Volevo esprimere il mio cordoglio personale
e totalmente sincero ad Agata e Gabriella Turchetti per la perdita della cara
mamma Peppina. Nel farlo, però, vorrei utilizzare (non me ne vogliano le
figlie) la figura dell’anziana signora di San Martino di Fiastra per raccontare
di nuovo quello che “Nonna” Peppina ha rappresentato nelle vicende legate al
terremoto del 2016.
Perché Nonna Peppina è un simbolo,
anzi, più di uno. Prima di tutto è il simbolo della cattiveria umana, del male
che può fare e della cecità dell’autorità costituita. Ricordiamo la sua storia:
la signora Peppina, all’epoca dei fatti novantatreenne, per non lasciare il suo
paese e avendo la disponibilità del terreno e del denaro necessario, aveva
pensato di costruirsi una casetta in legno al posto di quella in cui aveva
vissuto gran parte della sua vita e aveva tirato su la famiglia. Ma qualcuno, e
qui arriva la cattiveria umana, ha denunciato la cosa alle autorità costituite
che, nella loro cecità, hanno interpretato la norma nel modo più stretto, forse
anche loro in preda alla medesima cattiveria di cui sopra. Così la nostra
signora Peppina è stata sbattuta fuori da casa sua prima dal terremoto, e poi
da quelle autorità che dovrebbero fare il bene dei cittadini e a volte fanno l’esatto
contrario.
Una storia di cattiveria profonda, di
paraocchi, di invidia, di veleni serpeggianti come chi vive in piccoli centri
sa che capiti spesso. Ma una storia anche di coraggio e determinazione, e anche
questo è simboleggiato da questa donna all’apparenza così fragile e invece così
forte e decisa, che ha combattuto la sua battaglia, sostenuta dalle figlie, e
alla fine l’ha vinta.
Ma ha dovuto lottare, Peppina; negli
anni in cui una persona dovrebbe godersi il tempo che resta circondata da
amore, Peppina ha conosciuto i sentimenti peggiori che l’umanità riesce a
provare. Li ha conosciuti direttamente grazie a chi ha denunciato la sua
casetta di legno, e li ha conosciuti indirettamente nelle reazioni che il suo
caso, diventato pascolo erboso per giornali, notiziari, social e media in
generale, ha suscitato in quella gente che sfoga le proprie frustrazioni sullo
schermo del computer o del telefono. Ho letto commenti alla sua vicenda che mi
facevano venire voglia di dimenticare la mia civiltà e la mia umanità, commenti
che di umano non avevano nulla.
Ecco cosa ha rappresentato Peppina,
in definitiva: la natura umana in tutte le sue sfaccettature: la solidarietà
tra simili, e per lei ce n’è stata tanta, ma anche l’opportunismo, le file
delle persone in cerca di uno scampolo di presunta celebrità a farsi foto
sorridenti di fianco alla vecchina, e poi i politici, i vip, folti stormi di
avvoltoi a sorvolare in circolo il cielo di Fiastra. E la cattiveria.
Io spero che Peppina abbia passato
gli ultimi anni in pace. Ne sono sicuro, perché le figlie l’avranno saputa
proteggere e riparare. E, ora che se n’è andata, sarebbe bene che qualcuno,
tanti, ripensassero alla sua storia, a come l’hanno vista e interpretata, a
come si sono comportati e a come si sarebbero comportati. Perché un tutto
questo c’è molto da imparare. Ma ora, Peppina riposi in pace.
Luca Craia