mercoledì 9 settembre 2015

Disinformazione e non notizie: la politica dell’apparire



L’amministrazione comunale più social della storia montegranarese abbandona il social. È una notizia, perché, sul social, l’amministrazione guidata dal Sindaco Ediana Mancini aveva fondato tutta la sua politica di comunicazione, dichiarando fin dall’inizio intenti di grande apertura ai cittadini utilizzatori della rete. Poi, però, si sono accorti che gestire i social è complicato, che bisogna esporsi alle critiche, che bisogna essere pronti al confronto.
Essendo estremamente carente in tutto lo schieramento quella capacità empatica di mettersi davvero in rapporto con la cittadinanza, mancando in qualche caso anche la cultura stessa della democrazia e del confronto, piano piano si è abbandonato il progetto di usare Facebook e internet per comunicare tornando a sistemi più tradizionali (e costosi per la collettività: si ricordi che i giornalini informativo-propagandistici non sono gratis e si pagano persino le conferenze stampa).
Chiusa la pagina di segnalazioni dirette per sovraccarico (qualcosa vorrà dire), morta la pagina Facebook, mai attivato uno “speakers corner” come esiste in tanti altri comuni, zittiti finalmente (speriamo in via definitiva) gli strali e le invettive, conditi di insulti vari, da parte di cariche istituzionali che, sulla loro pagina personale di Facebook, hanno dato splendida prova di sé e del loro concetto di democrazia, ora si va sul giornale nel più tradizionale dei modi e ci si va, più che altro, per starci e non per dire qualcosa.
Il più attivo, in questo campo, è quello che si è dimostrato il meno attivo sui social: Giacomo Beverati, assessore al centro storico, al turismo, alle attività produttive e al commercio. Beverati ama molto, evidentemente, vedere il proprio nome scritto sulla carta stampata, e cerca di vedercelo quanto più spesso possibile insieme a un’unica foto invero un po’ datata. E per finirci da notizie non notizie e, in qualche modo, disinforma. Ci fa credere che il problema del centro storico è risolto con l’assegnazione (ancora non definitiva) di una delle tantissime case cadenti, come se le altre fossero sparite come per magia. Ci fa credere che i piccioni siano solo cinquecento. Ci fa credere che Montegranaro sia stata invasa da mandrie di turisti. Ci fa credere che esiste un progetto per il recupero del centro storico mentre, è evidente, non c’è neanche la conoscenza del problema. Ci fa credere che ci sia un piano per la promozione turistica mentre in realtà non esiste nemmeno una programmazione del commercio nei mesi estivi per garantire almeno un minimo servizio allo sventurato turista che davvero venga a visitarci. In tutto questo esce a ripetizione sul giornale, dicendo sempre la stessa cosa, nella convinzione evidente che repetita iuvant.
Al di là del fatto in sé ridicolo e risibile, rimane la triste considerazione sulla qualità della politica e dell’idea, del progetto, del programma che un amministratore si dà, progetto che si riduce a qualche comparsa sul giornale, al concetto di “l’importante è che parlino di me” di demitiana memoria. E per far questo si fanno iniziative inutili e costose, come la programmazione turistica estiva che non ha dato alcun frutto ma che è costata cara alla collettività. L’idea delle case a 1 € è buona (anche se non nuova: addirittura la ditta acquirente è la stessa che fece analoga operazione durante la passata amministrazione), ma non ci si può vantare per averne assegnata una mentre il resto del centro storico cade a pezzi. Insomma, Beverati è sostanzialmente immobile ma si muove bene quando deve promuovere la propria immagine. E questo è, in qualche modo, l’emblema del modo di fare politica dei nostri amministratori che, poi, rispecchia quello di chi governa l’Italia.

Luca Craia


martedì 8 settembre 2015

Teo l'Americano



Facevo collezione di francobolli. Mia mamma era ragioniera in un calzaturificio e mi metteva da parte le buste della corrispondenza che riceveva. Così iniziai a mettere da parte i francobolli del periodo. Evidentemente era un passatempo di moda all’epoca per cui era facile trovare altri ragazzi collezionisti disposti allo scambio dei doppioni. Così la collezione cresceva. Tramite conoscenze ero entrato in contatto epistolare con un signore italiano, Renato, che aveva fatto la campagna di Russia e si era sposato in Bulgaria non tornando più in Italia.  Renato mi mandava di sua sponte e con piacere francobolli dell’Unione Sovietica, per la qual cosa rischiava anche parecchio essendo vietato oltre cortina quel tipo di attività. Grazie a lui ora mi ritrovo un bell’album pieno di splendidi francobolli dell’URSS che hanno anche un discreto valore.
A Montegranaro se parlavi di filatelia non potevi prescindere da Teo l’americano, il marito di Emilia Senzacqua. Francamente non ricordo come finii a casa di Teo, fatto sta che ci finii. E quella fu una delle esperienze fondamentali della mia vita. Matteo, Teo per gli amici, era un omone col pizzo canuto, polacco trapiantato negli USA, che s’era trovato appunto in America giusto giusto per fare la Seconda Guerra Mondiale. Era imbarcato nel Pacifico come cuoco quando il suo incrociatore era stato centrato e affondato da un siluro giapponese. Il suo racconto proponeva il siluro che attraversava tutta la cucina della nave portando con se la sua tibia e il suo perone, lasciandolo con un brandello di carne al posto della parte inferiore della gamba destra.  La chirurgia americana dell’epoca era evidentemente molto più avanti di quella italiana anche contemporanea in quanto gli ricostruirono la gamba intorno ad un tubo di metallo. Certo non correva i cento metri ma claudicante camminava per casa.
Era un uomo burbero come pochi, gigantesco, con quell’accento misto tra anglosassone e  slavo e la voce cavernosa. Diciamo che la prima impressione fu terrificante. Poi lo conobbi e lo amai, molto, come si può amare un nonno. Teo cucinava da dio, cose strane che io non avevo mai neanche sentito nominare. A quell’epoca, parlo della fine degli anni ’70, sfido chiunque ad aver saputo cos’era il ketchup. A casa sua mangiai bacon and eggs e mamma rabbrividì solo a sentire che cos’era, bistecche alla Bismarck, innumerevoli insalate con salse che andavano dalla maionese al tabasco. Diciamo che, se oggi amo tanto stare ai fornelli, lo devo probabilmente a lui.
Collezionava francobolli e monete. Aveva una stanza, di fronte alla cucina, tappezzata di scaffali dove teneva le bustine dei francobolli. Infatti non usava gli album ma li teneva sciolti in piccole buste di carta oleata. E me ne ha regalati parecchi, che aveva doppi, ma per me erano davvero un tesoro: francobolli del Regno d’Italia, della Germania pre-nazista con sovrastampato il valore centuplicato durante la depressione, dei vari paesi europei prima della guerra, degli USA e dell’America latina. Un tesoretto, se non da un punto di vista economico, sicuramente da quello storico. Per non parlare di quello affettivo.
Con Teo iniziai ad interessarmi di calcio. Fino allora non me ne fregava niente e quando i miei amici o i compagni di scuola si accapigliavano per il pallone la cosa mi lasciava del tutto indifferente. Ma era il 1978 e c’erano i mondiali in Argentina. Premesso che, quando andavo da lui ci rimanevo tutta la mattinata o tutto il pomeriggio, durante i mondiali, se giocava la Polonia (e quell’anno giocava, hai voglia se giocava) tutti zitti davanti alla TV. All’inizio mi annoiavo e non capivo il gioco, così lui pazientemente mi spiegava le azioni e le regole, tanto che mi appassionai. Ci siamo visti insieme tutti le partite dei mondiali della Polonia e dell’Italia, lui seduto sulla sua poltrona di fronte alla finestra che dava sulla piazzetta dell’erbe ed io appoggiato sul tavolo dal piano di vetro che racchiudeva banconote di tutto il mondo.
Teo morì negli anni ottanta. La sua casa negli anni 2000. Ora c’è una piazzetta al suo posto. Carina. Ma manca un pezzo della storia di Montegranaro e anche un pezzo della mia storia personale. Lì nessuno appenderà a dicembre la grande slitta di Babbo Natale con tanto di renne tutta luminosa e tanto americana.

E del palabotanico che ne facciamo?

Ogni tanto leggo un’uscita di qualche assessore che, nell’ottica consolidata di questa maggioranza di andare sul giornale almeno una volta la settimana, anche per non dire nulla - basta farsi vedere, torna sulla questione Calepio. La faccenda è seria e ha sicuramente influenzato in negativo la vita politica e amministrativa montegranarese degli ultimi 10/15 anni, quindi è giusto parlarne e seguirne con attenzione gli sviluppi. Nessuno, però, ci dice cosa si ha intenzione di fare con l’eredità più evidente dell’errore “Calepio”, dell’immagine più brutta che ne è rimasta, della fregatura più cocente che questa avventata avventura del Sindaco Basso ha regalato ai montegranaresi: il palasport.
Sarebbe meglio parlare dello scheletro del palasport, perché, in realtà, si tratta di uno scatolone di cemento armato, senza coperchio, pieno di una sorta di foresta tropicale impenetrabile, colonne scoperte, ferri arrugginiti e chissà cos’altro (forse il coccodrillo di Civitanova). L’immagine è di una bruttezza micidiale, con l’aggravante di essere posizionata proprio all’ingresso sud del paese e, quindi, col ruolo di dare il benvenuto a chi si reca in visita al nostro ridente borgo. Un gran bel biglietto da visita. Non trascuriamo, però, l’impatto ecologico che è talmente evidente da non meritare ulteriori parole.
Esiste un progetto su come destinare quest’orrore? Si ha un’idea di che farci? In campagna elettorale ne abbiamo sentite di cotte e di crude: piscine, strutture polifunzionali. Libero sfogo alla fantasia. Ora, però, che la campagna elettorale è un ricordo e la prossima sembra lunga a venire nonostante i traballamenti della giunta Mancini, è calato un silenzio non assordante ma davvero silenzioso: non se ne parla, nemmeno lo si vede. Alla sua ombra si è appena conclusa la Festa dell’Unità, incontro mangereccio ma anche politico gestito dal partito maggioritario della maggioranza di governo. Non una parola su quell’orrore, nonostante che i vari relatori bastava che alzassero lo sguardo per trovarselo davanti. E la gente stessa: nessuno che alzi la mano e chieda: ammò? Che ci facciamo con questa robaccia?
Io dubito, da profano ma anche sentito qualche amico tecnico, che la struttura possa essere recuperata, almeno in maniera economicamente proficua. Quanto costerebbe bonificare l’area? Se lo saranno chiesti, in piazza Mazzini? Si saranno posti la mia stessa domanda? E l’opposizione? Come mai tace? Forse perché in qualche modo ognuno ha le sue colpe? E quel Gianni Basso che ne è l’artefice e che ora appoggia sorridente la maggioranza di governo, che ne pensa? Qualcuno glie lo chiede mai? Non è che stiamo aspettando la prossima campagna elettorale e lo lasciamo lì, che può tornare utile come scena per fantasticherie varie? Magari per proporlo sui prossimi volantini patinati come hangar per UFO?

Luca Craia

sabato 5 settembre 2015

Il settembre di Sel



Le ferie agostane hanno fermato i giochi creando una specie di pausa catartica alla vita politica montegranarese ma, fino alla vigilia delle vacanze, la situazione si era ingarbugliata non poco. Ricorderete la ferma e decisa presa di posizione di Eros Marilungo che contestava il bilancio astenendosi dal voto e denunciava con forza (su queste pagine) il modus operandi della maggioranza che, a suo dire ma anche con una certa evidenza, pare sia poco collegiale per non dire consolare. I riscontri che abbiamo, suffragati dalle stesse dichiarazioni dei consiglieri di Sel e non solo (anche il Presidente del Consiglio Antonelli lo ha più volte affermato), ci parlano di decisioni assunte nelle stanze del Sindaco da pochi eletti, sostanzialmente il triumvirato composto dal Sindaco stesso, dal vice e dal Presidente della Provincia nonché assessore ai lavori pubblici.
Sel ha contestato diverse scelte finora effettuate dalla maggioranza di cui fa (ancora) parte ma, soprattutto, negli ultimi periodi ha sottolineato la distanza concettuale tra la visione politica di un partito di sinistra, che dovrebbe essere attento alle tematiche sociali, e la linea seguita dalla giunta Mancini che tutto pare essere meno che di sinistra, anche per lo strapotere della componente di destra che, anche se numericamente minoritaria, ha una forte influenza sulle decisioni.
La scarsa attenzione al sociale, l’aumento della tassazione che va a gravare specialmente sulle classi medio-basse, la poca democraticità, certamente poco si sposano con l’idea attribuibile a Sel. Se a questo aggiungiamo la reazione davvero incattivita del vicesindaco e dei suoi fedelissimi alle ultime vicende che hanno interessato il gruppo composto da Marilungo e Di Chiara (insulti personali), c’è da immaginare un settembre piuttosto caldo.
Si è parlato insistentemente della costituzione di un gruppo autonomo. Non c’è mai stata una conferma ma neanche una smentita da parte di Sel. Sembra piuttosto plausibile che questo accada, anche se non dovrebbe impensierire più di tanto la giunta Mancini, specie ora che Gianni Basso è diventato un appoggio esterno piuttosto affidabile. A meno che non si verifichi qualche altra defezione, cosa non del tutto improbable, che qualche problemino potrebbe anche crearlo. Certo è che, da un punto di vista politico, le aspettative di questa amministrazione erano ben altre, con la maggioranza ampia che aveva. Oggi, invece, deve fare comunque i conti con i numeri.

Luca Craia