In mezzo a tutto
il pastrocchio fatto con l’apertura e chiusura e riapertura delle scuole a
seguito dell’epidemia in corso, si assesta un bellissimo esempio di confusione
mentale da parte di chi governa rappresentato dalla questione del certificato
medico. Col decreto del Presidente del Consiglio con cui si stabiliva la
chiusura solo delle scuole che stanno simpatiche (o antipatiche, dipende dal
punto di vista) al Governo, si ripristinava anche l’obbligo di presentazione
del certificato medico per assenze dovute a malattia superiori ai 5 giorni.
Alla notizia, lo
sbigottimento dei pediatri: ma come, ci dite che dobbiamo evitare l’affollamento
degli ambulatori, che non dobbiamo far venire in studio bambini sani col
rischio che contraggano il virus, e poi ce li mandate in massa a fare i
certificati? L’osservazione dei medici è stata subito presa in considerazione
dal Consiglio dei Ministri che ha abolito, in tempi incredibilmente brevi, l’obbligo
del certificato che, quindi, è rimasto in vigore solo questa mattina, non senza
generare un po’ di caos che non guasta mai.
In realtà, però, l’obbligo
di certificato ci sarebbe, ma solo per determinate patologie, quelle contenute
nel Decreto 15 dicembre 1990, che contiene un elenco di malattie infettive
piuttosto gravi che obbligano i pediatri a misure di profilassi particolari.
Scorrendo l’elenco, un sorriso amaro viene fuori. Infatti, tra le altre,
troviamo il colera, la febbre gialla, la peste, il tifo, la sifilide, l’aids,
la lebbra e la malaria. Il coronavirus non c’è.
Si fa per
sdrammatizzare.
Luca
Craia