In molti, a
seguito del terremoto del 2016 che ha colpito il centro Italia, si è fatta strada
l’idea che ci sia un disegno volto a spopolare le aree montane colpite. Può sembrare
un idea bislacca ma trova ragione di esistere nel quasi totale immobilismo e
nell’intralcio sostanziale a qualsiasi attività di recupero portata avanti autonomamente.
A prescindere, però, da progetti politici o presunti tali, il rischio di
spopolamento dell’area montana dopo il terremoto è oggettivo e concreto.
Per questo l’Università
Politecnica delle Marche ha promosso un Master sullo spopolamento delle aree
interne colpite da eventi sismici, un progetto che coinvolge ben quaranta
università e istituti di ricerca ed è destinato a giovani laureati (con laurea
magistrale) in, Architettura, Ingegneria, Geologia, Economia e Geografia L’obiettivo
è di formare professionalità capaci di coordinare le varie componenti della
gestione emergenziale e post emergenziale in una sorta di “consiglio delle
istituzioni”, che raccorderebbe abitanti, amministrazioni locali, Regioni e Commissario
per la ricostruzione.
Coordinare e
raccordare tutti gli elementi che concorrono alla ricostruzione è un’idea
elementare e naturale, anche se questo non è avvenuto nel caso dell’ultima
emergenza. Quello che lascia perplessi è che pare che la volontà sia di “ripensare
il modello insediativo, sociale ed economico della montagna”, concetto che mi
pare vada a comprovare l’idea che dicavamo inizialmente, ossia quella del
disegno di spopolamento. In questo caso non si parla di spopolare le aree ma di
ripensarne il modello, e non se ne capisce la ragione. Il modello economico
delle aree colpite, almeno di quelle dell’ultimo sisma, è un modello che
funzionava e potrebbe di nuovo funzionare. Basterebbe ripristinarlo con la
massima celerità, al contrario di quanto si sta realmente facendo.
Luca
Craia
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