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venerdì 2 settembre 2016

La CODACONS fa propaganda per la grande distribuzione. E ammazza il piccolo commercio e la concorrenza leale.



Quando un’organizzazione di categoria diffonde notizie distorte o false, cosa fa? Come si qualifica? C’è superficialità o malafede? Nel caso della CODACONS non saprei, certo è che l’organizzazione che dovrebbe tutelare gli interessi dei consumatori e che molto spesso si dedica ad altro, Festiva di Sanremo e altre problematiche chiave per gli Italiani, con un articolo pubblicato sul proprio sito (leggi articolo leggi articolo) ) si dimostra inutile per il consumatore e dannosa per la categoria del piccolo commercio.
In questo articolo la CODACONS  consiglia i consumatori di acquistare i prodotti per la scuola nei supermercati e negli ipermercati perché “nei supermercati si può arrivare a risparmiare fino al 30% rispetto alla cartolibreria”. Assolutamente falso. In generale gli articoli delle piccole cartolerie costano meno rispetto al supermercato, in qualche caso molto meno. È vero, ci sono i prodotti “civetta” che hanno prezzi bassissimi, ma sfido chiunque a trovarli facilmente: la grande distribuzione ne mette sullo scaffale un numero esiguo per attirare i clienti e i prodotti finiscono subito. Il cliente, però, attirato dal volantino, continua a fare spesa spendendo di più rispetto alla cartoleria.
Questo CODACONS dovrebbe saperlo, visto che sembra molto ferrata in materia. Per cui, scrivendo cose false dimostra, quantomeno, di non saper fare il proprio lavoro. Ma questa approssimazione va a danneggiare un comparto che già sta fortemente soffrendo la concorrenza della grande distribuzione che attrare la clientela non col vantaggio di prezzo o di qualità del prodotto ma con sistemi di marketing che il piccolo negozio non si può permettere. Il vantaggio per il consumatore non c’è, anzi, c’è uno svantaggio. E nel contempo di crea un danno al commercio tradizionale, A che pro, sarebbe interessante capirlo.

Luca Craia

sabato 26 dicembre 2015

Il Cinese può. Il centro commerciale aperto anche a Natale.



Superati i limiti della decenza in maniera abbondante a Civitanova Marche, e per farlo ci volevano i Cinesi. Il nuovo centro commerciale tutto made in China, nato sui ruderi del Civita Center abbandonato per il nuovo commercial-monster del Cuore Adriatico, è stato aperto per tutte le feste di Natale, compreso il 25. Tutto legale, certamente, e tutto regolare anche per i sindacati per i quali i diritti dei dipendenti dei Cinesi valgono molto meno di un incontro per far finta di fare incontrare culture diverse o di fare valere i diritti di qualche nullafacente tesserato.
È sconcertante soprattutto leggere i commenti della gente, scorrendo sui social network, alla notizia. La considerazione più comune è più o meno questa: almeno loro hanno lavoro. Ecco, questo è il punto. Oggi, pur di lavorare, siamo disposti anche a renderci schiavi e a giustificare che sfrutta queste nuove forme di schiavitù, benedette dallo Stato e dai sindacati di cui sopra. E così se ne vadano le nostre tradizioni, se ne vada la dignità dei lavoratori. Ma se ne vada anche il centro di Civitanova sempre più desertificato, se ne vadano in malora i piccoli commercianti che non potranno mai competere tenendo aperte tutti i giorni le loro attività. È tutto legale, signori, fatevene una ragione.

Luca Craia


sabato 31 ottobre 2015

Boicottiamo i centri commerciali



Prendo spunto dal quello che ha scritto una mia amica sulla sua bacheca di Facebook. Ilenia dice: “per un breve periodo ho avuto un negozio in Corso Vittorio Emanuele. Dalla chiusura, 3 anni fa, non sono ripassata spesso in quella via. L'altro ieri ho fatto un giro a piedi e sono rimasta sconvolta. Nessuna delle attività che conoscevo, tolte pochissime e storiche, sono ancora aperte. Ed oggi vengo pure a sapere che sta chiudendo La Bottega Dello Scolare, pochi metri più in là. Nessuno protegge i negozianti, però in quattro e quattro otto hanno tirato su un centro commerciale grosso quanto un quartiere, condannando a morte le attività del vecchio Civita center altrettanto velocemente. È così ora abbiamo centinaia di commessi sfruttati e mal pagati che tengono aperti i negozi 7 giorni su 7, una enorme struttura in mano ai cinesi ed un centro città in cui si respira aria di morte. Complimenti a chiunque abbia permesso questo scempio”.
Credo che dovremmo riflettere su queste parole perché sono la cruda realtà di molti, forse tutti, i centri abitati della nostra regione. Il proliferare dei centri commerciali sta uccidendo il commercio dei piccoli dettaglianti. Non è una questione di prezzi, perché non è vero che al centro commerciali si risparmia, anzi. È, invece, una questione culturale, ma di una cultura che ci viene indotta politicamente, con scelte ben precise che portano a prediligere l’investimento in questi enormi scatoloni di cemento facendo morire i centri delle città. Fermo sta morendo, Macerata non sta meglio, Civitanova, città più vivace della zona, vive un’agonia che la porterà alla fine. Il tutto perché si vuole portare la gente a vivere il proprio tempo libero inscatolata nel centri commerciali.
Tutti inquadrati, tutti pilotati abilmente con scelte di marketing e psicologia dell’acquisto che hanno basi scientifiche ben precise: la musica di sottofondo, i colori, la disposizione dei negozi, tutto è studiato per indurre il cliente all’acquisto emozionale. Intanto le città diventano città fantasma, i commercianti chiudono le loro attività e la vita all’interno dei centri abitati si spegne.
Ilenia parla anche dei commessi, categoria di lavorati tra i più sfruttati, con orari impossibili, fine settimana lavorativi, stipendi scandalosi. Si sta creando una nuova schiavitù, col placet delle amministrazioni locali e dello Stato centrale che non si pone nemmeno il problema.
È ovvio che serve una legislazione che impedisca il proliferare di questi mostri commerciali. In assenza di questa, le amministrazioni locali sono portate ad autorizzarne l’apertura per l’introito economico, tralasciando l’impatto sociale che questo comporta. È il caso di Civitanova ma anche di Fermo e Macerata. E tutto questo, le scelte di queste scellerate amministrazioni comunali, coinvolge poi e loro malgrado le cittadine e i paesini dell’hinterland dove il commercio tradizionale non vive meglio che in città. Ma la politica non se ne occupa.
Credo che i cittadini di buon senso e buona volontà debbano ribellarsi. Il centro commerciale è comodo, lo so, ma si può vivere anche senza, ed è molto più piacevole fare acquisti in un negozio tradizionale. Ed è anche più conveniente. Allora ribelliamoci. Boicottiamo i centro commerciali. Cerchiamo di non andarci più o, almeno, il minimo indispensabile. Rivolgiamoci al negoziante di città, quello che ha la vetrina sulla strada e non lungo il corridoio di un posto irreale e surreale. Facciamo la spesa nei supermercati tradizionali, quelli del nostro paese. Prediligiamo il rapporto col negoziante piuttosto che la corsa col carrello tra scaffali ammiccanti e studiati per farci comprare cose che non ci servono. Boicottiamo il centro commerciale. Da ora.

Luca Craia