Ho passato la mia adolescenza e la mia giovinezza a
Macerata. Ho fatto le medie, il liceo e l’università a Macerata, negli anni ’80,
e me la ricordo bene com’era. Non era l’oasi di pace e bellezza che tanti
vorrebbero raccontarci, ma era molto ma molto diversa dalla Macerata attuale. C’era
la droga anche allora, certo, ma dovevi andarla a cercare, non te la sbattevano
in faccia. C’era qualche delinquente, per carità, ma potevi girarti tutta la
città tranquillo, passando in tutti i vicoli che volevi, anche se eri una
ragazza, anche se portavi la minigonna. Non ti dava fastidio nessuno, a Macerata.
I Giardini Diaz della Macerata che ricordo erano pieni di
gente che andava e veniva. Erano il cuore della Macerata giovane, dove gli
studenti prendevano la corriera, dove andavano a nascondersi quando marinavano
la scuola, dove le coppiette andavano a pomiciare, dove i professori andavano a
perlustrare in cerca dei “salatori”. C’era anche la polizia, sempre, attenta e
vigile che non capitasse nulla. E, in genere, non capitava nulla.
Cosa sono diventati oggi i Giardini Diaz, nonostante la “riqualificazione
urbana”, lo vediamo e lo sappiamo. Sono anche passati trenta e passa anni da
allora, le cose, direte, cambiano. Ma perché le cose devono cambiare sempre e
per forza in negativo? Come ha fatto, Macerata, a diventare quello che è
diventata? Come ha fatto a diventare una città dove bisogna stare attenti a
dove si va, a dove si passa, dove ci sono zone in cui è meglio non andare a
meno che non si voglia “fare spesa”?
Macerata è una delle tante città italiane in degrado. Ce ne
sono centinaia, sono quasi tutte, persino i paesini di provincia hanno problemi
simili. Il tutto è dovuto a un imbarbarimento globale della società, a un declino
sociale che sembra inarrestabile. Sembra, perché si può fermare, ma bisogna
cambiare strada, progetto, mentalità. Bisogna, soprattutto, smettere di lucrare
sul destino degli Italiani, nascondendosi e camuffandosi dietro ideologie e
finti moralismi. O si cambia strada, o si muore.
Luca Craia