giovedì 31 gennaio 2019

Immigrati e lavori sociali gratis. Il lavoro si paga, non si fa gratis.


La moda del momento è la notizia dell’immigrato o del gruppo di immigrati che si prestano gratuitamente a svolgere lavori socialmente utili. Se lì per lì la cosa può far piacere e dare l’impressione che si stia andando nella giusta direzione per un’integrazione che sembra sempre più difficile da raggiungere, dall’altro occorre fare un ragionamento. E il ragionamento parte da un principio semplice che dovrebbe essere universalmente riconosciuto: il lavoro va pagato.
Non è giusto che una persona lavori gratis, per nessun motivo. C’è una storia di lotte sindacali, di rivendicazioni, di violenze subite dai lavoratori, di diritti negati per giungere ad avere un giusto salario per l’opera che si presta. L’uomo che lavora gratis non è un uomo libero, e forse è proprio a questo che si tende, a una sorta di nuovo schiavismo mascherato da progressismo, una solidarietà finta e pelosa.
Nello stesso tempo si crea un danno al lavoro regolarmente retribuito, perché si innesca un sistema di abbassamento coatto del costo del lavoro, una sorta di concorrenza estrema che può soltanto aggravare la già difficile situazione economica. Quando l’ente pubblico commissiona un lavoro a immigrati, richiedenti asilo, detenuti e altre categorie in situazioni di disagio, in realtà crea un danno al mercato del lavoro regolare, perché quel lavoro andrebbe svolto da manovalanza regolare e regolarmente pagata mentre, se svolto gratis sotto forme di volontariato, crea una perdita di lavoro a chi lavora regolarmente.
Quando leggiamo di immigrati, detenuti e quant’altro che svolgono lavori socialmente utili per il Comune o per questa o quella amministrazione, stiamo assistendo allo sfruttamento del lavoro e alla depauperazione dei lavoratori. Quindi c’è poco da plaudire.

Luca Craia