mercoledì 30 gennaio 2019

Fratelli d’Italia e Gioventù Nazionale contro l’Amministrazione di Macerata: “Sbagliato non ricordare Pamela”



Comunicato integrale

Restiamo sconcertati di fronte alle parole del Sindaco di Macerata Romano Carancini, che ha dichiarato che il Comune non organizzerà alcun evento in memoria di Pamela Mastropietro, la ragazza barbaramente uccisa un anno fa da uno spacciatore irregolare, forse per interessi superiori e non ancora del tutto chiariti.
Quello che fa più scalpore non è nemmeno la mancanza del tatto e del buongusto da parte del Comune: ciò che deve far riflettere è il completo menefreghismo nei confronti di quello che è stato, oggettivamente, il delitto più efferato nella storia cittadina e locale.
E dire che la stessa Amministrazione si prodigò in ogni modo affinché si svolgesse il corteo antifascista del 18 febbraio 2018, per strumentalizzare il folle gesto compiuto da Luca Traini. Le uniche vere vittime di questa tragedia, ovvero Pamela e la sua famiglia, non hanno invece ricevuto mai una parola di conforto dall’Amministrazione, che ora addirittura “delega” il ricordo alla Comunità, svincolandosi dalle proprie responsabilità.
Paolo Renna, Consigliere comunale di Fratelli d'Italia, puntualizza che se oggi Macerata è una città nuovamente vivibile è solo grazie alla cittadinanza e alle Forze dell’Ordine che, collaborando insieme, hanno consentito che la città venisse ripulita, nonostante l’ostruzionismo dell’Amministrazione.
Per fortuna la società civile maceratese non è rimasta con le mani in mano ed è stata comunque organizzata per le 21.15 di Mercoledì 30 Gennaio una manifestazione, consistente in una preghiera per la povera ragazza, che si svolgerà in Via Spalato.
Come Fratelli d’Italia e Gioventù Nazionale, ringraziamo le associazioni che hanno organizzato questo evento e annunciamo sin da ora la nostra partecipazione a questo importante momento. Sull’atteggiamento tenuto dall’Amministrazione, invece, riteniamo che le nostre parole possano essere solo di sdegno: se deve essere la Comunità a sostituirsi all’Amministrazione, forse è arrivato il momento che anche chi oggi regge il Comune si faccia da parte.


Torre San Patrizio. L’80% dei rifiuti in discarica è di tipo speciale. Un appartamento pieno di rifiuti per ogni abitante.


C’è molta preoccupazione a Torre San Patrizio per il previsto ampliamento della discarica di San Pietro, un ampliamento che aumenterà la capacità di ricevere rifiuti di cinque volte rispetto a quella attuale. La preoccupazione nasce soprattutto dal fatto che bel in 79% dei rifiuti trattati risulta essere classificato come “rifiuti speciali”, ovviamente ben più pericolosi dei normali rifiuti urbani. Sono 11475 tonnellate di rifiuti che vanno ad aggiungersi a un contesto in cui grava anche una centrale a biomasse alimentata con letame di maiale, il tutto a due passi dell’abitato di Torre San Patrizio, ma anche di Montegranaro, Monte San Giusto e Monte Urano. Ma nessuno, da questi comuni, sembra essersi accorto del problema.
Problema anche relativo alla quantità di rifiuti pro-capite per abitante, la più alta tra tutte le discariche del territorio piceno. Sono 255 metri cubi per ogni Torrese, i rifiuti che si accumuleranno a San Pietro, l’equivalente di un appartamento di circa 95 metri quadri pieno stipato di immondizia. Tutto questo è gestito da una società privata, l’Ecoelpidiense, che è anche responsabile dei controlli. Non sa sottovalutare, ci teniamo a ricordarlo, anche il fatto che, a poco più di un chilometro, sorgerà il nuovo ospedale di Fermo. Un’ubicazione forse non proprio salubre per un nosocomio.
Preoccupazioni che si sommano, per la salute e per l’economia della zona, già provata dalla discarica esistente prima ancora del previsto ampiamento. Del resto i miasmi provenienti da discarica e porcilaia sono ben percettibili da chiunque transiti per la strada provinciale Mezzina. Ma sono preoccupazioni non condivise da alcun amministratore, né di Torre San Patrizio né dei centri limitrofi.

Luca Craia

I normalizzatori del terremoto, il lavoro capillare per tenere buona la gente.


Agiscono fin dall’indomani della prima scossa, nell’agosto del 2016, e non hanno mai smesso di lavorare per tenere bassa la protesta, per sminuire le recriminazioni, per delegittimare le informazioni reali. Non si sa perché lo facciano: disciplina di partito, forse, visto che si tratta quasi sempre di gente inquadrabile politicamente, con passati e presenti di attivisti di sinistra; oppure per forma mentis, abituati a non ragionare ma a ricevere dati e rigettarli senza elaborazione alcuna. Alcuni lo fanno evidentemente per ritorno personale, magari aspirando a qualche incarico professionale, a qualche favore personale, a scavalcare semplicemente la fila nello sport più italico dopo, o prima, del pallone.
Il normalizzatore del terremoto agisce sui social, questo strumento nuovo ma ormai non più nuovissimo che, a quanto pare, chi deve lo ha imparato a utilizzare molto bene. Solitamente è un terremotato, autoctono, col la casa di residenza danneggiata, o importato, con la casa dei parenti, magari frequentata sporadicamente prima del terremoto. È ben introdotto nei gruppi Facebook, magari ne ha anche fondato qualcuno, e lì protesta con misura, ogni tanto si indigna ma mai con troppa convinzione, magari supporta con discrezione questo o quel politico locale, ma quando viene fuori la bomba, e di bombe ne abbiamo viste tante in questi due anni e mezzo, è prontissimo a disinnescarla. Per bomba intendo quella notizia che scopre gli altarini del potere, che fa capire effettivamente come stanno le cose, quanto è grande la misura della presa per il sedere.
Come fanno a disinnescare la bomba? L’azione in genere parte da prima, col chiacchiericcio, col pissi pissi bau bau che tanto piace alla sinistra nostrana: identificano i diffusori di informazioni contrarie e li delegittimano quotidianamente, gli trovano un nomignolo (a me, tra in tanti epiteti meno simpatici, mi chiamano anche “blogghettaro”, che non so che significa ma pare funzioni), cercano di farlo passare per un contaballe e, sempre evitando il più possibile il contraddittorio, hanno gioco facile. Quando invece la bomba scoppia, gridano alla fake news. Oggi questo termine piace molto, insieme a “bufala”. E allora c’è il normalizzatore di secondo livello che dice: “sarà una bufala?”, instillando il dubbio. E, all’occorrenza, scende in campo quello di primo livello, che cerca di dimostrare che l’informazione data è falsa o, quanto meno, sbagliata.
Facciamo l’esempio, tanto per capirci, dell’ultimo caso, quello delle piste ciclabili finanziate coi fondi Por Fesr. In una condivisione su un gruppo che tratta di terremoto e terremotati del mio articolo, quello che ha scoperchiato il pentolone, parte un tipo che dice la consueta frase “sarà una bufala”. Poi arriva il normalizzatore di primo livello, un politicuccio locale, ben inserito nella nomenclatura di partito, che commenta, rivolto alla persona che ha condiviso il mio post: “devi cambiare blog”. Allora questa persona reagisce e risponde: “perché? La notizia è falsa?”. Nessuna risposta. Ma il normalizzatore continua con altri commenti sotto, e comincia a parlar male della fonte, definendola “una delle più grandi fonti di bufale sul terremoto” (cosa, tra l’altro, piuttosto diffamatoria, se vogliamo). Ma mai dice se la notizia sia falsa o no, quello che gli interessa è instillare il dubbio.
Dubbio poi rafforzato dalla consueta informazione di regime, ribattuta e ricondivisa da tutto l’esercito dei normalizzatori: non sono fondi per la ricostruzione, potevano farci solo quello. Questa è la vera fake news, e lo sappiamo in molti, ma non lo sanno tutti. Inutile spiegare che sì, non sono fondi per la ricostruzione ma potevano essere impiegati, visto che arrivano dall’Europa proprio per sanare le ferite economiche e sociale inflitte dal terremoto, per opere più importanti, come le strade ancora chiuse, le strutture turistiche. Ma intanto passa, capillarmente, il concetto che i poveretti di Ancona non potevano far altro che finanziare le piste ciclabili. E il concetto passa, magari non per tutti ma per molti. E ci si divide, e si litiga, e così un fronte comune non si creerà mai come non si è mai creato. Il ruolo del normalizzatore è proprio questo. Uno sporco lavoro, davvero, ma qualcuno deve pur farlo.

Luca Craia