Il C.A.S. costa
allo stato. Costa tutti i mesi, perché deve pagare l’affitto a quei terremotati
che ancora non hanno ricevuto una SAE, una di quelle lussuose villette piene di
confort e calore. Le SAE, invece, ormai sono state pagate, anche se
profumatamente, e non gravano più sui bilanci. Evidentemente per questo motivo,
nell’ultimo decreto per il terremoto, si è pensato di dare priorità, nella
ricostruzione che verrà da qui a cent’anni, a chi riceve il C.A.S., mentre chi
vive nelle casette di marzapane può attendere.
Del resto, che
hanno da lamentarsi? Le casette sono comodissime, addirittura ci crescono i
funghi, senza dover andare per boschi a raccoglierli, c’è l’acqua corrente
lungo i muri, impianti di riscaldamento autocongelanti, pavimenti che si
sollevano da soli, altro che tappeti volanti. Vivere in una SAE è magico. Eppure
i terremotati non sembra l’abbiano presa troppo bene. Solo che hanno altro a
cui pensare, piuttosto che protestare. Hanno da accusarsi a vicenda, da fare i
processi sommari, da pensare alla lista per le prossime elezioni, soprattutto
hanno da cercare di superare il quarto inverno di fila tra le macerie. E questo,
chi pensa certi decreti, lo sa: i terremotati abbaiano ma non mordono.
In ogni caso, il
segnale è evidente, anche se non serviva: allo Stato, dei terremotati, non glie
ne può fregare di meno. L’obiettivo è risparmiare. E si comincia dal CAS. Anche
se, diciamocelo, tutto questo è un finto problema perché, per quando partirà
davvero la ricostruzione, nelle SAE ci saranno gli eredi di chi le occupa ora e
il CAS sarà diventato una delle tante voci di spesa finanziate in automatico, quelle
che ti dimentichi che ci sono.
Luca
Craia