Tra le varie
aziende che necessitano di sostegno in questo momento di crisi economica
profonda e preoccupante, conseguente all’epidemia ancora in corso, figurano
anche quelle del comparto agricolo e zootecnico. È un settore economico
delicato, perché non influisce solo sul mercato ma anche sulla qualità della
vita generale, sull’ecologia, sull’ambiente. È importante, soprattutto in
questo momento, che la politica di sostegno alle aziende del settore tenga
conto anche del loro impatto ambientale, in coerenza con quanto la politica ha
sempre affermato in termini di ecosostenibilità.
Eppure non è
quella la direzione in cui si sta andando. A denunciarlo senza mezzi termini,
ancora una volta è Silvia Bonomi, titolare di un’azienda che alleva pecore
sopravissane, una razza autoctona del territorio dell’alto Nera che è stata
reintrodotta recentemente. Silvia è una nostra vecchia conoscenza, intendendo
con nostra i frequentatori di questo blog, nonché una mia cara amica. I lettori
de L’Ape la conoscono per le sue battaglie a favore dei terremotati, quando
ella stessa aveva subito ingenti danni dal sisma. Combattiva, Silvia ha notato come
la politica di sostegno della Regione Marche nei confronti delle aziende
zootecniche sia fortemente sbilanciata a favore di quelle di grandi dimensioni,
a tutto svantaggio di quelle piccole, come la sua. Lo ha notato perché il suo
indennizzo è di 296 Euro, una cifra esigua, ridicola, offensiva, tanto che ha
deciso di non accettarla.
“L'allevamento in montagna, quello vero, è fatto di
piccoli numeri” dice la Bonomi. “Ci riempiamo tanto la bocca di sostenibilità,
di basso impatto ambientale, di rispetto
dell'ecosistema e dei suoi abitanti, di piccole produzioni sostenibili, di
"home range" e di corretto "carico di bestiame" in quelle
aree Parco definite "sensibili" alla
pressione umana, che quindi vedono di buon occhio solo coloro che non urtano i
delicati equilibri di flora e fauna, con piccoli numeri appunto, che non
depredano risorse ad altre specie selvatiche (siano esse lepri, coturnici,
caprioli, cervi). L'allevamento di montagna ha per forza di cose un carico di
bestiame irrisorio, quindi. Per la seconda volta, però, vengono sfavoriti i
piccoli e tenaci custodi del territorio, in virtù delle grandi aziende, che
raggiungono quel tetto massimo di importo stanziato con solo un quinto dei loro
possedimenti zootecnici”.
Che la politica regionale in materia sia sbilanciata,
pare chiaro. Ma, soprattutto, pare chiara la contraddizione tra gli intenti
dichiarati in fatto di ambiente e le politiche reali che si applicano.
Luca Craia