La fase
2 che prenderà il via dal 4 maggio, al momento, appare piuttosto confusa, e
forse lo è anche nella mente di chi la sta progettando. Che si debbano riaprire
le attività credo sia fuori discussioni, a meno che non vogliamo morire tutti
di fame piuttosto che di covid19. Ma le modalità, al momento, non sembrano per
niente esplicite, e c’è da scommettere che non avremo nulla di certo se non
domenica sera, sempre che riescano a capirci qualcosa quelli del Comitato
Tecnico Scientifico che governa l’Italia.
Una cosa,
però, pare prendere corpo con una certa chiarezza, ed è il fatto che, qualora
si aprissero nuovi focolai epidemici, il paese o la città interessati
verrebbero dichiarati zona rossa e sottoposti alle restrizioni che ben
conosciamo. Questo, al di là del rischio per la salute dei cittadini, comporta
anche il ritorno al blocco economico per esercizi, attività e imprese, con
danni rilevantissimi. Significherebbe che, mentre il resto d’Italia riprende gradualmente
la direzione della normalità, quel particolare territorio rimarrebbe fermo al
palo.
Immaginiamo
se questo accadesse nel nostro paese: le fabbriche richiuderebbero, perdendo
commesse, produzione, competitività nei confronti della concorrenza che, nel
frattempo, avrebbe modo di produrre; i negozi resterebbero chiusi, con ingenti
perdite e la forte possibilità di non riprendersi più; l’intero tessuto
socio-economico subirebbe danni irreversibili.
Ecco,
quindi, che scatta la responsabilità di ognuno di noi, che c’è sempre stata ma
che ora ricade direttamente sulle nostre comunità cittadine. Ci saranno regole
da rispettare, regole, si spera, pensate per garantire la sicurezza e la
salute. Non rispettarle significherebbe condannare la propria città, il proprio
paese, a morire economicamente. Questo andrebbe fatto capire agli irriducibili,
a quelli della passeggiata e del faccio come mi pare.
Luca Craia