lunedì 24 dicembre 2018

Terremoto: scatta la protesta 2.0, più politicizzata che mai.


Terremotati trattati come pacchi, come animali, senza rispetto, defraudati, parcheggiati, dimenticati. Era logico che ne scaturisse una protesta, in verità partita fin da subito. Ma la protesta si è esaurita, nel corso dei primi due anni di emergenza infinita, infrangendosi contro i campanilismi, le divisioni, gli arrivismi, il tutto sapientemente pilotato da chi sa come governare certi meccanismi. Negli ultimi mesi abbiamo visto assopirsi ogni moto di reazione, placarsi gli animi in una rassegnazione e in un nichilismo indotti e programmati.
Rimane la protesta verbale, scritta, virtuale, una protesta tanto feroce quanto sterile. Certo, attaccare il Governatore delle Marche su Facebook dà soddisfazione e forse anche un po’ di fastidio al destinatario ma, sostanzialmente, lascia il tempo che trova, non sortisce alcun effetto reale: la desertificazione è in atto sembra ormai irreversibile e protestare col telefonino è come spegnere un incendio col bicchierino dello sciroppo.
Ultimamente c’è un altro fenomeno che pare interessante: un cambio di guardia nelle leadership della protesta reale, quella che ormai si è fermata. Alcuni leader dei comitati, quei comitati nati subito dopo il sisma e moltiplicatisi fino a diventare più numerosi dei terremotati stessi, stanno decisamente tirando i remi in barca prendendo coscienza della sconfitta, altri continuano imperterriti a portare avanti iniziative più di facciata che di sostanza, magari nella ricerca di qualche tipo di visibilità o consenso. A questi si stanno unendo altri aspiranti capipopolo, redivivi masanielli pronti a rinfocolare le braci della protesta, poco importa se ormai sono quasi solo ceneri.
Una nuova protesta, stavolta estremamente politica, diretta contro il Governo che, in realtà, sta perpetuando la politica del non fare dei precedenti esecutivi, ma anche verso la figura del nuovo commissario, quel Farabollini che sembra scontentare tutti. E qui viene il sospetto, anzi due, che il commissario non piaccia proprio perché magari ha qualche possibilità di azione in più rispetto ai predecessori, e che ci sia la netta volontà di isolarlo prima ancora che riesca a compiere una qualche azione.
Farabollini, non è un politico, non è un oratore, non sa arringare le folle e non sembra essere capaci di raccontare frottole in maniera credibile. Davanti alle telecamere è impacciato, non ha la risposta pronta, è facile preda del giornalista strumentale. Non piace, per questo, perché altrimenti non ci sarebbero altri motivi per contestarlo fin da subito. Eppure è un uomo del territorio, uno che conosce le particolarità delle zone colpite e le peculiarità del loro tessuto sociale. Ed è un tecnico, uno che, quantomeno, dovrebbe capire la materia che sta trattando molto meglio di chi è venuto prima. La logica sarebbe di instaurare un rapporto stretto tra rappresentanti dei terremotati e la figura che fa da raccordo col governo. Invece non c’è mai stato nemmeno il tentativo di farlo, mettendosi subito di traverso. E questi nuovi masanielli sono sul piede di guerra proprio contro il commissario. Il che fa sospettare in maniera molto forte che non ci sia solo la rabbia a muoverli, ma che l’azione sia ancora una volta politica, per evitare che esista la benché minima possibilità che si creino ostacoli alla desertificazione ormai in via di realizzazione.

Luca Craia

Foto: Il Messaggero