mercoledì 23 ottobre 2019

L’integrazione al senso inverso


Apro il giornale di oggi e inizio a leggere un titolo: “Bambini di origine marocchina a lezione anche di domenica per imparare la lingua”. Oohhh, mi dico, finalmente un’iniziativa in direzione della vera integrazione. Poi mi accorgo che l’entusiasmo non mi ha fatto leggere l’ultima parola, che è “araba”. Trasalisco. Praticamente mandiamo i bambini arabi a scuola di domenica a imparare non la nostra lingua, non la lingua del Paese dove vivono, dove un giorno probabilmente lavoreranno e si creeranno un futuro, non insegniamo loro la sua storia, la sua cultura, le sue tradizioni in modo che si integrino nel miglior modo possibile. Gli insegniamo la lingua araba.
Nell’articolo si spiega che l’iniziativa, voluta dall’Associazione Islamica di Montegranaro, serve a far conoscere ai bambini di origine marocchina la lingua del loro Paese di origine che, vivendo in Italia, non padroneggiano o addirittura ignorano, così come la cultura e le tradizioni dei loro padri. Tutto molto bello, per carità, ma l’iniziativa si svolgerà in un luogo istituzionale, la scuola, che sarà aperta appositamente per questo di domenica. Fosse un’iniziativa interna alla comunità islamica, non ci sarebbe nulla da ridire, anche se diretta a tutt’altra cosa che l’integrazione, ma in questo caso è la nostra, di comunità, a farsi carico della cosa, sono le nostre istituzioni.
E le nostre istituzioni dovrebbero agire esattamente all’opposto, promuovendo e amplificando in questi bambini la conoscenza della nostra cultura, non di quella delle loro origini. In questo modo si acuiscono e accentuano soltanto le differenze e l’integrazione rimane solo una bella parola per realizzare la quale si sta facendo ben poco.

Luca Craia