Arrivano le elezioni e tutti scoprono
un’improvvisa quanto incontenibile passione civile che li spinge a battersi a
petto nudo per il bene comune. Capita ogni cinque anni o anche prima, quando a
qualche sindaco, per esempio, salta lo sghiribizzo di mandare per aria baracca
e burattini e mandarci a votare anzitempo.
Così vediamo gente che fino a ieri
vendeva polizze di assicurazione, o progettava giardinetti, o faceva le scarpe
per qualcuno e non a qualcuno, diventare strateghi politici di finissimo
livello, e personaggi di cui ignoravamo l’esistenza che si propongono come
salvatori della patria. Vediamo sorgere movimenti e partiti, cresce il senso
civico, cresce la voglia di fare, si affacciano nei paesini i segretari
provinciali, regionali, qualche volta pure quelli nazionali per darci le soluzioni
ai nostri problemi, per indicarci la strada. Tutti si interessano a noi
cittadini, tutti ci vogliono dire come salvarci.
E ogni volta mi pongo la stessa domanda: ma
tutta questa gente, nel quinquennio precedente (o nei mesi precedenti alle elezioni
anticipate) come faceva a contenere tutto quest’impeto di immolarsi per il
prossimo? Come faceva a tenere a freno questa irresistibile spinta a occuparsi
della comunità, dove teneva nascoste tutte queste proposte intelligenti, tutte
queste soluzioni? Eppure per darsi da fare per il proprio paese di modi ce ne
sono tanti, e ci sono sempre, anche se non si vota.
E allora propongo di votare ogni sei
mesi. Sarebbe un bel modo per far crescere il senso civico, perché la gente,
invece di parcheggiare sui marciapiedi, cominci a parlare di educazione, o
invece di raccontare barzellette si adoperi per il prossimo, o invece di
marciare a passo dell’oca occuparsi della propria comunità. Bisogna votare
continuamente, così tutto quest’impeto avrà un senso, una ragione, una
spiegazione. Perché io proprio non me lo spiego, quest’impeto.
Luca Craia