venerdì 29 novembre 2019

La fulminazione di Luchino Ceriscioli: la ricostruzione non cammina, nonostante i nastri tagliati.


Dopo aver tagliato centinaia, ma che dico, migliaia di metri di nastro tricolore, dopo aver presenziato sorridente a tutte, o quasi, le inaugurazioni della (finta) ricostruzione, anche dei tombini, dopo aver negato problemi, aver accusato chi li denunciava di disfattismo, dopo che i suoi assessori hanno trattato i terremotati da pezzenti (ricordiamo il caso di Maria Luisa Fiori ed Eleonora Tiliacos), ora i Presidente della Regione Marche si accorge che, così, la ricostruzione non va.
Non va, non parte, e non sono servite le piste ciclabili, le strade rattoppate coi soldi degli sms solidali, le grotte sudatorie. Non sono serviti i risorgimarche, le mostre d’arte a Osimo coi capolavori terremotati, non sono servite le visite istituzionali, le bandierine sventolate. Sta tutto fermo, e se ne accorge pure Ceriscioli. Meglio tardi che mai.
Ma un po’ di responsabilità ce l’ha anche la Regione, e questo Ceriscioli non lo dice. Forse qualcosa di più di un po’ di responsabilità. Ma ora non si può ammetterlo, giammai. Semmai è più intelligente addossare la colpa al Governo, anche se al governo ci stanno quelli del suo stesso partito. Qui si vota tra pochi mesi, e non c’è partito che tenga. Si rischia di perdere, e anche di brutto. E allora eccola qua, la ricostruzione che non parte. E non è colpa mia, dice il Presidente.

Luca Craia