martedì 14 marzo 2017

Contributi alle associazioni: il Comune fa polemica con se stesso. Ubaldi ha la coda di paglia?



Leggo con grande stupore l’intervento odierno sul Corriere Adriatico di Endrio Ubaldi, assessore al bilancio oltre che vicesindaco del Comune di Montegranaro, che spiega, con una sorta di excusatio non petita, i criteri con i quali sono stati distribuiti i contributi alle associazioni. L’elenco di questi contributi era stato fatto circolare la scorsa settimana dal Presidente del Consiglio Comunale Antonelli che lo aveva mandato a tutte le testate giornalistiche nonché a questo blog ma, che io sappia, non ha generato alcun tipo di polemica.
C’è stato del chiacchiericcio e qualche discussione, tutto normale in un Paese democratico. Ma niente di più. Del resto qualcuno si è posto delle domande, se non altro per capire i criteri adottati, anche perché i soldi sono tanti. Ma non c’è stata polemica, non ci sono state uscite dell’opposizione, io stesso non ho scritto una parola di più di quanto fosse contenuto nell’elenco fornitomi. Quindi perché questa necessità di Ubaldi di precisare?
Del resto la diffusione dei dati ha fonte istituzionale e proviene da Walter Antonelli, come dice Il Resto del Carlino, elemento di spicco della maggioranza oltre che Presidente del Consiglio Comunale. Dovremmo pensare, quindi, che tale pubblicazione fosse stata concordata in maggioranza, a meno che non si tratti dell’ennesimo caso di mano destra che non sa cosa fa la sinistra. Ciò non toglie che polemiche non se ne sono viste.
L’excusatio non petita normalmente nasconde un’accusatio manifesta, il che fa pensare a poca tranquillità da parte dell’assessore al bilancio. Magari teme che qualcuno si possa domandare come mai questi contributi siano stati in larga misura elargiti ad associazioni notoriamente “amiche” dell’Amministrazione Comunale, mentre nulla è stato dato a quelle in posizioni più defilate o critiche. Ma, che mi risulti, nessuno si è posto, almeno pubblicamente, questa domanda. Per cui ho la netta impressione che le precisazioni di Ubaldi manifestino null’altro che una bella, grossa e grassa coda di paglia.
                                      
Luca Craia

lunedì 13 marzo 2017

La famiglia del ladro perdona il derubato. E il mondo si rovescia.



La morte di un uomo è sempre una cosa deprecabile ed è stucchevole doverlo ripetere ogni volta che si parli della morte di un delinquente. Tocca ripeterlo per chiarire il punto, per non dare modo ai soliti benpensanti di attaccarti fin dalle prime parole. Però un delinquente è un delinquente, e un delinquente che muore nell’atto di delinquere non viene lavato delle sue colpe solo per il fatto che muore: rimane delinquente, morto ma delinquente.
Per questo sono trasalito nell’apprendere dell’atto di “generosità” della famiglia di Petru Ungureanu, il ladro rumeno rimasto ucciso dal fucile del derubato che ha esploso un colpo evidentemente per difendere se stesso e la proprietà. Il fratetello del ladro ha pronunciato queste parole: “io e la mia famiglia perdoniamo Mario Cattaneo (il derubato sparante, ndr) davanti a Dio: non vogliamo vendetta ma solo giustizia”.
Io credo che un uomo debba avere il diritto di difendere se stesso e i suoi beni, anche usando la forza. Il “povero” ladro non sarebbe morto se non avesse minacciato chi gli ha sparato, nella sua persone e nei suoi beni. Con questo non auspico l’uso della forza che sarebbe inutile se in Italia vi fossero leggi migliori e forze dell’ordine messe in condizione di agire. Purtroppo questo non è, per cui capita che i cittadini debbano difendersi da soli, con tutte le conseguenze negative del caso.
Ma che i familiari del delinquente ucciso si sentano nella posizione addirittura di perdonare quella che, non avesse sparato, sarebbe la vittima di un criminale, e quel criminale altri non è che il loro congiunto, sembra davvero grottesco. Ma è giustificato dai media, dall’atteggiamento dei benpensanti di cui sopra e addirittura dalle leggi italiane nella loro inefficienza nel difendere i cittadini.
               
Luca Craia

L’Università Politecnica delle Marche contro lo spopolamento. Ma non c’è alcun modello da ripensare.



In molti, a seguito del terremoto del 2016 che ha colpito il centro Italia, si è fatta strada l’idea che ci sia un disegno volto a spopolare le aree montane colpite. Può sembrare un idea bislacca ma trova ragione di esistere nel quasi totale immobilismo e nell’intralcio sostanziale a qualsiasi attività di recupero portata avanti autonomamente. A prescindere, però, da progetti politici o presunti tali, il rischio di spopolamento dell’area montana dopo il terremoto è oggettivo e concreto.
Per questo l’Università Politecnica delle Marche ha promosso un Master sullo spopolamento delle aree interne colpite da eventi sismici, un progetto che coinvolge ben quaranta università e istituti di ricerca ed è destinato a giovani laureati (con laurea magistrale) in, Architettura, Ingegneria, Geologia, Economia e Geografia L’obiettivo è di formare professionalità capaci di coordinare le varie componenti della gestione emergenziale e post emergenziale in una sorta di “consiglio delle istituzioni”, che raccorderebbe abitanti, amministrazioni locali, Regioni e Commissario per la ricostruzione.
Coordinare e raccordare tutti gli elementi che concorrono alla ricostruzione è un’idea elementare e naturale, anche se questo non è avvenuto nel caso dell’ultima emergenza. Quello che lascia perplessi è che pare che la volontà sia di “ripensare il modello insediativo, sociale ed economico della montagna”, concetto che mi pare vada a comprovare l’idea che dicavamo inizialmente, ossia quella del disegno di spopolamento. In questo caso non si parla di spopolare le aree ma di ripensarne il modello, e non se ne capisce la ragione. Il modello economico delle aree colpite, almeno di quelle dell’ultimo sisma, è un modello che funzionava e potrebbe di nuovo funzionare. Basterebbe ripristinarlo con la massima celerità, al contrario di quanto si sta realmente facendo.
               
Luca Craia