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giovedì 19 gennaio 2017

Omicidio Emmanuel Chidi, è finita? Speriamo.



La sentenza di primo grado emessa nei giorni scorsi circa il processo relativo all’omicidio del Nigeriano Emmanuel Chidi per mano del fermano Amedeo Mancini sembra aver messo la parola fine a questa tristissima vicenda per la quale, oltre al morto, la vittima è Fermo e il Fermano. La sentenza scrive una verità che, dato il patteggiamento, viene accettata da ambo le parti e, quindi, va assunta per vera fintanto qualcuno non voglia riscriverla ricorrendo in appello. Ma finchè la sentenza è questa, a questa ci atteniamo.
Credo, da osservatore esterno anche se coinvolto in quanto cittadino del Fermano danneggiato, come tutti gli altri Fermani, dalla brutta immagine del nostro territorio scaturita dalla vicenda, che la sentenza sia giusta e che dovrebbe pacificare gli animi e le tifoserie. E quando parlo di tifoserie non mi riferisco agli ultras più volte citati dai media nel racconto dei fatti; piuttosto mi riferisco agli schieramenti popolari, abilmente manovrati da politici, politicanti, affaristi di vario livello e media servili.
La verità che esce dal Tribunale di Fermo parla di un uomo violento, Mancini che, dopo una vita di violenze più o meno gratuite compiute in nome di qualcosa che assomiglia allo sport e di ideologie bislacche riconducibili a una fantomatica destra che esiste solo nella testa di personaggi come lui, incappa nell’errore fatidico, esagera e uccide un uomo. Omicidio preterintenzionale, con l’aggravante del razzismo, questa è la sentenza, parla chiaro. Ma ci sono le attenuanti, e una, importantissima, è quella legata alla provocazione da parte del Nigeriano, che avrebbe reagito in maniera sproporzionata all’offesa generando la rissa dalla quale è uscito vittima. Uno scontro tra due violenti, quindi, in cui il razzismo ha una sua valenza, certo, ma rimane legata a quel mondo bislacco di cui sopra, in cui dire sporco negro è più o meno come dire schifoso laziale.
Cosa c’entra Fermo? Niente. E non c’entrano i Fermani. E non c’entra un territorio tacciato di razzismo, di xenofobia, passato su televisioni e giornali come culla dell’odio razziale grazie alla manipolazione delle informazioni a uso e consumo di interessi politici, economici e dello stesso processo. Si era parlato di class action, di iniziative popolari a difesa dell’immagine della gente del Fermano. Si è fermato tutto, giustamente. Non serve altro clamore, ora serve silenzio, serve il tempo col quale il Fermano possa rimarginare la ferita. Servirebbero delle scuse da parte dei grandi teatranti attori della vicenda, dei politici venuti a fare passerella al Duomo di Fermo, degli ecclesiastici urlatori che ora, invece, tacciono; dei giornali, dei vari Vespa e cloni di Vespa. Ma alla fine, quello che servirebbe più di tutto, è un sano e rispettoso silenzio. E auguriamoci non vi siano appelli in giudizio.
                                      
Luca Craia