27 bambini e una maestra. Erano a scuola, in un luogo
che dovrebbe essere il più protetto al mondo, la custodia del futuro, eppure
gli è cascato il tetto in testa. Sono morti schiacciati dal peso del cemento e
dal pressappochismo che affligge questo povero Paese. Sono passati sedici anni
precisi, da quel giovedì 31 ottobre del 2002, quando la terra tremò come fa
spesso e come spesso succede fece in modo che le costruzioni dell’uomo
uccidessero gente.
Sono passati 16 anni, lunghi anni, verrebbe da dire,
eppure siamo ancora qui che discutiamo se una scuola possa essere sicura o no,
se un edificio con un indice di vulnerabilità sismica dimezzato rispetto a
quello minimo possa ospitare dei bambini o no. Ancora si perde tempo, si
discute sulle priorità. Eppure la terra trema, trema spesso, trema forte e, da
quel 2002, ha già tremato molto e mietuto vittime.
La scuola deve essere un tempio, un luogo da
proteggere prima di ogni altro luogo, una priorità assoluta per gli
investimenti, una preoccupazione costante. Non deve esistere un edificio
scolastico meno che sicuro. Ciononostante la maggior parte degli edifici
scolastici italiani sono fuori norma, solo il 5% rispetta i parametri di legge.
I genitori, però, sono tranquilli, come se i loro figli non andassero a scuola
in quegli scatoloni di cemento armato pesantissimo. Gli amministratori lo sono
ancora di più. E le cose vanno avanti così, nel Paese dell’eterna emergenza e
delle tragedie tanto tremende quanto effimere.
Luca Craia