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venerdì 25 novembre 2016

Criminalità, piccoli gesti irritanti, auto-alienazione e integrazione



Questo è quello che accadeva la scorsa estate in una via di Montegranaro dove risiedono diversi stranieri: la via diventava il cortile privato di questa piccola comunità. Non si poteva passare con la macchina pena insulti e vessazioni.

Uno straniero, in terra straniera, è straniero. Lo è oggettivamente, senza tirare in ballo la solita retorica dell’accettazione dell’altro, della xenofobia e della gara a chi è più cattivo. Uno straniero in terra straniera è straniero e, per quanto la terra in cui è giunto possa essere aperta all’accoglimento dello straniero, se questi non fa uno sforzo per adeguarsi e rendersi ben accetto, non verrà accettato completamente. Non esiste integrazione se chi deve integrarsi non vuole farlo, non è interessato a farlo, non si sforza di farlo e compie gesti che vanno in tutt’altra direzione, irrita il Paese ospite e i suoi cittadini, crea disagio e preoccupazione.
Per vivere in Italia, nella fattispecie a Montegranaro, e cercare di diventare parte del tessuto sociale italiano non ci si può permettere di entrare in un palazzo e staccare la corrente, così, tanto per fare un dispetto. Non ci si può permettere di aggirarsi furtivamente tra le auto mettendone in allarme i proprietari, non ci si può permettere di coltivare marijuana in casa, non ci si può permettere di sporcare, degradare, rendere invivibile un intero quartiere, non ci si può permettere di commettere atti di bullismo, di rendere zone del paese off-limits perché pericolose, perché si rischia l’aggressione.
A compiere questi atti, a tenere certi comportamenti, sono in genere piccole minoranze di stranieri che, però, col loro comportamento creano un enorme danno a tutta la comunità straniera. Questo avviene perché la gente, intesa come massa, non ha la capacità di distinguere e generalizza, e questo, purtroppo, per quanto ci paia negativo, è normale. Non parliamo propriamente di xenofobia ma di un meccanismo di autodifesa che la società applica in una sorta di automatismo. Quando avvengono questi atti, la società si sente minacciata e reagisce emarginando il potenziale pericolo. E a essere emarginati sono anche quelli che si comportano bene, pagando il fio per il comportamento di altri, stranieri come loro.
Ecco perché i primi a vigilare su queste cose e a essere inflessibili devono essere gli stessi membri delle comunità straniere, magrebine, cinesi, dell’est-Europa. Devono essere loro i primi a riconoscere il problema e a cercarne le soluzioni e non nascondere, coprire, giustificare. Solo emarginando chi assume comportamenti contrari all’integrazione questa potrà avvenire. Perché chi non vuole integrarsi, chi non rispetta le regole e il Paese in cui è venuto a cercare di costruire una vita, non merita e non può restare. E questo devono essere gli stranieri stessi a stabilirlo come principio fondamentale della convivenza.

Luca Craia