mercoledì 5 febbraio 2020

Stereotipato, pieno di luoghi comuni. Il monologo di Rula ha lasciato il tempo che ha trovato.


Non mi unisco alla standing ovation in corso per il monologo sanremese di Rula Jebreal, non perché abbia detto chissà cosa di censurabile, come magari qualcuno si sarebbe aspettato o forse addirittura auspicato, tanto per tener alta la polemica di cui il Festival pare campare. Non mi unisco perché non mi ha dato niente, ha lasciato il tempo che trovava. Insomma, c’erano delle aspettative e non mi pare che siano state soddisfatte. Poi, ognuno si accontenta come può.
Ho sentito un discorso lineare, logico, a tratti toccante ma toccante con una certa banalità. Ecco, alla fine il problema della violenza sulle donne, problema estremamente complesso, sfaccettato, che va analizzato sotto molti aspetti perché va anche compreso, oltre che denunciato, in quanto, se non lo comprendi, non lo risolvi, è stato trattato con banalità.
Si è dipinto il maschio, anzi, i maschi come esseri pericolosi, mentre il problema non sta nel maschio ma in certi maschi, nella loro cultura, nella loro educazione e nella loro alienazione occulta, che si manifesta solo nel contesto del rapporto diretto con la vittima. Si è generalizzato, semplificato, il tutto al fine di far scappare qualche lacrimuccia che, a quanto pare, c’è scappata eccome. Ma tutto questo non ha portato niente, non ha dato alcun contributo se non quello che se ne è parlato.
E, mi direte, non è cosa da poco, almeno parlarne. Vero, ma banalizzarlo non aiuta. Infilarlo tra una gag di Fiorello e una canzone mielosa non aiuta. Farlo diventare spettacolo nello spettacolo non aiuta. E, soprattutto, non aiuta se oggi non cambia niente a livello politico, a livello di interventi, a livello di progettazione. E, infatti, oggi non cambia niente.

Luca Craia