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mercoledì 24 agosto 2016

Il Paese dove crollano gli ospedali e si progettano ponti sullo stretto.



Un ospedale non può crollare. Oddio, potrebbe anche, ma se crolla l’ospedale significa che intorno si è polverizzato tutto. L’ospedale deve essere costruito in modo che non possa essere danneggiato in maniera seria durante un evento come quello della notte scorsa. E se gli ospedali sono vecchi, costruiti da troppo tempo, potenzialmente pericolosi, vanno ricostruiti, ristrutturati, resi sicuri. Un Paese civile non può far crollare gli ospedali.
Da noi la politica da anni parla solo che di cazzate. Parla di ponti sullo stretto e progetti faraonici. Poi ci dice che non può mettere in sicurezza gli ospedali, che questi potrebbero cadere per un terremoto perché non ci sono i soldi, perché il nostro debito pubblico non ci consente di investire sulla vita delle persone. Ci consente di dire scempiaggini su ponti sullo stretto ma non di rendere sicuri gli ospedali.
L’Italia è un Paese fortemente sismico. Dovrebbe essere l’obiettivo primario di un Paese fortemente sismico come il nostro fare in modo che le gente non muoia sotto le macerie, come in Giappone, per fare un esempio. Il Giappone ha un debito pubblico molto più alto del nostro, ma ha investito e continua a investire in sicurezza. In Giappone un terremoto come quello di Amatrice sarebbe una cosa di cui non preoccuparsi. Paradossalmente investire in sicurezza non aumenterebbe il debito pubblico ma, anzi, con ogno probabilità lo diminuirebbe innescando un’economia di settore e un circolo virtuoso che, oltre a portare sicurezza, aumenterebbe occupazione e ricchezza.
Ma tutto questo vallo a far capire a Renzi e alla Merkel.

Luca Craia

mercoledì 3 agosto 2016

Erdogan e la pochezza di Renzi



Ho ascoltato sbigottito l’intervista del Presidente turco Erdogan rilasciata ieri al Tg1. Lo sbigottimento era dato in parte dal fatto che stessi ascoltando il Tg1, ma soprattutto da quello che quest’uomo diceva con una candidezza disarmante, come se insultare e minacciare uno Stato sovrano e alleato, membro di una comunità di Stati, quella europea, alla quale si tende ad essere accettato fosse la cosa più naturale del mondo.
Erdogan ha detto cose incredibili che spiegano molto sul concetto di Stato e di “democrazia” che ha l’uomo in sé ma anche il suo partito che, ricordiamolo, è un partito islamista. È importante sottolineare la natura confessionale del partito di cui Erdogan è espressione perché, nonostante la coalizione sia considerata moderata, anzi, proprio in funzione di questa sua presunta moderazione, i concetti espressi dal suo leader ci danno l’esatta misura del concetto democratico che appartiene a chi governa confessionalmente in nome dell’Islam. Considerando che la Turchia chiede da tempo di entrare in Europa e che oggi lo fa avendo in mano la formidabile arma di milioni di profughi pronti a essere riversati sul suolo europeo, tutto questo è spaventoso.
Ho trovato, nel contempo, sconcertante la risposta del nostro premier Renzi. Sconcertante non nei contenuti che, anzi, sono pienamente condivisibili, quanto per la rilevanza che il nostro capo del Governo ha dato alla cosa. Un tweet. Non un comunicato stampa, non una protesta ufficiale. Renzi ha ritenuto di chiudere l’attacco istituzionale, perché di questo si tratta, perpetrato dal nostro presunto alleato turco nei confronti della nostra Magistratura, uno dei tre poteri fondanti dello Stato Italiano, con poche righe su un social network.
Siamo il Paese che ha sacrificato il proprio mercato, prospero e proficuo, con la Russia per assecondare le mire espansionistiche degli USA, facendo enormi danni alla propria economia e chiudendo di fatto i rapporti con un partner commerciale e potenzialmente politico fondamentale senza averne alcun motivo logico, e di fronte a un attacco inqualificabile da parte di un satrapo dittatore da quattro soldi reagiamo con un tweet. Fano bene gli Americani a colonizzarci.

Luca Craia

giovedì 26 maggio 2016

Renzi regala 500 euro agli studenti, anche a quelli stranieri



Un provvedimento inspiegabile, irragionevole, inutile a meno che non si pensi che sia l’ennesimo tentativo di acquistare qualche voto: il Governo Renzi destina 500 euro a ogni studente diciottenne residente in Italia, sia cittadino italiano che straniero. Che ci fa un diciottenne di questi 500 euro? Secondo il piano del Governo, i soldi verranno elargiti a fronte di spese per l’arricchimento culturale, quindi libri, teatro, cinema, musica e quant’altro possa essere inquadrato come educativo; tutto piuttosto vago, per ora, ma magari si spiegherà meglio nella fase attuativa.
Quello che non si capisce è perché si diano soldi agli studenti mentre si tolgono alle scuole. Non sarebbe più logico e sensato investire nel sistema scuola piuttosto che dare soldi a pioggia? Il sospetto è che, dato il referendum costituzionale di ottobre, Renzi voglia, ancora una volta, comprarsi qualche voto regalando soldini come aveva fatto per i famosi 80 euro. E li regala proprio ai diciottenni, ossia a coloro che, quest’anno, voteranno per la prima volta. Guarda caso.
Mons. Nuncio Galantino
Questo sospetto è venuto a molti, anche a Monsignor Nunzio Galantino, Segretario Generale della CEI, che ha mosso proprio questa critica al Governo: si danno soldi soltanto agli studenti con diritto di voto. Peggio: Renzi cerca di salvarsi la faccia e di non inimicarsi la CEI ed estende il bonus anche agli stranieri, che non voteranno ma fanno tanta immagine. Ecco quindi che qualche ulteriore milione di Euro se ne va con leggerezza. La CEI è contenta, Renzi pure, i diciottenni non ci possono credere e noi paghiamo.
Perché il punto è questo: il provvedimento non serve a niente. Non aumenterà la cultura dei nostri ragazzi, per quello dovrebbe pensarci prima la scuola ma, vista l’inefficienza generale del nostro sistema scolastico, non sarà che renderemo più dotti gli studenti con 500 miseri euro a testa. Però costa, e costa ancora di più perché, se almeno per gli studenti italiani i soldi sono i nostri e restano nostri, con gli stranieri il discorso cambia: investiamo su persone senza la certezza di un ritorno economico, senza sapere se la cultura che questi ragazzi acquisiscono oggi sarà poi messa a disposizione del popolo italiano che l’ha pagata o se ne andrà con loro in chissà quale angolo del mondo. Vivessimo tempi di vacche grasse sarebbe una bella filantropia, ma qui le vacche muoiono di stenti e questi gesti magnanimi sarebbe bene risparmiarseli.

Luca Craia