mercoledì 8 aprile 2020

Monsignor Armando Trasarti scrive alle famiglie che vivono il lutto senza nemmeno la consolazione di una stretta di mano, di uno sguardo finale, del saluto della comunità o della S. Messa.

Ecco la missiva che Monsignor Trasarti ha inviato alle famiglie che, in questo momento doloroso, vivono la perdita di una persona cara e non possono starle vicino nel momento finale.

Carissimi,
ritengo sia proprio questo uno degli aspetti più insopportabili della vicenda del coronavirus perché ci priva di quella vicinanza fraterna fondamentale per affrontare il dolore ed elaborare il lutto.
La vostra sofferenza tocca profondamente il mio cuore di vescovo e quello dei preti e ci mette in silenzio e preghiera. Non abbiamo la pretesa di confortarvi, semplicemente sentiamo il bisogno di farvi un po’ di compagnia spirituale. Sentiamo insieme a voi di essere pellegrini nel tempo: ci scopriamo esiliati in cerca della patria definitiva.
Talvolta ci assale un senso di sgomento, di disagio, perché abbiamo l’impressione di non avere davanti una meta abbastanza chiara per proseguire il viaggio con sicurezza. Abbiamo la sensazione di avere un destino di incompiutezza e che i nostri brevi giorni finiscano senza lasciar traccia.
Nei momenti di tristezza, nella sofferenza, nella morte e nel dolore del lutto, ognuno cerca una parola di consolazione. Sentiamo forte il bisogno di qualcuno che ci stia vicino e provi compassione per noi. Sperimentiamo che cosa significhi essere disorientati, confusi, colpiti nel profondo come mai avevamo pensato. Ci guardiamo incerti. La mente si riempie di domande e le risposte non arrivano. Gli occhi rimangono fissi sul tramonto e stentano a vedere l’alba di un giorno nuovo.
Ma nelle ore tenebrose della vita ci può soccorrere la fede: quello che dobbiamo credere con sicurezza è che Dio non vuole perdere nulla di quanto ha creato. Credere è dare fiducia e affidarci. Anche Gesù sa cosa significhi piangere per la perdita di una persona amata. Anche Gesù ha sperimentato nella sua persona la paura della sofferenza e della morte, la delusione e lo sconforto. Se Dio ha pianto, anch’io posso piangere.
Contempla un Crocifisso che ti è particolarmente caro (forse quello della tua chiesa), osservalo con gli occhi della fede: Gesù solo, abbandonato, sofferente, disprezzato, devastato nell’animo, crocifisso, sanguinante, umiliato nel profondo, ha il coraggio di dire a Dio “PADRE, sia fatta non la mia, ma la tua volontà”. La morte è parte della nostra vita. Ma in pieno buio, Lui è con noi, ci accompagna, asciugherà l nostre lacrime e le raccoglierà con cura nella sua brocca. Non potrà impedire che le versiamo. La preghiera non serve a cambiare la realtà, ma a guardarla con gli occhi di Dio. Ed è questo sguardo nuovo che poi fa miracoli.
Sulla vetrata di un cimitero ho letto:” Tutto quello che è malriuscito, tutti gli ostacoli nel cammino, tutte le cose in cui sono fallito, i cocci della mia vita li porto davanti a Dio avendo fiducia che presso di Lui le pietre diventano pane e le cose incompiute diventano compiute”.
Un grande augurio! Pasqua avviene sempre nel momento e nel posto in cui una persona osa fidarsi più della vita che della morte, superare il limite, uscire dal sepolcro, far rotolare via la pietra. Che il Buon Dio, i miei cari preti e qualche fratello o sorella vi aiuti a rotolare la pietra della morte, per intravvedere la fede nel Risorto. Santa Pasqua!

Fano, Residenza Vescovile
Pasqua 2020
+ Armando Vescovo