sabato 15 settembre 2018

Micam, speranze e futuro per un settore devastato.

Per un capriccio dell'ufficio anagrafe ho attraversato quasi quarant'anni della vita calzaturiera del mio paese e del mio Paese. Da quando pure i garage e i sottoscala si chiamavano "Ditte" con le tre o quattro persone che ci lavoravano notte e giorno fino a veder crescere tra l'erba - come il ragazzo della via Gluck - le grandi cattedrali di vetro, cemento e lamiere del distretto produttivo più importante d'Italia. Tempi neppure paragonabili e lontani non 40 anni, ma 40 milioni di anni luce.
Le vicende sempre alterne tra la fortuna e le difficoltà. L'idea che piccolo è sempre bello. La convinzione che con il cognome di famiglia si potesse dare più lustro ai mocassini, ai derby e alle francesine. Lo faceva pure il vicino di casa... La capacità di rischiare dei pionieri inversamente proporzionale alla preparazione economica, finanziaria e commerciale. E gli errori. Pure quelli! Gli stessi che oggi ti fanno ribollire il sangue, quando senti che aziende affermate chiudono i battenti.
Che Brand storici (non da laboratorio con moglie, padre e madre) spariscono per sempre. Con il dramma di un numero sempre troppo grande di individui che non avranno più un lavoro da svolgere in una zona che non ha mai saputo, né voluto creare niente altro che scarpe.
E domani chi resiste ritorna a Milano per la centesima fiera. Carica la macchina di campionari, listini e speranze che nel corso degli ultimi anni si sono concretizzate con la stessa frequenza della vincita al superenalotto.
E ribolle il sangue a sentire chi blatera inutilmente di aiuti e appoggi al settore in crisi. Di che aiuti si parla? Ancora del Made in Italy? Di quel valore aggiunto da dare a prodotti che sono stati fatti oltre frontiera, dove il costo del lavoro è un decimo, un quinto, un quarto di quello italiano? Troppo tardi. Ancora si parla di proteggere quello che non interessa più a nessuno dei produttori rimasti? Coloro, cioè, che per abbattere il prezzo del prodotto, nella speranza di venderne qualche paio in più, se lo vanno a fare in Romania, Bulgaria, Cina, Vietnam, Serbia, Albania eccetera? Questo Made in Italy? Oh... scusate, non lo sapeva nessuno come stavano in effetti le cose.
Scendete dalle vostre inutili e costose poltrone. Troppi presidenti in giro, lo dico da quarant’anni. Prendete un autobus di Roma Linee. Senza limousine né autista, né fotografi andate a battere i pugni a Roma. L'unica cosa che dovete chiedere è il taglio del costo del lavoro per lasciare qualche euro in più ai lavoratori (magari ricominciano a consumare un po') e per abbattere in parte il prezzo di una francesina, che a momenti costa come una lavasciuga di marca, anche quella fatta in Cina.
Non abbiamo altro tempo a disposizione che quello di oggi. (Charles Spurgeon)

Giuseppe Sardini