giovedì 6 agosto 2020

Il ragazzo di Beirut


Ho ripensato a Paul in questi giorni. Paul era un ragazzo della mia età che conobbi nel 1981 a Ciampino, durante il congresso internazionale dei Focolarini (ebbene sì, sono stato focolarino, per dirla tutta ero parte del gruppo fondatore a Montegranaro). Paul veniva dal Libano, da Beirut, e in quei pochi giorni legammo molto.
Mi raccontò di quanto fosse complicato vivere, o cercare di vivere, anzi, di sopravvivere, in un mondo in cui una bomba avrebbe potuto decidere la tua fine in ogni istante, in cui volavano missili, in cui si facevano attentati, in cui si sparava senza farsi troppi problemi, in cui la vita umana valeva quasi zero. Eravamo bambini entrambi, ma lui era molto più adulto di me, evidentemente la guerra ti fa crescere in fretta, ma aveva anche una grande necessità di essere fanciullo, di avere le cose da fanciullo, i momenti da fanciullo.
Il congresso durò qualche giorno, poi io tornai nelle mie Marche, a pochi chilometri da Ciampino, e Paul alla sua Beirut. Ci scrivemmo per qualche mese, poi non mi arrivò più nulla. Mi piace pensare che Paul avesse incontrato una ragazza e che avesse smesso di scrivermi perché aveva altre cose a cui pensare. Sarebbe bello. Ancora ci credo.
Ma l’altro giorno, quando ho visto l’esplosione, mi è tornato in mente prepotentemente quel ragazzo dalla pelle olivastra e i capelli neri ricci ricci, e il suo strano modo di essere bambino. E ho pensato a quanti bambini vivono la loro fanciullezza in modi strani, con le bombe che scoppiano, i missili che fischiano, i proiettili che pungono e le città che improvvisamente si polverizzano.
Sono passati tanti anni da quando conobbi Paul, ma non è cambiato niente, anzi, è peggiorato tutto. Anche la nostra mentalità, anche la nostra sensibilità, anche la nostra umanità, anche la nostra ipocrisia. Spero che i tanti Paul che vivono la loro strana fanciullezza, a un certo punto, si trovino una ragazza e pensino ad altro piuttosto che a raccontare i propri problemi a un amico lontano. Spero che le strane fanciullezze finiscano tutte bene. A cinquantadue anni ancora ho i miei sogni da bambino.

Luca Craia


Desecretati gli atti sul COVID. Vince la trasparenza, ma perché il segreto? Serviva a prendere tempo?


L’ha spuntata la Fondazione Einaudi, che aveva fatto scoppiare la bomba degli atti sul COVID secretati, e l’ha spuntata l’Italia che ha evitato l’ennesimo segreto di Stato. La vicenda ha comunque aspetti inquietanti: prima di tutto va stigmatizzato il fatto che, non avesse fatto richiesta di accesso agli atti la suddetta Fondazione, tutto sarebbe passato in sordina, l’opposizione pare non si fosse accorta di nulla. È grave, perché un’opposizione che, oltretutto, è stata esautorata dai suoi compiti parlamentari con lo stato di emergenza, nemmeno vigila sui verbali del Comitato Tecnico Scientifico non fa stare per niente tranquilli.
È inquietante soprattutto l’uso del secreto: a che pro? A cosa serve nascondere i verbali? Cosa c’è che gli Italiani non dovrebbero sapere, per non mettere a repentaglio la sicurezza nazionale? Ma sono inquietanti anche i tempi: a che è servito opporsi alla decisione del TAR che aveva ordinato la desecretazione, se poi, apparentemente di propria sponte, gli stessi atti vengono consegnati al richiedente? Potrebbe venire il sospetto che servisse prendere tempo. Per fare cosa? Siamo in Italia, il Paese dei segreti, delle carte che spariscono, delle pagine tagliate con la lametta. Qualche idea ce la possiamo fare.

Luca Craia

Piccola riflessione sulla riduzione dei parlamentari.


A settembre, quasi certamente il Popolo Italiano o, quanto meno, quella piccola parte che si recherà alle urne, deciderà di ridurre consistentemente il numero dei parlamentari. Questo avverrà in virtù del fatto che, per i referendum costituzionali, non è previsto quorum, per cui anche se voteranno in tre, la maggioranza dei tre vincerà. E c’è da scommettere che la maggioranza voterà per la riduzione dei nostri rappresentanti. È una questione di propaganda, un po’ anche di astio, di desiderio di vendetta. Siamo tutti un po’ arrabbiati con la nostra classe politica e desideriamo in qualche modo fargli pagare il malgoverno che ci ha ridotti come siamo ridotti. La convinzione è che, riducendo il numero dei parlamentari, daremmo loro una bella lezione. Non è così.
Riducendo il numero dei parlamentari ridurremo la nostra rappresentanza democratica. Lo so che pare una stupidaggine parlare di rappresentanza democratica in Italia, però i Padri Costituenti a quella pensavano quando hanno stabilito il numero dei parlamentari che ci dovevano rappresentare, numero che, addirittura, in origine doveva adattarsi alla crescita della popolazione e che, quindi, oggi avrebbe dovuto essere maggiore di quello attuale.
 Il discorso della riduzione dei costi non tiene: la riduzione è ridicola, e non giustifica il danno che si fa alla democrazia. Se si fosse voluto ridurre i costi, sarebbe bastato dimezzare gli appannaggi, tra indennità e vitalizi. Si è preferito ridurre il numero dei parlamentari. Domandiamoci perché.
Riducendo il numero dei parlamentari, i partiti possono controllarli meglio. Già la rappresentatività democratica è seriamente compromessa dai listini bloccati, prerogativa della parte proporzionale del sistema elettorale. Cosa sono? Sono le liste sulle quale noi basiamo le nostre preferenze, liste decise dai partiti che decidono anche l’ordine dei candidati in lista. In base a questo ordine si viene eletti, condannando chi sta in coda a non esserlo, salvo exploit stupefacenti.
In questo modo non siamo noi a decidere chi viene eletto bensì gli stessi partiti. Idem dicasi per la parte maggioritaria, dove i collegi sono uninominali. Se riduciamo il numero dei parlamentari, riduciamo anche la nostra possibilità residua di scegliere, visto che ci troveremo a votare candidati che, come collegio, non rappresentano nemmeno il nostro territorio essendo i collegi giocoforza allargati per sopperire alla diminuzione del numero.
 Non so se sono stato sufficientemente chiaro, in ogni caso sarebbe bene informarsi, girando un po’ sul web, per capire i pro e i contro del referendum a cui siamo chiamati a votare. Io sono convinto che, passasse il sì come probabilmente accadrà, sarebbe un durissimo colpo per la nostra democrazia, un colpo che ci verrà ripagato coi quattro spiccioli che si risparmieranno, considerando, lo ripeto, che si sarebbe risparmiato di più riducendo i compensi. Ma quelli non si toccano.

Luca Craia