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martedì 6 ottobre 2015

Siria polveriera, nel silenzio dei media



Si parla davvero poco della situazione in Siria. I telegiornali mettono la notizia dopo quelle di regime che leccano i piedi a Renzi e dopo quelle sul Papa. I giornali cartacei non fanno molto meglio. Anche sui social sembra che la questione interessi poco i tanti commentatori ed esperti di politica. Eppure si sta delineando un contesto estremamente complesso e, direi, potenzialmente molto pericoloso. La Russia ha già iniziato a mettere in atto la sua strategia, rispondendo ufficialmente alla richiesta di aiuto di Assad ma approfittando per mettere per prima in atto un’azione politica e militare nell’area, il che potrebbe portare a una posizione di vantaggio. Anche la Francia a tentato di giocare la carta dell’intervento anticipato rispetto alla Nato ma, sicuramente, rientrerà nei ranghi non appena il colosso americano deciderà il da farsi, almeno in via ufficiale. E poi c’è la Nato che arriverà senz’altro alla decisione di intervenire per non rimanere indietro, costretta, sostanzialmente, dalle decisioni interventistiche della altre due parti.
Ovviamente tutto questo movimento politico e militare ha dei motivi che non risiedono certo nell’interesse per Assad o per questo e quella causa. Ricordiamo che la Siria, al contrario di tanti altri Stati mondiali in guerra o sotto l’assalto degli integralisti islamici, possiede ingenti giacimenti petroliferi, il che la fa diventare di grande interesse per le potenze mondiali. Ed è proprio questo interesse a essere pericoloso perché l’intervento militare non coordinato (e non potrebbe mai esserlo, nell’impossibilità di concordare un’azione che veda o Russia o Usa sottoposta al controllo dell’altra) espone le parti in lizza e non solo al rischio di incidenti militari e diplomatici.
Gli interessi in gioco in Siria sono molteplici, vanno dal petrolio al controllo di una vasta area in mezzo alla polveriera mediorientale, passando per la possibilità turca di far fuori la questione curda. I rischi che la situazione degeneri sono reali e forti. Per quanto non sia nell’interesse di nessuno esasperare le posizione, è comunque difficile evitare reazioni in caso di incidenti o provocazioni, volontarie o involontarie. In tutto questo possiamo inserire il terrorismo islamico organizzato, perfettamente in grado di lavorare anche di intelligence e studiare azioni di disturbo al fine di creare incidenti. Una situazione delicatissima di cui l’informazione ufficiale non si occupa. Chissà perché.

Luca Craia

lunedì 29 giugno 2015

Il silenzio dell’Imam



È stato scioccante vedere le crude immagini degli ultimi attentati di matrice islamica. È terrificante pensare che uno o più uomini possano giungere a questo grado di crudeltà. È incredibile pensare che non si possa più vivere sicuri in un mondo che credevamo fosse un villaggio da percorrere con tranquillità. La nostra epoca è contrassegnata da una crisi profonda che non riguarda solo l’economia ma che tocca tutti i valori ai quali in molti crediamo e che, con questi accadimenti terribili, vacillano fortemente.
Il terrorismo islamico ha un fondamento religioso, è inutile negarlo, quandanche questo sia solo un paravento dietro il quale nascondere ben altri fini. La matrice religiosa sta nella cultura che spinge a tanta crudeltà, nella forma mentis di chi cresce vedendo i diversi come nemici da abbattere con la massima crudeltà. È ovvio che non si può generalizzare e affermare che tutti gli uomini di estrazione culturale islamica siano violenti o pericolosi, anzi. Le prime vittime delle conseguenze del terrorismo musulmano sono i musulmani stessi, specie quelli che vivono nei Paesi occidentali, i quali subiscono il primo effetto di queste violenze: la diffidenza.
Però in questi giorni terribili chi ha responsabilità quantomeno spirituali ha taciuto. E sempre tace in queste tragiche occasioni. I capi spirituali islamici, che nel nostro occidente diventano anche punti di riferimento politici per gli immigrati di fede o cultura musulmana, sanno benissimo quali conseguenze la loro gente deve subire a causa degli atti terroristici compiuti nel nome del loro dio. Ciononostante non reputano necessario prendere le distanze e condannare in maniera ferma e decisa questi atti di estrema violenza, per lo più compiuti contro quell’occidente che li ha accolti e che gli dà di che vivere.
Prendono molte iniziative, gli Imam italiani, per cercare di far passare il concetto di Islam moderato. Ho visto nel mio paese l’Imam girare per le scuole, accompagnato dal Sindaco, per parlare coi nostri ragazzi e cercare di appianare differenze e diffidenze. Ho visto prendere iniziative di scambio culturale utilizzando cibo e tradizioni. Ho letto comunicati stampa la cui intenzione è promuovere l’integrazione. Ma l’invito è sempre rivolto agli occidentali e dice “accettateci”. Non vedo inviti rivolti a loro stessi con lo stesso tono, non vedo la parola “accettiamoli” riferita a noi occidentali.
Soprattutto, in questi giorni, non sento una voce di condanna di queste violenze. Non ho letto una riga che dichiari una forte presa di distanza. Non ci sono comunicati stampa, iniziative, aperture verso quell’occidente che ha aperto le porte e che ora è giustamente preoccupato. Non ci sono sforzi per tranquillizzare, non ci sono messaggi che dicono in maniera chiara e decisa “noi non approviamo”. Si dice che chi tace acconsente. Non voglio affermare questo, ma certamente chi tace preoccupa. E forse è il caso di prestare maggiore attenzione.

Luca Craia