Terremotati trattati come pacchi, come animali, senza
rispetto, defraudati, parcheggiati, dimenticati. Era logico che ne scaturisse una
protesta, in verità partita fin da subito. Ma la protesta si è esaurita, nel
corso dei primi due anni di emergenza infinita, infrangendosi contro i
campanilismi, le divisioni, gli arrivismi, il tutto sapientemente pilotato da
chi sa come governare certi meccanismi. Negli ultimi mesi abbiamo visto
assopirsi ogni moto di reazione, placarsi gli animi in una rassegnazione e in
un nichilismo indotti e programmati.
Rimane la protesta verbale, scritta, virtuale, una protesta
tanto feroce quanto sterile. Certo, attaccare il Governatore delle Marche su
Facebook dà soddisfazione e forse anche un po’ di fastidio al destinatario ma,
sostanzialmente, lascia il tempo che trova, non sortisce alcun effetto reale:
la desertificazione è in atto sembra ormai irreversibile e protestare col
telefonino è come spegnere un incendio col bicchierino dello sciroppo.
Ultimamente c’è un altro fenomeno che pare interessante: un
cambio di guardia nelle leadership della protesta reale, quella che ormai si è
fermata. Alcuni leader dei comitati, quei comitati nati subito dopo il sisma e
moltiplicatisi fino a diventare più numerosi dei terremotati stessi, stanno
decisamente tirando i remi in barca prendendo coscienza della sconfitta, altri
continuano imperterriti a portare avanti iniziative più di facciata che di sostanza,
magari nella ricerca di qualche tipo di visibilità o consenso. A questi si
stanno unendo altri aspiranti capipopolo, redivivi masanielli pronti a
rinfocolare le braci della protesta, poco importa se ormai sono quasi solo
ceneri.
Una nuova protesta, stavolta estremamente politica, diretta contro
il Governo che, in realtà, sta perpetuando la politica del non fare dei
precedenti esecutivi, ma anche verso la figura del nuovo commissario, quel
Farabollini che sembra scontentare tutti. E qui viene il sospetto, anzi due,
che il commissario non piaccia proprio perché magari ha qualche possibilità di
azione in più rispetto ai predecessori, e che ci sia la netta volontà di
isolarlo prima ancora che riesca a compiere una qualche azione.
Farabollini, non è un politico, non è un oratore, non sa
arringare le folle e non sembra essere capaci di raccontare frottole in maniera
credibile. Davanti alle telecamere è impacciato, non ha la risposta pronta, è
facile preda del giornalista strumentale. Non piace, per questo, perché altrimenti
non ci sarebbero altri motivi per contestarlo fin da subito. Eppure è un uomo
del territorio, uno che conosce le particolarità delle zone colpite e le peculiarità
del loro tessuto sociale. Ed è un tecnico, uno che, quantomeno, dovrebbe capire
la materia che sta trattando molto meglio di chi è venuto prima. La logica
sarebbe di instaurare un rapporto stretto tra rappresentanti dei terremotati e
la figura che fa da raccordo col governo. Invece non c’è mai stato nemmeno il
tentativo di farlo, mettendosi subito di traverso. E questi nuovi masanielli
sono sul piede di guerra proprio contro il commissario. Il che fa sospettare in
maniera molto forte che non ci sia solo la rabbia a muoverli, ma che l’azione
sia ancora una volta politica, per evitare che esista la benché minima
possibilità che si creino ostacoli alla desertificazione ormai in via di
realizzazione.
Luca Craia
Foto: Il Messaggero