Si vanno delineando i particolari della tragedia
della Corva di Porto Sant’Elpidio e il quadro non è così lineare come qualcuno
si è affrettato a disegnarlo nell’immediato. C’è una donna morta e c’è un uomo
che l’ha uccisa, e questo, se vogliamo semplificare, delinea un omicidio e
basta. Ma se analizziamo quanto accaduto e i motivi per i quali probabilmente è
accaduto, la tragedia della Corva è ancora più tragica, tristissima,
agghiacciante e mortificante per una società che vuole chiamarsi civile.
Abbiamo una donna con problemi neurologici e
psichiatrici, una donna che aveva bisogno di cure e di aiuto e che non ha
trovato altro che il tentativo di sostenerla da parte dell’ex marito, anch’egli
lasciato solo a gestire una situazione ben più grande di lui. Nessuno ha
aiutato ad aiutare quest’uomo, eppure era evidente, a quanto emerge dalle
testimonianze, che da solo poco avrebbe potuto fare per sostenere i bisogni
dell’ex moglie. Ciononostante, se l’era ripresa in casa e la stava aiutando a
curarsi, ma è chiaro che questo non bastava. Ma non lo ha aiutato nessuno, e
qui dovremmo chiederci come funziona la nostra società, quali meccanismi, quali
automatismi scattano e quali non scattano quando si ha bisogno di aiuto,
soprattutto dal lato psicologico. Non la
voglio fare lunga, ma mi pare lampante che siamo di fronte a una duplice
tragedia: una donna morta e un uomo distrutto, portato dall’esasperazione e
dalla solitudine a fare cose che probabilmente hanno ucciso anche lui, anche se
è ancora vivo.
Ma la cosa più triste è l’etichetta che è stata data
a questa tragedia fin da subito: femminicidio, violenza domestica, violenza
sulla donna. È un modo per minimizzare, per non rilevare le vere evidenze di
questo caso e di chissà quanti altri, il fatto che troppo spesso la gente viene
abbandonata a se stessa e alla sua incapacità di gestire situazioni troppo
complesse. Mettere l’etichetta è il modo con cui la nostro civiltà si autoassolve,
il modo in cui la comunità si libera dai peccati: è un femminicidio e tanto
basta. E con questa ipocrisia certamente i problemi non si risolvono.
Luca Craia