mercoledì 31 ottobre 2018

31 ottobre 2002, ore 11.32.


27 bambini e una maestra. Erano a scuola, in un luogo che dovrebbe essere il più protetto al mondo, la custodia del futuro, eppure gli è cascato il tetto in testa. Sono morti schiacciati dal peso del cemento e dal pressappochismo che affligge questo povero Paese. Sono passati sedici anni precisi, da quel giovedì 31 ottobre del 2002, quando la terra tremò come fa spesso e come spesso succede fece in modo che le costruzioni dell’uomo uccidessero gente.
Sono passati 16 anni, lunghi anni, verrebbe da dire, eppure siamo ancora qui che discutiamo se una scuola possa essere sicura o no, se un edificio con un indice di vulnerabilità sismica dimezzato rispetto a quello minimo possa ospitare dei bambini o no. Ancora si perde tempo, si discute sulle priorità. Eppure la terra trema, trema spesso, trema forte e, da quel 2002, ha già tremato molto e mietuto vittime.
La scuola deve essere un tempio, un luogo da proteggere prima di ogni altro luogo, una priorità assoluta per gli investimenti, una preoccupazione costante. Non deve esistere un edificio scolastico meno che sicuro. Ciononostante la maggior parte degli edifici scolastici italiani sono fuori norma, solo il 5% rispetta i parametri di legge. I genitori, però, sono tranquilli, come se i loro figli non andassero a scuola in quegli scatoloni di cemento armato pesantissimo. Gli amministratori lo sono ancora di più. E le cose vanno avanti così, nel Paese dell’eterna emergenza e delle tragedie tanto tremende quanto effimere.

Luca Craia