Ennesimo suicidio di un terremotato, nelle Marche. Sono
stato combattuto fino ad adesso, nel dubbio se parlarne o no. Io ne parlo
esprimendo il mio punto di vista, non per dare la notizia, perché a questo ci
pensano i giornalisti. Ma, ogni volta che espongo il mio punto di vista di
fronte a drammi come quello di un uomo che si uccide per disperazione, dopo che
il terremoto formalmente, ma nella realtà burocrazia e politica, gli hanno
tolto tutto, vengo accusato di sciacallaggio, di cercare i click per farmene
chissà che cosa, di puntare alla visibilità. Ho deciso che non mi importa, che
mi si accusi pure, tanto gli accusatori sono essi stessi complici del sistema
che genera queste sciagure.
La notizia l’avete già letta, immagino: un anziano di San
Ginesio si è tolto la vita, si è attaccato a una trave della sua rimessa,
adiacente alla casa per la quale aveva lottato una vita e che gli è stata
tolta, dicevamo, dal terremoto. Sì, dal terremoto, ma anche da due anni di
niente, due anni trascorsi a parlare di ricostruzione senza fare la
ricostruzione.
Sono tanti, purtroppo, i casi come questo. Non sono casi che
possono rientrare facilmente nelle statistiche perché i veri motivi per cui un
uomo si toglie la vita li sa soltanto lui, sempre che li sappia. Ma i
terremotati che si sono uccisi sono purtroppo molti, e qualche domanda credo
sia giusto porsela. Me la pongo io, che non posso fare niente o quasi niente se
non mettere a disposizione il mio piccolo talento per dare voce a chi vuole
dire qualcosa ma non ha lo spazio per farlo, ma se la dovrebbe porre
soprattutto chi riveste ruoli di responsabilità, a chi continua a raccontarci
che va tutto bene, che ci sono cantieri dappertutto e che le Marche stanno
risorgendo. Ebbene, risorgere non mi pare proprio il termine adatto.
Luca Craia