venerdì 14 dicembre 2018

Terremoto: un’osservazione estemporanea da lontano.


Avevo deciso di non parlare più di terremoto se non per commentare qualche scelta politica specifica, ma continuo silentemente a seguire le vicende di queste amate terre martoriate, e oggi due considerazioni le voglio fare, a mo’ di parentesi. Siamo nel pieno del terzo inverno da quando la terra ha tremato per la prima volta in quello che viene definito il sisma del 2016, ed è il terzo inverno di disagio e di sofferenza per i terremotati. Torno a parlarne per questo, perché è impossibile rimanere indifferenti a tanto dolore causato non dalla forza della natura, ma dagli uomini, uomini che, in molti casi, hanno un nome e un cognome, hanno un volto.
È nevicato sui monti e sta continuando a nevicare. Nevica sulle casette marce costate quanto ville di lusso, nevica sulle rovine di paesi che non rinasceranno mai più. Nevica su uomini stanchi, rassegnati, spenti. Una neve silenziosa come il dolore di questa gente abbandonata che non ha più forza per lottare, dopo aver cercato di muovere qualcosa per mesi e mesi e averlo fatto nel peggiore dei modi, spaccandosi, dividendosi, cercando ognuno di tirare l’acqua al proprio mulino per ritrovarsi ora oggetto di servizi giornalistici pietistici ma senza una denuncia reale della situazione, senza una reazione, con una politica sempre più lontana da questi luoghi che ormai sembrano avere un destino segnato.
Il progetto era chiaro fin dall’inizio e mi picco di essere stati tra i primissimi a denunciarlo: si voleva desertificare, si volevano svuotare queste terre, portarne via gli abitanti e farne una zona libera dove operare senza interferenze. Ci sono riusciti, ormai è chiaro. La gente se ne sta andando, e quella che non se ne è andata se ne andrà presto. I giovani per primi, magari portandosi via gli anziani, lasciando qualche caparbio che però, ormai, ha ben poco da combattere. Ci sono ancora i comitati, ci sono ancora i capipopolo ma non c’è più il popolo. Quando si poteva richiamare l’attenzione, quando c’era da protestare, si è preferito litigare, crearsi ognuno il proprio orticello, e ora al massimo possiamo fare convegni, incontri con Vip misericordiosi, ma in realtà le azioni sono finite, se mai ci sono state.
Questo territorio si spopolerà completamente in pochi anni, e ci sarà campo libero per gli speculatori, che potranno acquistare terreni a prezzi stracciati e potranno realizzare quello che vorranno perchè mancherà il controllo delle popolazioni. Il gioco era questo, e contava sulle divisioni, i campanilismi, i piccoli arrivisti della politicuccia locale, i tifosetti di questo o quel satrapo del campanile, gli opportunisti che si sono venduti anima e storia per un po’ di lavoro e di profitto, quelli in cerca di un palcoscenico e di una visibilità effimera. Lo sapevano, quelli che hanno approfittato del terremoto per portare avanti un disegno che già c’era, un disegno sempre più chiaro, evidente nelle politiche regionali e in quelle nazionali che, nonostante il cambio radicale di governo, non hanno cambiato quasi nulla della rotta indirizzata da Renzi e Gentiloni.
È un quadro sconfortante, che guardo ormai da lontano, con la lucidità dell’osservatore non coinvolto se non affettivamente. Francamente non sono in grado di suggerire alcuna soluzione, tanta è la frammentazione e la perdita di qualsiasi capacità propositiva nei terremotati. Credo che il punto di non ritorno sia stato superato e che ora non possiamo che assistere all’epilogo, che sarà quello programmato ma non quello che speravo.

Luca Craia