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domenica 13 dicembre 2015

I paladini del bello bucano mattoni millenari.



Sapevo che l’Archeoclub aveva intenzione di mettere una targa sua in Sant’Ugo, nonostante ce ne fosse già una a ricordare l’installazione dell’impianto di illuminazione che è sì stato realizzato da Arkeo e Lions, ma quando Arkeo ancora si chiamava Archeo Club Montegranaro. È una vita o quasi che l’Archeoclub cerca di appropriarsi della cosa e oramai ci abbiamo fatto l’abitudine, come a una mosca fastidiosa o a un rumore insistente al quale, col tempo, fai l’orecchio. Del resto chi ha fatto cosa è nella storia, lo sa l’ingegner Leonardi che ha progettato l’impianto, lo sa la ditta che l’ha installato, lo sa la gente che è venuta all’inaugurazione e lo sanno anche i soci dell’Archeoclub che se ne vogliono prendere i meriti. Contenti loro…

Oggi, entrando in Sant’Ugo, ho visto la targa, installata alla chetichella vicino all’ingresso. Ho avuto un sussulto, non tanto per l’inesattezza che, da chi studia archeologia e storia, non ti aspetteresti, nella definizione di Sant’Ugo come cripta, cosa che non è assolutamente. Ci sta, la tradizione la chiama così e anche se, in questo campo, dovremmo essere un tantino più rigorosi, non ce lo possiamo aspettare da chi tutto fa meno che storia e archeologia. E nemmeno per la dicitura Archeoclub d’Italia sede di Montegranaro, falsa in assoluto, perché l’impianto l’ha fatto l’Archeo Club Montegranaro con codice fiscale 90054480448 e non l’Archeoclub d’Italia che non ha tirato fuori un centesimo.
Il sussulto l’ho avuto perché questa associazione, che prima fra tutte dovrebbe avere a cuore e tutelare il patrimonio storico e culturale della nostra terra, nella smania di appendersi medaglie, per applicare la famosa targa, ha forato col trapano dei mattoni antichi di oltre mille anni. Non sanno, evidentemente, i dotti soci dell’Archeoclub, che si potrebbero prendere le misure esatte in modo di far capitare il foro tra le stuccature dei mattoni. Non sanno, evidentemente, che basterebbe una goccia di resina per appendere una targa che pesa pochi grammi, senza necessità di forare alcunché. Troppa la foga, troppa l’ansia, troppa la voglia di apparire in un paese dove apparire conta più dell’essere.
Potremmo fare un esposto alla soprintendenza ma non servirebbe: il danno è fatto. Se qualcuno lo vuole fare faccia pure, a noi non interessa più. Noi toglieremo la nostra targa, posta da tempo e appoggiata senza danno sulla mensola di una finestra senza dover forare nulla, perché queste lotte tra guelfi e ghibellini nel XXI secolo sono ridicole. Lasceremo i bambini giocare col loro giocattolo sperando che si divertano. Prendiamo atto del danno, grave, al quale non possiamo rimediare, e continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto: proteggere, promuovere, valorizzare, studiare il nostro patrimonio. In quanto al proteggere, in questo caso non ci siamo riusciti. Perdonateci.

Luca Craia