseri umani, che forse hanno sbagliato, ma ci sarà un processo per stabilirlo.
Non vedo folle di patrioti con la bandiera in mano come alle partite di calcio per difendere l’onore nazionale. Perché quello sì che è stato calpestato. L’India ha trattato l’Italia come un paesucolo da terzo mondo. Immaginate cosa sarebbe accaduto se, invece dei Marò, ci fossero stati due Marines. La nostra diplomazia ha dato pessima prova di sé fin dai primi tempi, coi giochi e i trucchetti del governo Monti. Si è giunti al rientro dei due militari in patria solo dopo anni di trattative. Questa storia ha dimostrato quanto poco peso abbia l’Italia a livello internazionale, con l’Onu silenziosa e l’alleato americano che faceva l’indiano. Ma di tutto questo agli Italiani importa poco. Ora conta insultare i due militari o celebrarli quasi fossero salvatori della patria. Per poi, tra pochi giorni, sventolare il bandierone per gli Europei di calcio.

Luca Craia


venerdì 17 gennaio 2014

Cosa c’entra il Duce coi Marò?



Siamo alle solite. In Italia massacriamo tutto perché dobbiamo per forza marchiare politicamente qualsiasi cosa, sfasciandoli, ridicolizzandola, annichilendola. Prendiamo ad esempio la protesta dei cosiddetti Forconi: legittima, condivisibile in linea di principio, si è infranta contro gli scogli delle faziosità, con i soliti fascisti che si infiltrano dappertutto (a questo punto viene da chiedersi “mandati da chi?”) e la politicizzazione più bieca di un moto spontaneo che spontaneo non è più proprio per questo. Che dire del dissenso verso la Kyenge? Se non sei fascista non puoi dire che osteggi la politica del ministro perché verresti immediatamente etichettato.
Solo che, nel caso dei Marò, ci vanno di mezzo due vite umane. Vanno bene gli appelli, vanno bene le mobilitazioni, le proteste, le manifestazioni, ma come al solito ci sono i soliti fascisti che mettono il timbro e creano imbarazzo in chi fascista non è. La mobilitazione popolare per chiedere la liberazione dei marò non può essere etichettata come iniziativa di destra, men che mai come fascista. Eppure eccoli là, vuoi per pochezza intellettuale, vuoi per calcolo, stanno prendendo possesso anche di questa situazione e, sicuramente, ne sbricioleranno l’impatto marchiandola come fascista. E a pagarne le spese saranno i due militari italiani.

Luca Craia

martedì 14 gennaio 2014

I marò e gli Italiani sacrificabili per interessi economici.



La vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò italiani di cui tanto si parla ma i cui nomi nessuno sembra voler pronunciare quasi in un tentativo anticipato di rimozione dalla memoria di quello che è probabilmente l’episodio più vergognoso della storia d’Italia degli ultimi anni, costituisce la misura dell’imbarbarimento della nostra società e di quanto siano esauriti i valori che dovrebbero essere elemento fondante di un Popolo e di una Nazione.
Le rivelazioni dell’ex ministro Giulio Terzi circa l’importanza, nel determinare il pasticciaccio dei marò, di “fortissime pressioni di gruppi economici” non sono sorprendenti in sé in quanto già avevamo capito che i rapporti economici tra Italia e India erano l’elemento che preoccupava maggiormente i nostri governanti in tutta la questione. Però sentirselo dire ferisce chi ancora crede che la vita umana non abbia prezzo e che non ci sia accordo economico o rapporto commerciale che possa valere di più.
Eppure anche Terzi parla di queste “pressioni” solo ora, dopo che si registra un certo interessamento, non so quanto credibile, da parte dell’Europa. Ecco allora spiegato perché i tanti sforzi profusi dalla nostra diplomazia, almeno così ci hanno fatto credere, non hanno prodotto risultati apprezzabili: i tanti sforzi non sono andati nella direzione che più potrebbe far male all’India e, quindi, portarla a più miti consigli circa la sorte dei nostri connazionali. La direzione, ovviamente, è quella economica.
Ma, a quanto pare, non si possono intaccare i rapporti commerciali, da cui i due militari rischiano sul serio la pena di morte per non creare problemi all’import-export. Questo, oltre alla drammaticità del caso specifico, ci fa capire cosa conta in Italia e cosa no e, soprattutto, chi conta e chi no. Si ha il sospetto, a questo punto legittimo, che si potrebbero mandare al macello tutti gli Italiani soltanto per salvaguardare gli interessi di questi fantomatici “gruppi economici”.

Luca Craia