lunedì 4 maggio 2020

Indennizzi per la zootecnia: svantaggiati i piccoli allevatori. La contraddizione con l’ecosostenibilità.


Tra le varie aziende che necessitano di sostegno in questo momento di crisi economica profonda e preoccupante, conseguente all’epidemia ancora in corso, figurano anche quelle del comparto agricolo e zootecnico. È un settore economico delicato, perché non influisce solo sul mercato ma anche sulla qualità della vita generale, sull’ecologia, sull’ambiente. È importante, soprattutto in questo momento, che la politica di sostegno alle aziende del settore tenga conto anche del loro impatto ambientale, in coerenza con quanto la politica ha sempre affermato in termini di ecosostenibilità.
Eppure non è quella la direzione in cui si sta andando. A denunciarlo senza mezzi termini, ancora una volta è Silvia Bonomi, titolare di un’azienda che alleva pecore sopravissane, una razza autoctona del territorio dell’alto Nera che è stata reintrodotta recentemente. Silvia è una nostra vecchia conoscenza, intendendo con nostra i frequentatori di questo blog, nonché una mia cara amica. I lettori de L’Ape la conoscono per le sue battaglie a favore dei terremotati, quando ella stessa aveva subito ingenti danni dal sisma. Combattiva, Silvia ha notato come la politica di sostegno della Regione Marche nei confronti delle aziende zootecniche sia fortemente sbilanciata a favore di quelle di grandi dimensioni, a tutto svantaggio di quelle piccole, come la sua. Lo ha notato perché il suo indennizzo è di 296 Euro, una cifra esigua, ridicola, offensiva, tanto che ha deciso di non accettarla.
“L'allevamento in montagna, quello vero, è fatto di piccoli numeri” dice la Bonomi. “Ci riempiamo tanto la bocca di sostenibilità, di basso impatto ambientale, di rispetto dell'ecosistema e dei suoi abitanti, di piccole produzioni sostenibili, di "home range" e di corretto "carico di bestiame" in quelle aree Parco definite "sensibili" alla pressione umana, che quindi vedono di buon occhio solo coloro che non urtano i delicati equilibri di flora e fauna, con piccoli numeri appunto, che non depredano risorse ad altre specie selvatiche (siano esse lepri, coturnici, caprioli, cervi). L'allevamento di montagna ha per forza di cose un carico di bestiame irrisorio, quindi. Per la seconda volta, però, vengono sfavoriti i piccoli e tenaci custodi del territorio, in virtù delle grandi aziende, che raggiungono quel tetto massimo di importo stanziato con solo un quinto dei loro possedimenti zootecnici”.
Che la politica regionale in materia sia sbilanciata, pare chiaro. Ma, soprattutto, pare chiara la contraddizione tra gli intenti dichiarati in fatto di ambiente e le politiche reali che si applicano.

Luca Craia