Il 24 agosto del 2016 la terra ha tremato. Ha tremato forte,
anzi, ha iniziato a tremare forte e, da allora, praticamente non ha smesso più.
In due anni il terremoto del centro Italia ha fatto danni incalcolabili: ha
distrutto case e paesi ma ha soprattutto distrutto comunità, il tessuto
sociale, un’intera regione geografica nella sua economia e nella sua società.
Ma accusare il terremoto è un modo semplicistico di definire quanto accaduto, perché
il terremoto accade, è imponderabile, ma i danni li fa l’uomo, prima costruendo
male, e poi amministrando le conseguenze in maniera ignobile come in questo
caso.
Sono discorsi che abbiamo fatto mille volte e possiamo continuare
a fare all’infinito: desertificazione programmata, incapacità, burocrazia malata,
interessi politici sono alcune delle cause della stagnazione in cui galleggia
la ricostruzione che esiste solo a parole. Ma il terremoto, e tutto quello che
ne è seguito, ha evidenziato anche altri aspetti inquietanti, non soltanto
politici, del perché una società come quella delle comunità del centro Italia
si disgrega dietro a una catastrofe. L’estremizzazione delle necessità e delle
priorità che deriva dall’emergenza porta tutto all’esasperazione. Così come si
alza il livello della solidarietà e dell’attaccamento alla propria terra e alle
proprie radici (ne abbiamo visto esempi magnifici), anche cattiveria e
meschinità arrivano a livelli impensabili.
Così oggi, a due anni dal cataclisma, possiamo vedere che,
di tante iniziative, di tanta passione spesa per risolvere, per dare una mano,
per contribuire alla rinascita è rimasto poco. Le spinte si sono sopite, si
sono disgregate cozzando contro il muro dell’immobilismo, della grettezza delle
persone, delle divisioni meschine di paese, ma anche contro l’opportunismo, l’ipocrisia,
la falsità di quanti, col terremoto, si sono dati e hanno avuto un’opportunità,
poco importa se sulla pelle dei terremotati.
Cosa è rimasto è evidente: ci sono gli opportunisti, quelli
che si sono dati un lavoro, un ritorno economico, una possibilità di fare
affari, e quelli che si sono creati un’immagine, un personaggio, un modo di
sentirsi e forse essere qualcuno. Ci sono professionisti che, col terremoto,
hanno trovato la manna da cielo e lavorano come matti, e ci sono finti solidali
che oggi scrivono libri e fanno mostre sfruttando un’immagine che, prima, si
potevano sognare. Il tutto calandosi nel ruolo di sacerdoti della solidarietà, autonominandosi
rappresentanti di questa o quella comunità.
Gli altri, quelli che la solidarietà la fanno sul serio,
sono ammutoliti, forse dalla cattiveria che sta prendendo sempre più spazio, forse
dalla presa di coscienza che ogni sforzo sembra vanificarsi. Intanto il
silenzio scende sulle macerie pluriennali e l’unica voce che si sente è quella
mielosa e pietistica dei sacerdoti opportunisti, mentre chi denuncia, chi grida
contro lo scempio che si è compiuto e si continua a compiere, sembra sempre di
più un matto nel deserto.
Luca Craia