Scuole come se
piovesse, in comuni colpiti dal sisma, che in altre realtà sarebbero semplici
frazioni. Nell'entroterra maceratese in questi ultimi mesi, c'è stato un
piccolo valzer di inaugurazioni, tutte accomunate dal fatto di essere in centri
che a volte hanno meno di mille abitanti o poco più. Oggi, secondo giorno del
nuovo anno scolastico, aprendo le cronache locali, si legge chiaramente che in
alcuni di questi centri, divenuti oggetto di donazioni grazie alla generosità
di semplici cittadini, enti ed associazioni, i numeri degli alunni sono in
calo, anche per effetto dello spopolamento indotto dal terremoto, e si è
tornati alle pluriclassi.
Tagli del
nastro in pompa magna, contenitori di ultima generazione, sicuri ed
antisismici, visibilità e riflettori garantiti per il mondo politico ed
amministrativo locale, per le società ed i big che con grande generosità hanno
regalato scuole.
E le case di
riposo? Ce ne sono molte distrutte nell'entroterra, ma sinora non si è mai
sentito di nessuna donazione in merito, solo un'associazione di terremotati sta
cercando faticosamente di raccogliere fondi per realizzarne una. Le altre sono
inserite nel piano di ricostruzione delle opere pubbliche e ci vorranno anni
per rivederle nelle zone dove erano, una per comune, senza nessuna ipotesi di
accorpamento, perchè il campanilismo locale non lo consente.
Riguardo alle
scuole, sia nella vallata del Fiastrone che dell'alto Chienti si erano levate
le voci dei genitori per fare istituti comprensivi unici tra più comuni.
Sindaci ed amministratori locali sembra abbiano fatto orecchie da mercante,
preferendo andare per la loro strada, senza studiare ipotesi di collaborazione
o aggregazione con i centri vicini. «La scuola non si tocca! E' il centro della
comunità, ci vanno i bambini ed i ragazzi, che sono il nostro futuro, è da loro
che ripartiremo», questo il mantra ripetuto nei piccoli centri a diversi
livelli.
Sempre dalle
cronache locali, si ricorda una piccola affermazione di un guardingo e
prudentissimo assessore regionale Angelo Sciapichetti, sulla possibilità di
studiare forme di aggregazione e collaborazione tra comuni, riguardo agli
edifici scolastici. Una voce così flebile la sua, che non ha inciso nel
dibattito pubblico. Ognuno è andato per la sua strada e tra l'estate scorsa ed
i prossimi mesi sarà ancora un fiorire di tagli del nastro, con ministri,
sottosegretari e gli immancabili amministratori regionali, proprio coloro che
avrebbero dovuto, in un quadro amministrativo privo di un ente di area vasta
come la Provincia, ridotta all'ombra di sé stessa, esercitare quell'azione di
coordinamento e di governance, nel canalizzare donazioni, progetti e nel
promuovere forme di collaborazione tra enti locali.
«Quando il
gatto non c'è, i topi ballano», recita il detto popolare e questo si può ben
applicare alla situazione delle scuole donate nell'entroterra. Invece nel
silenzio rispuntano cimeli dell'educazione scolastica del secolo scorso, le
pluriclassi. I bambini di età diverse tutti nella medesima classe, con gli
insegnanti che fanno lezione a tutti, mentre alcuni fanno esercizi, gli altri
fanno lezione, a turno. Il tutto pur di non accorparsi con gli altri e di non
perdere il baluardo dell'istituzione scolastica.
Rovesciamo il
problema: la bassa natalità, la fortissima crisi economica precedente il
terremoto, lo spopolamento da esso indotto provocano da anni il progressivo
svuotamento dei centri dell'entroterra. Un problema radicale, da affrontare
mettendo in campo una serie di azioni in diversi settori, per favorire
l'inserimento di famiglie giovani ed opportunità di lavoro. Invece nel presente
del post terremoto si agisce dal lato opposto: conserviamo l'istituzione
scolastica ed il resto si vedrà, senza valutare l'impatto positivo che avrebbe
potuto generare un istituto comprensivo raggruppato tra diversi centri. I
bambini domani si alzeranno continuando ad andare a scuola con altri di età
diversa, nella pluriclasse, come avveniva una volta per i loro nonni.
«Se vogliamo
che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi», scriveva Giuseppe Tomasi Di
Lampedusa. Allora seguendo questo pensiero, torniamo alla pluriclasse delle
piccole zone rurali di decenni fa, dove si imparava a trozzi e bocconi,
torniamo a quella genuinità tipica delle classi dal maestro unico, ai tempi
della campagna, alle ortiche l'apprendimento, i metodi didattici moderni.
Sempre divisi, ognuno nel proprio orticello, pur di non perdere quel piccolo
protagonismo locale, che realtà minuscole come i paesi dell'Appennino
garantiscono.
Sibilla Onorati