Sono sempre stato
profondamente contro l’antisemitismo, tanto da farci a botte, da litigare e
togliere il saluto a gente che si professava antisemita. Ed è per questo che mi
preoccupo seriamente di fronte alla strumentalizzazione che ne sta facendo la
sinistra italiana, sempre pronta a trovare nuove vie per conquistare quel
consenso perduto a causa della propria inettitudine, dalla propria distanza
sempre maggiore rispetto al popolo vero e alle sue vere necessità.
La manifestazione
di Milano appare decisamente come un’operazione propagandistica, per quanto
molto ben studiata per non farla passare come tale. Non c’erano bandiere,
almeno non sventolavano a favore di camera, ma c’era nettissima l’etichetta
politica e l’accusa sottotraccia verso l’opposizione, un accusa perdurante e strumentale
che parla di un odio che, invece, serpeggi in tutte le vene della politica, ne
scuote tutti i gangli e muove ogni sua decisione mediatica, un odio a cui
nessuno, da destra a sinistra, da sopra a sotto, è immune.
Mettere l’etichetta
all’antisemitismo è pericoloso. L’antisemitismo è un’aberrazione che non ha
bandiera e, purtroppo, appartiene storicamente e attualmente sia a deviati di
destra che di sinistra. Attaccare la pecetta politica a chi si schiera contro l’antisemitismo
pone chi appartiene all’altro schieramento al di là di una linea immaginaria,
lo etichetta a sua volta. E questo può avere conseguenze molto gravi.
La politica oggi è
percepita non come l’arte di curare l’interesse pubblico bensì alla stessa
stregua del tifo calcistico, trasponendovi anche le sfaccettature più negative.
Il tifo non ragiona, non media, è puro istinto. Se il giocatore Pinko, che fino
a ieri era l’idolo della nostra squadra, domani andasse a giocare con la
squadra avversaria, diventerebbe automaticamente pessimo, incapace,
destinatario di disprezzo. Il rischio è che, essendo la mentalità politica
molto simile a questi meccanismi intellettivi del tifo, la stessa cosa accada
per i concetti, gli ideali, i pensieri. E l’antisemitismo, da concetto trasversale
e universale, una volta accaparrato ed etichettato da uno schieramento politico,
rischia di diventare inviso almeno alle menti più povere dell’altro
schieramento. E ben sappiamo quanto danno possano fare le menti povere quando
si muovono in massa.
Luca
Craia