mercoledì 19 settembre 2018

Pioggia di scuole in un territorio desertificato. Conta l’immagine. E la didattica se ne va a farsi benedire.


Scuole come se piovesse, in comuni colpiti dal sisma, che in altre realtà sarebbero semplici frazioni. Nell'entroterra maceratese in questi ultimi mesi, c'è stato un piccolo valzer di inaugurazioni, tutte accomunate dal fatto di essere in centri che a volte hanno meno di mille abitanti o poco più. Oggi, secondo giorno del nuovo anno scolastico, aprendo le cronache locali, si legge chiaramente che in alcuni di questi centri, divenuti oggetto di donazioni grazie alla generosità di semplici cittadini, enti ed associazioni, i numeri degli alunni sono in calo, anche per effetto dello spopolamento indotto dal terremoto, e si è tornati alle pluriclassi.
Tagli del nastro in pompa magna, contenitori di ultima generazione, sicuri ed antisismici, visibilità e riflettori garantiti per il mondo politico ed amministrativo locale, per le società ed i big che con grande generosità hanno regalato scuole.
E le case di riposo? Ce ne sono molte distrutte nell'entroterra, ma sinora non si è mai sentito di nessuna donazione in merito, solo un'associazione di terremotati sta cercando faticosamente di raccogliere fondi per realizzarne una. Le altre sono inserite nel piano di ricostruzione delle opere pubbliche e ci vorranno anni per rivederle nelle zone dove erano, una per comune, senza nessuna ipotesi di accorpamento, perchè il campanilismo locale non lo consente.
Riguardo alle scuole, sia nella vallata del Fiastrone che dell'alto Chienti si erano levate le voci dei genitori per fare istituti comprensivi unici tra più comuni. Sindaci ed amministratori locali sembra abbiano fatto orecchie da mercante, preferendo andare per la loro strada, senza studiare ipotesi di collaborazione o aggregazione con i centri vicini. «La scuola non si tocca! E' il centro della comunità, ci vanno i bambini ed i ragazzi, che sono il nostro futuro, è da loro che ripartiremo», questo il mantra ripetuto nei piccoli centri a diversi livelli.
Sempre dalle cronache locali, si ricorda una piccola affermazione di un guardingo e prudentissimo assessore regionale Angelo Sciapichetti, sulla possibilità di studiare forme di aggregazione e collaborazione tra comuni, riguardo agli edifici scolastici. Una voce così flebile la sua, che non ha inciso nel dibattito pubblico. Ognuno è andato per la sua strada e tra l'estate scorsa ed i prossimi mesi sarà ancora un fiorire di tagli del nastro, con ministri, sottosegretari e gli immancabili amministratori regionali, proprio coloro che avrebbero dovuto, in un quadro amministrativo privo di un ente di area vasta come la Provincia, ridotta all'ombra di sé stessa, esercitare quell'azione di coordinamento e di governance, nel canalizzare donazioni, progetti e nel promuovere forme di collaborazione tra enti locali.
«Quando il gatto non c'è, i topi ballano», recita il detto popolare e questo si può ben applicare alla situazione delle scuole donate nell'entroterra. Invece nel silenzio rispuntano cimeli dell'educazione scolastica del secolo scorso, le pluriclassi. I bambini di età diverse tutti nella medesima classe, con gli insegnanti che fanno lezione a tutti, mentre alcuni fanno esercizi, gli altri fanno lezione, a turno. Il tutto pur di non accorparsi con gli altri e di non perdere il baluardo dell'istituzione scolastica.
Rovesciamo il problema: la bassa natalità, la fortissima crisi economica precedente il terremoto, lo spopolamento da esso indotto provocano da anni il progressivo svuotamento dei centri dell'entroterra. Un problema radicale, da affrontare mettendo in campo una serie di azioni in diversi settori, per favorire l'inserimento di famiglie giovani ed opportunità di lavoro. Invece nel presente del post terremoto si agisce dal lato opposto: conserviamo l'istituzione scolastica ed il resto si vedrà, senza valutare l'impatto positivo che avrebbe potuto generare un istituto comprensivo raggruppato tra diversi centri. I bambini domani si alzeranno continuando ad andare a scuola con altri di età diversa, nella pluriclasse, come avveniva una volta per i loro nonni.
«Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi», scriveva Giuseppe Tomasi Di Lampedusa. Allora seguendo questo pensiero, torniamo alla pluriclasse delle piccole zone rurali di decenni fa, dove si imparava a trozzi e bocconi, torniamo a quella genuinità tipica delle classi dal maestro unico, ai tempi della campagna, alle ortiche l'apprendimento, i metodi didattici moderni. Sempre divisi, ognuno nel proprio orticello, pur di non perdere quel piccolo protagonismo locale, che realtà minuscole come i paesi dell'Appennino garantiscono.

Sibilla Onorati

Foto: Meteo Web