Il rito del Frustingo cominciava
una mesata prima di Natale, quando nonna andava da Mimi, il negozietto di
generi alimentari, pieno di profumi e leccornie, che stava proprio di fronte
casa nostra, a ordinare gli ingredienti. Perché, per fare un frustingo come si
deve, occorrono ingredienti di primissima qualità. E Mimi era l’unica
spacciatrice di queste prelibatezze. Prima di tutto i fichi secchi, poi i
canditi, le noci, preferibilmente di Sorrento. Una volta arrivato tutto
l’occorrente si riuniva la congrega delle donne.
Infatti il frustingo è un dolce che va fatto in gruppo,
dove in genere c’è la specialista che conosce esattamente le dosi per farlo
davvero speciale. Le altre donne fanno il lavoro manuale ma la specialista
detta le istruzioni, le dosi, i ritmi di lavoro. A casa mia si riunivano le
donne del vicinato: nonna Peppa, Marì de Baffì, la stessa Mimi, Pia, Fidarma.
Poi c’era la specialista, Eda de Vastò, che in quell’occasione diventava capa
capessa, leader indiscusso della congrega. Nonostante fossero anni e anni che
tutte queste donne assistevano Eda nella preparazione del Frustingo, nessuna di
loro era in grado di usurparle il ruolo di specialista.
Così, la settimana prima di Natale, in un pomeriggio
convenuto, la congrega si riuniva, in genere a casa mia perché era quella con
la cucina più grande, per preparare il frustingo comune al vicinato. La cucina
diventava laboratorio alchemico e tutta la magia di quelle mani sapienti, che
impastavano, sminuzzavano, mantecavano, versavano davano vita a un momento di
pura poesia, fondamentale nella creazione dell’atmosfera natalizia tanto quanto
presepe e albero.
Una volta pronto l’impasto veniva versato nelle teglie d’acciaio che ogni donna aveva portato con sé. Queste teglie dovevano andare in forno, ma non il forno di casa, perché per cuocere il frustingo ci vuole un forno potente. Una volta c’era quello a legna ma già all’epoca di cui vi parlo non ce l’aveva più nessuno. Per cui le donne, in processione, portavano ognuna la sua teglia al forno di Americo, poche decine di metri lontano. Lì, la mattina dopo, il rito del frustingo, questa magia natalizia tutta nostra, aveva il suo compimento. L’aria del centro storico si riempiva del suo odore dolciastro ed era Natale.
Non rimaneva che portare a casa,
ogni donna alla sua, il dolce ben cotto e difenderlo per qualche giorno dagli
attacchi di mariti, figli e generi. A casa mia nonna lottava a spada tratta con
babbo che difficilmente sapeva resistere. Il frustingo doveva maturare qualche
giorno, una volta cotto. Così era pronto giusto giusto per la Vigilia di Natale
quando, durante la tombola del dopo cenone, si inaugurava tagliando la prima
fetta.
Luca Craia
Foto: Italian Food Academy
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