lunedì 10 settembre 2018

Curcio è una doccia fredda: cambiano i governi ma non cambia la politica della desertificazione.

C’è sbigottimento tra i terremotati, almeno tra quelli con cui sono in contatto io, e sono tanti. Si nutrivano forti speranze nel nuovo governo ma, fino a oggi, segnali di discontinuità rispetto al passato se ne sono visti ben pochi. Ora, se si concretizzerà la nomina di Fabrizio Curcio a Commissario Straordinario, la sensazione fortissima è che ci si trovi di fronte all’ennesima applicazione del motto gattopardiano “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Curcio è una vecchia conoscenza dei terremotati, è colui che ha seguito e affrontato direttamente, in qualità di capo della Protezione Civile, la prima fase emergenziale, quella immediatamente successiva agli eventi sismici. E non ha dato gran prova di sé, anzi, si può tranquillamente affermare che l’immobilismo, il pressappochismo e la nettissima percezione che ci fosse una specifica politica rivolta al non fare niente, concretizzatasi poi in due anni e passi di nulla assoluto, siano partite proprio assistendo proprio all’azione-non-azione di Fabrizio Curcio.
Il nuovo governo poteva cambiare radicalmente politica, poteva mettere immediatamente le mani sulla questione del terremoto, priorità evidente per tutti tranne che per chi decide, anziché attendere mesi per poi partorire una decisione che, se sarà questa come pare certo, sarà l’affermazione inconfutabile che la politica dello Stato nei confronti del territorio colpito dal sisma e dei terremotati non è mutata di una virgola e che la strategia della desertificazione sta proseguendo indisturbata, applicata uniformemente da tutte le forze politiche in campo. Evidentemente gli interessi economici che la muovo sono bel più forti di ogni logica di buon senso e umanità.

Luca Craia