giovedì 4 ottobre 2018

Stanno approvando una legge firmata da Gentiloni per controllarci sul web.


Duri a morire, anzi, capaci di far danno anche dopo morti, sempre che morti siano perché, sono convinto, nella loro testa c’è la convinzione che torneranno presto al potere. Per cui le ultime azioni di Gentiloni & Co. al governo del Paese sembrano, più che un bruciare i ponti scappando in ritirata, un prepararsi il terreno per un ritorno in grande stile. E la cosa potrebbe anche capitare, visto il pressing internazionale contro il governo gialloverde.
L’ultimo regalo che ci ha lasciato il simpatico tolentinate è questo: una legge, da lui firmata e poi emendata da altri compari di partito (il termine “compagni” non va più di moda) è una legge che nasce dal recepimento di disposizioni europee ma che nasconde al suo interno due provvedimenti che puntano in maniera decisa e chiara a controllare dettagliatamente quello che gli Italiani fanno sul web. È un trucco più volte utilizzato per inserire in leggi più burocratiche che altro azioni con valenza politica molto pesante, esattamente come in questo caso.
A spiegarcelo è Il Fatto Quotidiano e mi permetto di rilanciare l’informazione perché ritengo giusto che sia il più capillare possibile. Quando si recepisce una prescrizione comunitaria, l’iter di approvazione è molto snellito, la discussione stringata e gli emendamenti, discussi in maniera assolutamente non esaustiva causa i tempi ristretti, arrivano alla seconda camera per l’approvazione definitiva senza la possibilità di essere discussi. Per questo motivo si inseriscono in leggi di questo tipo emendamenti che magari c’entrano poco ma che potrebbero essere bloccati se proposti come legge a se stante.
In questo caso gli emendamenti di questo genere sono due e riguardano entrambi la libertà degli Italiani: il primo, fortemente contestato dal Garante della Privacy senza alcun risultato, impone ai provider la conservazione dei dati relativi agli utenti (telefonate, chat, pubblicazioni sui social) per sei anni. Sei anni sono un tempo lunghissimo ed espone questi dati a molteplici rischi, tra cui quello di essere intercettati da malintenzionati e utilizzati per scopi illeciti. Ma il rischio più grande è che questi dati possano diventare uno strumento di repressione nel caso il Paese prenda derive antidemocratiche, e il rischio, conoscendo i soggetti che propongono la norma, non è per niente remoto. Immaginate un governo che possa avere a disposizione tutto quello che dite o scrivete nei nuovi mezzi di comunicazione: avrebbe modo di usare questi dati in mille maniere, anche per ricattare e tacitare eventuali “disturbatori”.
L’altro emendamento è anche più pericoloso: come sappiamo, i provider possono tracciare ogni nostri movimento, sia digitale che reale. Per esempio, utilizzando un Google Maps e il GPS, lasciamo una traccia precisa dei nostri spostamenti. Con la nuova norma i provider potranno tenere sotto controllo questi movimenti non più soltanto dietro la richiesta della Magistratura, come funziona oggi, ma basterà una richiesta dell’esecutivo. In sostanza il Governo può sapere ogni cosa che fate o dite.
Visto l’uso che si voleva fare della Costituzione e il reiterato tentativo di toglierci il più possibile i diritti democratici fondamentali, come quello di voto (vedi le Province, per le quali non votiamo più, o il fallito tentativo di trasformare il Senato in una Camera nominata e non eletta, o le liste elettorali stesso dove non possiamo più esprimere preferenze), avere qualche timore che questo sia un tentativo di avere uno strumento di controllo e repressione formidabile mi pare per niente peregrino.

Luca Craia