C’è sbigottimento tra i terremotati, almeno tra quelli
con cui sono in contatto io, e sono tanti. Si nutrivano forti speranze nel
nuovo governo ma, fino a oggi, segnali di discontinuità rispetto al passato se
ne sono visti ben pochi. Ora, se si concretizzerà la nomina di Fabrizio Curcio a
Commissario Straordinario, la sensazione fortissima è che ci si trovi di fronte
all’ennesima applicazione del motto gattopardiano “Se
vogliamo che tutto rimanga come
è, bisogna che tutto cambi”.
Curcio è una vecchia conoscenza dei terremotati, è
colui che ha seguito e affrontato direttamente, in qualità di capo della
Protezione Civile, la prima fase emergenziale, quella immediatamente successiva
agli eventi sismici. E non ha dato gran prova di sé, anzi, si può
tranquillamente affermare che l’immobilismo, il pressappochismo e la nettissima
percezione che ci fosse una specifica politica rivolta al non fare niente,
concretizzatasi poi in due anni e passi di nulla assoluto, siano partite
proprio assistendo proprio all’azione-non-azione di Fabrizio Curcio.
Il nuovo governo poteva cambiare radicalmente
politica, poteva mettere immediatamente le mani sulla questione del terremoto,
priorità evidente per tutti tranne che per chi decide, anziché attendere mesi
per poi partorire una decisione che, se sarà questa come pare certo, sarà l’affermazione
inconfutabile che la politica dello Stato nei confronti del territorio colpito
dal sisma e dei terremotati non è mutata di una virgola e che la strategia
della desertificazione sta proseguendo indisturbata, applicata uniformemente da
tutte le forze politiche in campo. Evidentemente gli interessi economici che la
muovo sono bel più forti di ogni logica di buon senso e umanità.
Luca
Craia