lunedì 2 marzo 2020

Scuole e coronavirus: confusione mentale e pratica. La storia del certificato medico.


In mezzo a tutto il pastrocchio fatto con l’apertura e chiusura e riapertura delle scuole a seguito dell’epidemia in corso, si assesta un bellissimo esempio di confusione mentale da parte di chi governa rappresentato dalla questione del certificato medico. Col decreto del Presidente del Consiglio con cui si stabiliva la chiusura solo delle scuole che stanno simpatiche (o antipatiche, dipende dal punto di vista) al Governo, si ripristinava anche l’obbligo di presentazione del certificato medico per assenze dovute a malattia superiori ai 5 giorni.
Alla notizia, lo sbigottimento dei pediatri: ma come, ci dite che dobbiamo evitare l’affollamento degli ambulatori, che non dobbiamo far venire in studio bambini sani col rischio che contraggano il virus, e poi ce li mandate in massa a fare i certificati? L’osservazione dei medici è stata subito presa in considerazione dal Consiglio dei Ministri che ha abolito, in tempi incredibilmente brevi, l’obbligo del certificato che, quindi, è rimasto in vigore solo questa mattina, non senza generare un po’ di caos che non guasta mai.
In realtà, però, l’obbligo di certificato ci sarebbe, ma solo per determinate patologie, quelle contenute nel Decreto 15 dicembre 1990, che contiene un elenco di malattie infettive piuttosto gravi che obbligano i pediatri a misure di profilassi particolari. Scorrendo l’elenco, un sorriso amaro viene fuori. Infatti, tra le altre, troviamo il colera, la febbre gialla, la peste, il tifo, la sifilide, l’aids, la lebbra e la malaria. Il coronavirus non c’è.
Si fa per sdrammatizzare.

Luca Craia