Per un
capriccio dell'ufficio anagrafe ho attraversato quasi quarant'anni della vita
calzaturiera del mio paese e del mio Paese. Da quando pure i garage e i sottoscala
si chiamavano "Ditte" con le tre o quattro persone che ci lavoravano
notte e giorno fino a veder crescere tra l'erba - come il ragazzo della via
Gluck - le grandi cattedrali di vetro, cemento e lamiere del distretto produttivo
più importante d'Italia. Tempi neppure paragonabili e lontani non 40 anni, ma
40 milioni di anni luce.
Le vicende sempre alterne tra la fortuna e le difficoltà. L'idea
che piccolo è sempre bello. La convinzione che con il cognome di famiglia si
potesse dare più lustro ai mocassini, ai derby e alle francesine. Lo faceva
pure il vicino di casa... La capacità di rischiare dei pionieri inversamente
proporzionale alla preparazione economica, finanziaria e commerciale. E gli
errori. Pure quelli! Gli stessi che oggi ti fanno ribollire il sangue, quando
senti che aziende affermate chiudono i battenti.
Che Brand storici (non da laboratorio con moglie, padre e madre)
spariscono per sempre. Con il dramma di un numero sempre troppo grande di
individui che non avranno più un lavoro da svolgere in una zona che non ha mai
saputo, né voluto creare niente altro che scarpe.
E domani chi resiste ritorna a Milano per la centesima fiera.
Carica la macchina di campionari, listini e speranze che nel corso degli ultimi
anni si sono concretizzate con la stessa frequenza della vincita al
superenalotto.
E ribolle il sangue a sentire chi blatera inutilmente di aiuti e
appoggi al settore in crisi. Di che aiuti si parla? Ancora del Made in Italy?
Di quel valore aggiunto da dare a prodotti che sono stati fatti oltre
frontiera, dove il costo del lavoro è un decimo, un quinto, un quarto di quello
italiano? Troppo tardi. Ancora si parla di proteggere quello che non interessa
più a nessuno dei produttori rimasti? Coloro, cioè, che per abbattere il prezzo
del prodotto, nella speranza di venderne qualche paio in più, se lo vanno a
fare in Romania, Bulgaria, Cina, Vietnam, Serbia, Albania eccetera? Questo Made
in Italy? Oh... scusate, non lo sapeva nessuno come stavano in effetti le cose.
Scendete dalle vostre inutili e costose poltrone. Troppi
presidenti in giro, lo dico da quarant’anni. Prendete un autobus di Roma Linee.
Senza limousine né autista, né fotografi andate a battere i pugni a Roma.
L'unica cosa che dovete chiedere è il taglio del costo del lavoro per lasciare
qualche euro in più ai lavoratori (magari ricominciano a consumare un po') e
per abbattere in parte il prezzo di una francesina, che a momenti costa come
una lavasciuga di marca, anche quella fatta in Cina.
Non abbiamo
altro tempo a disposizione che quello di oggi. (Charles Spurgeon)
Giuseppe
Sardini