giovedì 23 gennaio 2020

L’arte non è solo avere qualcosa da dire, bisogna saperlo dire. Paragonare Junior Cally ai Rolling Stones è blasfemia.


Non basta avere un messaggio per fare arte. Non basta avere un impeto di rottura, una smania di trasgressione, non basta avere qualcosa da dire per fare arte. Per fare arte bisogna anche avere delle qualità. Per questo invocare la libertà di espressione legata all’arte nel caso del rapper Junior Cally non è accettabile, semplicemente perché Junior Cally non è un artista.
Tralascio le considerazioni su quello che Junior Cally ha da dire, della qual cosa l’umanità potrà tranquillamente fare a meno, mi soffermo sul mezzo espressivo che usa: cos’è? Poesia? Non direi, non si capisce neanche la lingua, l’unica cosa chiara è la violenza che è contenuta in quelle parole scritte. Non può essere la stessa arte di Leopardi quella che attribuiamo a questo soggetto. Non può essere nemmeno quella di De Andrè.
Allora magari è musica. Musica? La musica deve poter essere scritta sul pentagramma per essere tale. Più semplicemente, deve essere possibile eseguirla in qualche modo, anche fischiettando sotto la doccia. Signori, la musica è un’altra cosa, non scherziamo. Ho letto in giro paragoni assurdi tra questo individuo e i Velvet Undergroiund, addirittura l’ho visto paragonato ai Rolling Stones. Il paragone nasce dal parallelo tra la trasgressione (che non è trasgressione, è violenza) del primo e quella dei mostri sacri del rock. Cioè, Lou Reed e questo essere mascherato sarebbero simili. Keith Richards e questo balbettatore sarebbero la stessa cosa. Questa è blasfemia pura. Non serve che spieghi perché.

Luca Craia