venerdì 14 settembre 2018

Le Marche dalle molte contrade, impantanate nel post-terremoto.

Da lontano le cose si vedono meglio, con quel minimo distacco razionale che consente di contestualizzarle e di valutarle complessivamente, pur sempre tenendo conto degli inevitabili limiti personali. Già a qualche decina di chilometri da qui, c'è chi vede il terremoto come un evento trascorso, ad alcune centinaia di chilometri di distanza il messaggio che si rileva parlando con la gente è che ormai sia quasi tutto a posto. La gente dimentica e molto in fretta, ascolta distratta i tg, difficilmente legge i giornali, da tanti ritenuti utili solo per incartare il pesce, ma che a volte approfondiscono le questioni e contribuiscono a sollevare problemi e criticità del sistema Italia. Nel Belpaese, dove anziché cercare di capire la complessità dei problemi per poter dare le risposte che i cittadini attendono, si va avanti per slogan polarizzando volutamente l'attenzione dell'opinione pubblica su alcuni argomenti, per distoglierla volutamente da altri, a mio parere il terremoto del Centro Italia ed i terremotati sono agli ultimi posti nell'agenda politica. Non tanto nelle inevitabili dichiarazioni positive di intenti al quale si assiste ad ogni passerella dei politici nelle zone terremotate, quanto nelle scelte concrete, che difficilmente mi lasciano sperare in un'inversione di rotta. Siamo tutti, terremotati e territori limitrofi, in un bel pantano nel quale non si sa tra quanto usciremo. Le Marche delle mille contrade, dei tanti borghi e delle centinaia di frazioni, non sono appetibili per la politica nazionale. Non portano voti, non portano risorse, non portano innovazione. Non ci sono prebende politiche da riscuotere o poltrone di rilievo in cui sistemare la piccola casta di qualsivoglia formazione politica. Nulla di nulla, dunque si può dedurre che alla politica che conta, delle Marche non gliene frega nulla. Se ne sono interessati solo quando la regione è stata utile palcoscenico per la campagna elettorale, quando i riflettori dei media per eventi legati a calamità naturali o a fatti di cronaca nera, hanno fatto di questa terra una quinta teatrale utile allo spettacolo della politica. La divisione territoriale, sociale e culturale che rende questa terra più frammentaria e dispersiva che mai, è un fattore di debolezza interna, mai preso di petto dal mondo politico e industriale, salvo rare eccezioni, che mina alla base qualsiasi tentativo di una politica territoriale comune. E così come una gigantesca armata Brancaleone, tutti andiamo allo sbaraglio verso un futuro incerto e che probabilmente è già segnato. Quartiere contro quartiere, comune contro comune, provincia contro provincia, costa contro montagna, l'individualismo esasperato ci frega tutti e su questo il mondo politico gongola, continuando a menare il can per l'aia, lanciando a volte positivi segnali di fumo, mentre della ciccia arrosto si sente solo il profumo, senza vederla. La norma prevale su tutto, sui volti, sulle storie e sulle speranze di chi non ha più nulla. Questo è quanto mi sento di scrivere, a due anni dal terremoto che ha distrutto un bel pezzo di mondo in cui ho sempre vissuto e che ancora non so se e quando ritroverò. Ci salvi chi può.

Sibilla Onorati